Alias
- 2 Agosto 2008 Bachmann
- Henze di Franco Serpa "Hildesheimer
mi portò a un incontro, che si teneva al castello di Berlepsch, vicino
a Gottinga, alla fine dell'ottobre 1952, del Gruppo 47. Tra le molte personalità
illustri che si erano riunite quel giorno, vi erano quasi esclusivamente uomini
[...]. Ma era presente anche un essere incantevole, con grandi occhi magnifici,
ciglia tremanti e mani splendide, la cui aura emanava sensibilità, la qualità
in persona, una creatura di pura grazia e fascino, come se fosse nata da un usignolo"
(H.W. Henze, Canti di viaggio. Una vita, li Saggiatore, 2005). "Cara signorina
Bachmann - non la rivedrò mai più? Lunedì mattina parto per
Colonia, se vuole, la prendo con me. Telefonerò nuovamente. Le Sue poesie
sono belle, e tristi, ma gli stupidi, persino quelli che si danno l'aria di "capirle",
non le capiscono. Adieu Suo hwh" (lettera, 1 novembre '52). Sono queste
righe il ricordo di Henze del suo primo incontro con Ingeborg Bachmann, e poi
la sua prima lettera, scritta a lei qualche giorno dopo quello incontro. Il ritratto
della Bachmann nel ricordo giovanile di Henze è luminoso e perfetto, come
sa chiunque abbia avuto il privilegio di conoscerla. Detto in breve, lei aveva,
e donava subito al primo incontro, grazia e umanità inattese: che era il
modo, per lei naturale, di preparare gli altri alla sua geniale intelligenza.
Anche Henze, come doveva accadere, ammirò in lei, subito, l'unione di riservata
eleganza e di genio, e già in quel primo biglietto avanzò quasi
un suo diritto a essere un suo amico scelto "die idioten verstehen nicht;
gli stupidi non capiscono"). Come, appunto, avvenne: e meno di un anno dopo
Henze e la Bachmann, complici anche l'Italia e Ischia, erano passati al 'tu' (lettera
di Henze, 24 ottobre '53). Si era iniziata in quei giorni di Gottinga e poi
nei mesi seguenti un'amicizia alta, che durò ventun anni precisi, un'intesa
tra loro di fede esistenziale e di poesia, di convinzioni civili e politiche,
un'alleanza di affetti, infine, tra due artisti di primo ordine. I segni della
stima, della simpatia, della delicatezza di sentimenti, che Henze e la Bachmann
ebbero tra loro reciproche, e soprattutto della loro operosa serietà e
anche del fine buonumore - i segni, dicevo, li abbiamo tutti, o meglio, purtroppo,
quasi tutti, nelle lettere che si sono scritte quando erano lontani, pubblicate
in Germania nel 2004 e ora in italiano dalla torinese EDT: Ingeborg Bachmann-Hans
Werner Henze, Lettere da un'amicizia (a cura di Hans Höller, traduzione dal
tedesco di F. Maione, pp. 400, € 29,00): le lettere sono ' quasi tutte '
perché alcune (o molte?) lettere di lei sono state smarrite nei tre o quattro
grandi traslochi che Henze ha fatto (come spiega egli stesso con rimpianto nella
'Premessa' al libro). Le lettere di Henze sono 219, quelle della Bachmann solo
33. Lo scarto dipende non soltanto dai traslochi, ma anche dalla angelica lentezza
di lei, che spesso attendeva, rimandava, si smarriva (e lo dicevano i suoi "grandi
occhi magnifici", terribilmente miopi). Ma era lei la prima a incolparsi
di indecisione e di 'pigrizia' e Henze, impaziente e, lui, ordinato e laboriosissimo,la
spronava a rispondere alle lettere e a concludere le poesie e i romanzi (B. a
H., 31 dicembre '55: "Cerco di sbrigare un sacco di cose, non è davvero
molto, ma sono cose che mi costano fatica e i dubbi, quando scrivo, talvolta si
ingigantiscono al punto che in certi giorni non riesco quasi ad andare avanti";
B. a H., 23 marzo '58: "E adesso sono di nuovo qui (a Berlino, dove aveva
ascoltato per la prima volta il Re Cervo di Henze, con ammirazione) e medito sulla
mia vita con lo sguardo al lavoro, perché mi accorgo sempre di più
di quanto poco è stato fatto e il Re Cervo e altro ancora mi hanno dato
sempre da pensare e mi sono vergognata, pigra e indolente come sono stata spesso";
oppure H. a B., 26 marzo '57: "Lavora, lavora, disciplina!" e 18 novembre
