Libreria delle donne di Milano

Il Manifesto - 5 marzo 2009

Mi lasci TI UCCIDO UN TENTATO OMICIDIO IN FAMIGLIA
"Ho sopportato botte per trent'anni, volevo ricominciare". Parla la donna che venerdì a Roma è stata investita dal marito. Poteva essere l'ennesima vittima di una separazione. Ma si è salvata. E ora racconta

di Cinzia Gubbini - ROMA
La flebo al braccio, e una contusione vicino all'occhio. La gamba fasciata per una brutta ferita. La febbre che va e viene. E soprattutto gli incubi: "Di notte ho paura. Sogno che corro, che sto scappando. E non riesco a riposare". La signora C. è la donna che venerdì scorso a Roma è stata investita dall'auto di suo marito. L'uomo, un ex carabiniere, ha ingranato la retromarcia della sua Fiat Tipo mentre la moglie era di spalle. Non solo una, ma due volte. Per essere certo di averla ammazzata. Per fortuna, C. si è messa in salvo. In questi giorni è stato detto che l'aggressione è avvenuta dopo una lite. Non è così. L'uomo ha agito a sangue freddo. L'ennesimo, drammatico epilogo di una separazione matrimoniale. C. potrebbe essere un altro nome nella lista delle donne maltrattate in famiglia, e alla fine uccise quando decidono di farla finita. Invece si è salvata. Ora è ricoverata al Policlinico Gemelli, e vuole raccontare.
Perché C. quel giorno si è rivista con suo marito? Da settembre non viveva più con lui. A convincerla ad andarsene, dopo trent'anni di convivenza tra la Calabria e Roma con l'uomo da cui ha avuto due figli, è stato un pugno in faccia che le ha spezzato un dente. Non il primo pugno, ovviamente. Ma per lei, ora che i figli sono grandi e se ne sono andati di casa, quello doveva essere l'ultimo. "Non so perché, è successo così. Tante volte avevo pensato alla separazione, ma mai ce l'avevo fatta. Ero anche andata a parlare con un avvocato e mi ero rivolta a un centro antiviolenza quando ero in Calabria. Ma, alla fine, decidevo sempre di rimanere. In quel periodo abbiamo comprato una casa a Roma, abbiamo deciso di trasferirci, e uno pensa: magari adesso cambia". Invece non è cambiato niente.
Suo marito continua a essere l'incubo di C., la sua ombra negativa al fianco. Lei che è una persona solare, che ama stare in compagnia, che dice "sorrido a chi mi sorride". Il trasferimento a Roma finisce per essere una fotocopia della vita in Calabria: C. non può avere amici, e chiunque si avvicini a lei entra nel mirino del marito. "Se conoscevo una persona, lui all'inizio non pensava niente di male. Poi, appena si stringevano i rapporti, cominciava a parlarne male". Le donne, gira gira, sono tutte "puttane". E lei, che spesso rimane sola in casa per il lavoro di suo marito, quando decide di uscire per qualche ora, diventa "puttana come tutte le tue amiche". Lo stesso con i parenti: "Non andava bene nessuno, mia sorella neanche". E così il marito raggiunge uno dei suoi obiettivi: isolare la moglie. "E' un comportamento tipico, che si riscontra in tutte le storie di violenza in famiglia", spiega l'avvocato di C. , Giusi Finanze, una delle legali dei centri antiviolenza dell'associazione Differenza Donna, che da diversi mesi segue il percorso di C. e l'assiste nella separazione.
Il primo passo, dunque, è isolare la donna. C., in realtà, riesce a frequentare comunque delle persone. Ma non si confida con nessuno. Neanche una parola sulle botte, i pugni che scattano ogni qualvolta le discussioni - molto frequenti - assumono un tono acceso. Lei vorrebbe posticipare la partenza per la Calabria, e giù botte. Lei pensa che sarebbe il caso di portare l'auto dal meccanico, e sono pugni. Sempre in casa, sempre quando non ci sono testimoni a tiro. Sempre nell'intimità famigliare, che porta con sé anche violenze sessuali. Ma C. fa finta di niente con gli altri. Se ha la faccia gonfia, evita di uscire per qualche giorno. Se deve recarsi al pronto soccorso, dice che è stata una caduta. Racconta una sua amica, la stessa che l'ha soccorsa venerdì pomeriggio, avvertita al telefono proprio da C.: "E' una donna molto discreta, e io che la frequento ormai da qualche anno non ho mai saputo niente. Certo, capivo che portava dentro di sé una enorme sofferenza. Ma io, che sono altrettanto discreta, non sono abituata a fare domande dirette. Forse, anche per questo la nostra amicizia si è potuta consolidare".
Il secondo passo, d'altronde, è la denigrazione: convincere la donna che non vale nulla: "Era un continuo, da quando ci siamo sposati, io ero giovanissima, solo 18 anni - continua a raccontare C. - quello che facevo non andava mai bene, qualsiasi cosa dicessi non aveva mai importanza. E anche il lavoro: io sono sarta. I soldi a casa li ho sempre portati, finché ho avuto la forza di mettermi alla macchina da cucire. Ma erano soldi che non contavano nulla. Io non contavo nulla". La questione economica, è uno dei motivi - anche se non il più importante - che tiene C. legata a lui. Anche se quando si sono sposati hanno optato per la comunione dei beni, le due case - una a Roma e una in Calabria - sono di proprietà del marito: "Ed essendo i figli ormai adulti e autosufficienti - spiega ancora l'avvocato Finanze - la donna non ha alcun diritto ad avere un tetto sopra la testa. E questo nonostante, per trent'anni, lei abbia profuso tutte le sue energie per il mantenimento della casa e della famiglia". Non è detta però l'ultima parola: l'obiettivo dell'avvocato è proprio far sì che il giudice riconosca l'assegno di mantenimento a C. e anche la sua quota di casa.
