Il Manifesto
12 Gennaio 2007
La luce del sapere alchemico sulla razionalità
occidentale
Una imponente collezione di testi, scelti e tradotti da Michela
Pereira, confluiscono nel Meridiano Mondadori sull'alchimia. Nulla si
distrugge e tutto si trasforma nella pratica che sfida la scienza moderna
Elena Laurenzi
Uno degli aspetti inquietanti del nostro tempo è la scarsa consapevolezza
delle 'diversità' che hanno popolato e popolano quella che definiamo
"cultura occidentale". Mentre si cercano in civiltà remote
ed 'esotiche', che la globalizzazione rende illusoriamente accessibili,
le riposte ai bisogni e alle domande inevase dal paradigma di razionalità
vigente, permane una sorda diffidenza nei confronti di forme di conoscenza
che hanno nutrito il nostro passato e sono state abbandonate, dopo tutto,
in tempi recenti. Sull'alchimia la scienza moderna ha proiettato una sorta
di ombra denigrante, relegandola nell'ambito dell'irrazionalità
o tutt'al più riconoscendola come progenitrice - più o meno
rispettabile - della chimica moderna. Senza riuscire tuttavia a minarne
la fecondità: "mater alchimia" ha continuato a nutrire
con la sua potenza euristica e con la profusione dei simboli la modernità
che l'ha emarginata (Newton, Brahe, Goethe) e ancora oggi alimenta la
riflessione e la ricerca in ambiti diversi: dagli sviluppi della farmacologia
spagirica alla psicologia del profondo di Jung e dei suoi discepoli; dal
lavoro filosofico di Antoine Faivre sulla "logica alchemica"
all'epistemologia di Evelyne Fox Keller; dall'esoterismo di antica o recente
formazione alla poesia e le arti visive tra Otto e Novecento.
La pubblicazione del volume Alchimia. I testi della tradizione occidentale,
(a cura di Michela Pereira, Meridiani Mondadori 2006), consente di approssimarsi
alla straordinaria produzione di scritti in cui nei secoli gli alchimisti
occidentali hanno depositato il loro sapere, offrendo una collezione imponente
di testi, scelti e tradotti da Michela Pereira in un arco cronologico
che va dal III all' XVIII secolo d.C, commentati con un vasto apparato
di note e corredati da un prezioso strumentario critico, oltre che da
una preziosa scelta iconografica.
La raccolta, frutto dell'annoso lavoro sulle fonti della curatrice, cui
si deve tra l'altro una storia dell'alchimia dalle origini a Jung, titolata
Arcana sapienza (Carocci, 2001) consente uno sguardo di insieme su quella
che, con le dovute precisazioni, possiamo chiamare "tradizione"
alchemica occidentale: una tradizione che si è formata per accumulo,
in cui virtualmente "niente si distrugge, tutto si trasforma".
Secondo la metafora musicale di un anomino bizantino, gli svariati tipi
di pratiche di laboratorio appaiono manifestazioni della "materia
unica alchemica" che, come quella della musica, si manifesta in una
molteplicità di modi e di melodie e nelle numerose voci degli strumenti.
Ed è evidente come, sul piano della riflessione critica, tale unità
sia stata percepita dagli stessi praticanti, dato che la compilazione
di liste di alchimisti e, più tardi, le sistematizzazioni di genealogie
mitico-storiche e le raccolte manoscritte, si sono diffuse parallelamente
agli sviluppi della pratica. Il raffronto tra scritti alchemici elaborati
in contesti molto diversi - dall'ambito bizantino al mondo islamico e
alla civiltà cristiana medievale, per arrivare alla loro proliferazione
nell'Europa rinascimentale e fino all'Illuminismo - permette di cogliere
da un lato l'evoluzione e le trasformazioni che il sapere alchemico ha
subito nelle diverse epoche, nelle diverse culture e nell'intreccio che
via via stabilì con la riflessione filosofica (indice, fin dalle
origini, della sua differenza di status dalle pratiche metallurgiche artigianali.
E, dall'altro lato, evidenzia elementi di quella unità di fondo
che accomuna progetti differenti, dalle tecniche metallurgiche allo sviluppo
della dottrina dell'elixir di vita all'alchimia medica, prima e dopo Paracelso.
Il saggio introduttivo di Michela Pereira mette a fuoco i motivi concettuali
che soggiacciono a questa variegata produzione, permettendo di pensare
l'alchimia non solo come un progetto coerente al suo interno, ma anche
come un sapere capace di interpellare il logos occidentale e il suo sviluppo
nella scienza moderna, a partire dal nodo centrale della separazione dicotomica
tra soggetto e oggetto della conoscenza. La concezione vitale e sacrale
della materia - vero nucleo fondativo dell'alchimia, dove si determina
l'unione tra attitudine empirico-scientifica e religiosa che si manifesta
fin dall'età ellenistica, nell'intreccio con i motivi soteriologici
e misterici di origine classica e con le dottrine cristiane gnostiche
- definisce anche l'orientamento peculiare dell'opus alla materia, concepito
in termini di reciprocità, come articolazione complessa e dinamica
tra il lavoro umano e i processi naturali, nei quali l'artefice penetra
a fondo, non intervenendo in maniera estrinseca, ma operando nel rispetto
dei modi e soprattutto dei tempi del cursus naturae (il che fa della pazienza
la virtù per eccellenza dell'alchimista).
Sapere di trasformazione e di salvezza, l'alchimia coinvolge nella palingenesi
oggetto e soggetto, natura e artefice, il cui "affinamento",
essenziale per portare a compimento la trasformazione, si realizza nel
corso dall'opera stessa, nel rapporto filiale con il magistero della natura.
Sposo della natura, secondo la metafora del rapporto nuziale tra mente
e natura codificata nella simbologia della coniunctio, l'artefice ne è
dunque anche figlio e apprendista. La sua evoluzione nell'immagine prometeica
dell'homo faber che, come ha messo in luce Mircea Eliade, soggiace alla
metamorfosi dell'alchimia nella chimica moderna, si produce solo nel contesto
dei mutamenti filosofici che vengono indicati come "morte della natura":
il tramonto della concezione neoplatonica dell'anima mundi e l'affermazione
della fisica dualistica aristotelica e poi cartesiana, che distingue tra
mondo materale e mondo vivente e definisce un taglio ontologico netto
tra soggetto e oggetto, sancendo il dominio della mente sul corpo e sul
mondo materiale.
Una rilettura dell'alchimia può allora favorire la riflessione
critica sul paradigma unilaterale della razionalità occidentale,
come suggeriscono, in ambiti diversi, i lavori di Hillman o di Evelyne
Fox Keller e, non da ultimo, il procedimento ermeneutico di Francoise
Bonardel che definisce l'opera alchemica in termini di assunzione di "responsabilità
per la terra". La convergenza di queste interpretazioni con l'idea
di "cura del mondo", formulata nell'ambito del pensiero delle
donne, nota Michela Pereira, permette di cogliere il tema dell'integrazione
simbolica del femminile come uno dei motivi profondi della permanenza
dell'alchimia nella modernità, come sta a dimostrare anche la ripresa
di motivi alchemici in due filosofe del '900, Simone Weil e Maria Zambrano.
L'arcana sapienza degli alchimisti parla dell'aspirazione a una mente
integrata con il mondo, e manifesta la necessità di tornare ad
attingere a quella "linfa nascosta che ha alimentato la terra della
nostra cultura", così che può servire a ripensare la
modernità nei termini di un rapporto con il mondo e con la conoscenza
che non è, necessariamente, la migliore delle scelte possibili.
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