'66: "Spero che sei stata brava e hai lavorato diligentemente, nonostante
le tempeste. Ho pensato spesso a te e mi sono chiesto se lavori come mi aspetto
e desidero, perché desidero e intendo leggere presto un buon libro. Su
datti una mossa. Per Natale deve essere pronto e già da Piper. E poi gli
altri due volumi. Se no pian piano finisci nel dimenticatoio! Perciò sono
molto in ansia e felice al solo pensiero"). E ci sono non solo le tante espressioni
di attenzioni, preoccupazioni, sollecitudini private ma anche alcune notizie,
da lei e da lui, di incantevoli civetterie e vanità in una donna di tale
rango intellettuale: lo stile e l'umanità di entrambi ne hanno ulteriore
ricchezza. Come abbiamo appena visto, Henze e la Bachmann si scrivevano oltre
che in tedesco anche in italiano (e quando erano in Italia lo parlavano quasi
sempre), in francese, in inglese. È stata, credo, una tacita alleanza tra
loro, quella di non voler 'pensare' solo in tedesco e di tenersi familiari e propri
i modi, i pensieri, i caratteri spirituali di tutti i paesi. Ci fu in ciò
anche una certa intesa snobistica, una compiaciuta pratica cosmopolita (e un'insofferenza
antitedesca), soprattutto nei primi anni dell'amicizia, ma poi la felice prontezza
nel ritrovarsi in ogni lingua divenne in loro perfettamente naturale. Naturale
al punto che qualche lettera di contenuto personale, serio, e soprattutto doloroso
(i pochi, lacerati riconoscimenti che ei fa del suo amore impossibile sono capolavori
di autenticità, che varrebbero già essi soli tutto il libro) è
scritta in italiano. Do pochi esempi, che vorrei inducessero a leggere questo
libro straordinario. B. a H., 17 agosto '56: "Se non sapessi che ti spavento,
ti direi ancora una volta che io t'amo. Ma questa volta non debbi sentire un peso
o obbligo. Lo dico per darti questo bel niente che posso ancora darti, almeno
per distruggere un pensiero come il tuo ultimo", e un anno dopo, fine aprile
'57: "se avrai questa lettera - così cominciano spesso le lettere
prima del suicidio, ma la mia non è di questo genere, magari una di vivere
e qualcosa mi dice che sarai tu a comprendermi, questa decisione insolita che
mi conduce non so quanti kilometri da qui. [...]Non è soltanto passione
che mi spinge a questa decisione, ma molto di più, è se vuoi passiossione,
ma in se una comprensione del vuoto che ho sofferto qui e che soffro artisticamente. [...]Ti
amo ancora, ma lo farei sempre, ma è un altro amore, quello che non conosce
Zweifelssorge [ansia del dubbio], puro e quello del fratello ...". La (probabile)
risposta di Henze a una così penosa ammissione è una lettera angosciata
e stranamente contorta, stesa in tedesco e in italiano e alla fine in italiano
e in inglese, a righe alternate! E dice cose esasperate, dure a stesso, bellissime. Henze
e la Bachmann hanno collaborato per Der Idiot (mimodramma, con un monologo del
principe Myshkin scritto da I.B., 1953, poi Paraphrasen Über Dostojewsky
1991), Nachtstücke und Arien (tre Notturni sinfonici e due Arie su poesie
di I.B., 1957), Der Prinz von Homburg(adattamento del dramma di Kleist fatto dalla
B. per la musica di H., 1960), Der junge Lord (uno squisito libretto della B.,1965),
Lieder von einer Insel (cinque Fantasie corali su poesie di I.B., 1967). Della
loro collaborazione artistica da questa raccolta si ottiene poco perché
in quasi tutti i casi, se ebbero da riflettere e da discutere, lo fecero di persona
nei lunghi periodi di vicinanza (la Bachmann abitò a Roma in diverse occasioni,
anche per anni) e anche di convivenza (prima a Ischia, poi durante i giorni in
cui la Bachmann era ospite nella villa di Marino). Poteva essere un epistolario
più magro, certo, di quello tra Strauss e Hofrnannsthal, ma di interesse
non troppo minore per le questioni del teatro musicale moderno, almeno per il
fatto che Henze e la Bachmann si sono bene intesi e amati, cosa che non fu per
quei due sommi. |