Fino al giorno prima dell'incidente C. e suo marito stavano affrontando una separazione non consensuale. Un percorso duro, difficile, ma spesso inevitabile. E soprattutto irto di pericoli. Come dimostra questa storia. Il giorno prima del tentato omicidio c'è stata la prima udienza per la separazione, in cui è stato chiesto un rinvio perché si stava per raggiungere un accordo. "Lui infatti era abbastanza tranquillo, abbiamo anche mangiato una cosa insieme", racconta C. dal suo letto di ospedale. "Il suo atteggiamento era sempre lo stesso, però mi ha detto che avrebbe voluto trovare una soluzione consensuale". E' tanto vero che quel pomeriggio, l'uomo chiama anche l'avvocato Finanze per dire che avrebbe voluto trovare un compromesso.
Ma anche qui siamo di fronte a un "classico": ben altri pensieri affollavano la testa dell'ex carabiniere. E, purtroppo, anche C. rimane vittima, per l'ennesima volta, della speranza che suo marito sia una persona di cui ci si può fidare. E arriviamo al quesito iniziale: perché C. decide di rivederlo quel venerdì? "Proprio perché il giorno prima sembrava tranquillo. E poi visto che aveva detto di essere disposto a un accordo, volevo credergli". Così C. chiama il marito e lo avverte che ha bisogno di recuperare alcuni effetti personali in quella che era la casa comune: qualche esame medico e una macchina da cucire. Perché dopo mesi di depressione, dopo la decisione sofferta di andarsene di casa e andare a vivere con un'amica, C. - che è in cura da uno psicologo - ha recuperato un po' di gioia di vivere. E ha deciso di ricominciare a lavorare. Per cui, ha bisogno di quella macchina da cucire. "Ci siamo dati appuntamento. Sembrava non ci fossero problemi. Lui mi ha anche accompagnato al centro Singer, per controllare che la macchina fosse a posto. Poi mi ha accompagnato al parcheggio. Io ho iniziato a caricare tutto nella mia auto. Lui si è allontanato, ma io non ci ho fatto caso, non è tipo da darti una mano. E invece all'improvviso ho sentito l'accelerata di una macchina dietro di me. E' stato un attimo. Mi sono ritrovata sotto l'auto, che faceva avanti e indietro". Inutile aggiungere che è stato terribile.
Dalla ricostruzione fatta dall'amica di C. che dopo pochi minuti giunge sul posto, un ragazzo - di cui si sono perse le tracce - interviene, strappa l'uomo dalla guida della macchina, e lo sbatte sul cofano. Poi, e questo è un piccolo giallo, intervengono due uomini. "Quando siamo arrivati, io, mio marito e mio figlio - racconta l'amica di C. - erano ancora lì. Abbiamo chiesto chi fossero. Ci hanno risposto che erano finanzieri, che era tutto a posto e che avevano già provveduto a chiamare autoambulanza e carabinieri. Ma visto che non arrivava nessuno, mio figlio si è impuntato e ha voluto chiamare sia l'ambulanza e la polizia. Che, poco dopo, sono giunti sul posto".
Così C. arriva al Policlinico. Non ha fratture ma varie contusioni. Suo marito, invece, è stato arrestato con l'accusa di tentato omicidio e lesioni. Il gip gli ha concesso i domiciliari. Ma non è la fine di un incubo per questa donna, che di notte ancora non riesce a dormire e ha paura. La rincorre un pensiero: "Come è stato possibile?". E, ora, deve fare anche i conti con un velo squarciato agli occhi di tutti: i suoi amici, la sua famiglia, i suoi figli che non immaginavano e - probabilmente - non hanno voluto vedere. Anche questo passaggio non è semplice. C'è chi sceglie di stare con lei, incondizionatamente, come se la realtà ora fosse finalmente chiara. E chi, come uno dei figli di C., invece ancora non accetta la verità e continua a dire a sua madre di non voler credere che il padre tanto amato possa essere diverso da come pensava. Un figlio che - racconta C. - ancora oggi l'accusa di essersi allontanata dalla famiglia, e per dimostrarlo le rimprovera di non essersi mai confidata con lui. Un figlio tanto simile a suo padre, con cui C. deve continuare a confrontarsi. Ora, però, che ha rischiato di morire, nessuno le chiederà più di "tornare a casa". Il ritornello che si è sentita ripetere per tanti anni. Quella sottile e pesantissima pressione sociale che si abbatte sulle donne che tentano di esprimere un disagio, anche se non in modo dirompente e definitivo. "Sempre, quando litigavamo, tutti mi ripetevano che dovevo fare la pace", racconta C.. "Quante volte ci troviamo di fronte a donne che stanno maturando la decisione di andarsene, ma sono soffocate dalle tante persone che le spingono a salvare la famiglia - spiega l'avvocato Finanze - Succede anche con le forze dell'ordine: capita di frequente che una donna chiami la polizia quando subisce aggressioni dal marito, e si senta dire dagli agenti "ci pensi su, cerchi di fare la pace"". Per C., quel periodo è passato. Quando si rialzerà dal letto ritroverà forse la forza di ricominciare a vivere. Anche con la sua macchina da cucire. Quell'oggetto in cui il marito ha forse riconosciuto la volontà della moglie di ricominciare altrove. E che gli ha fatto prendere la decisione: o me, o nessuna altra cosa.