Libreria delle donne di Milano

da Leggere donna n.98 - maggio/giugno 2002

UN'EREDITÀ SENZA TESTAMENTO. INCHIESTA DI FEMPRESS SUI FEMMMINISMI DI FINE SECOLO
Quaderni di Via Dogana, Milano 2002, pagine 149, euro 10,32
CLARA JOURDAN

"Più donne che uomini", scrive Manuela Cartosio dei 40mila del Palavobis di Milano sabato scorso. "Dietro ai girotondi e alle manifestazioni autoconvocate c'è molto lavoro di rete e-mail, fax, telefonate, passaparola. Un lavoro fatto in gran parte da donne" (il manifesto, 26 febbraio 2002). Sì, quando lo sguardo si sposta dai luoghi della lotta per il potere come governi, televisioni, parlamenti, consigli di amministrazione ecc., al vasto mondo in cui si fa politica in prima persona, si vede che la presenza femminile è spesso forte e significativa e porta a risultati inattesi, come in questo caso. Possiamo considerare questo cambiamento di sguardo e di realtà un'eredità del femminismo, un'eredità ricevuta dall'umanità intera donne e uomini, le cui tracce sono già state notate nel cosiddetto movimento dei movimenti, da Seattle in poi. Perché ciò che ha trasmesso il femminismo del secolo scorso è un'eredità "senza testamento", che chiunque può prendere e che infatti molti prendono. Non sono soltanto idee femministe, sono anche e soprattutto modi di essere, pratiche di vita, priorità politiche, interrogazioni di senso, desideri di civiltà. Di questo parla Un'eredità senza testamento (Quaderni di Via Dogana, Milano 2002, pp. 149, www.libreriadelledonne.it). È un'inchiesta sui femminismi che Fempress - un'agenzia di stampa con sede a Santiago del Cile che dal 1981 gioca un ruolo importante nel movimento delle donne latinoamericano (www.fempress,cl) - ha realizzato interrogando femministe latinoamericane e latinoeuropee (le italiane sono Luisa Muraro, Ida Dominijanni, Alessandra Bocchetti). Lo spirito dell'inchiesta, come dice la sua curatrice, la direttora di Fempress Viviana Erazo Torricelli, è uno sguardo sul passato in funzione del futuro: femminismi ieri/domani. Ma anche uno scambio tra Sudamerica ed Europa, tra emisfero sud e nord. E lo scambio tra passato e futuro trova proprio nell'America Latina un luogo significativo. Daniela Padoan, che del femminismo è un'osservatrice più che una partecipante, nell'introduzione all'edizione italiana sostiene che il femminismo ha prodotto una "fecondazione sotterranea" dei linguaggi e dell'agire politico, ha nutrito i movimenti rivoluzionari di oggi, e che questo si vede bene in America Latina, "epicentro di nuovi laboratori della politica". In effetti lì sta cambiando il rapporto con il potere. Due esempi. La marcia zapatista: "Marcos è un subcomandante. Noi siamo i comandanti", dice Ester al parlamento messicano. E le Madri di Plaza de Mayo, che non hanno fatto un percorso di teorizzazione femminista eppure hanno radicalmente messo in discussione il potere patriarcale, "non hanno combattuto per conquistare il potere ma per rivelarne la miseria". Anche nel Secondo Forum di Porto Alegre qualcuno ha posto la questione del potere: Immanuel Wallernstein (che nel '68 fu uno dei leader del movimento nella Columbia University di New York) ha detto che "la sinistra ha sempre avuto il complesso del potere, cioè la convinzione che la politica fosse semplicemente lotta tra schieramenti opposti per conquistare il potere: se lo prende la destra è un disastro, se lo prende la sinistra un paradiso. Ma non è così: è il potere che va criticato, che va cambiato, che va reso inoffensivo. Solo così si può costruire un mondo diverso e migliore" (dall'articolo di Piero Sansonetti, l'Unità, 5 febbraio 2002). Sono molte le donne che si riconoscono in queste parole. La questione del potere, del rapporto con il potere ritorna in diversi testi di Un'eredità senza testamento anche in termini autocritici, sia per quanto riguarda il rapporto con lo Stato sia per quanto riguarda le forme politiche. Gina Vargas dice che quando le femministe hanno scommesso di più sulle strategie di negoziazione con gli Stati che sull'autonomia si sono ridotte anche le possibilità di influenzare le politiche pubbliche. E Sonia Álvarez mette in guardia contro i limiti di quella che lei chiama la "onghizzazione" del movimento, cioè il suo trasformarsi in organizzazioni (su questo problema segnalo L'illusione umanitaria, a cura di Marco Deriu, EMI, Bologna 2001, che sostiene l'urgenza ormai di disintossicarsi dagli aiuti e guarda senza indulgenza al proliferare delle ong). Anche su questo punto c'è da imparare dalla riflessione delle sudamericane. Un altro è l'attenzione alla molteplicità di forme, di pratiche, di mobilitazioni, di

invenzioni, e alla multidimensionalità delle lotte e delle proposte esistenti, su cui insistono molti interventi. E che ci riporta all'importanza del femminismo nei paesi poveri, dove la presa di coscienza femminista diventa un fattore di sviluppo politico e una riflessione fondamentale, vitale per tutti. Che testimonia dunque non solo la ricchezza attuale dell'eredità ma anche la necessità di continuare a "femminizzare il mondo" (Diana Bellesi), anche come "sfida alla nostra creatività" (Line Bareiro). In questo scambio tra sud e nord, specialmente tra Latinoamerica ed Europa, il femminismo italiano può fare da ponte. L'Italia è già un paese ponte tra nord e sud, sia geograficamente sia storicamente. Conosciamo in particolare i legami storici tra Italia e Argentina, e la scrittrice italiana Laura Pariani lo ha documentato nei suoi racconti e romanzi (da Di corno o d'oro, Sellerio, Palermo 1993, a Quando Dio ballava il tango, Rizzoli, Milano 2002). Sono legami linguistici e culturali importanti finora sentiti come tali più dal Sudamerica che dall'Europa (a parte ovviamente la Spagna). Ma in questi ultimi anni si è posta sempre più drammaticamente la necessità di uno scambio nel mondo: Kosovo, Torri gemelle, Afganistan, sono contingenze che dimostrano che o c'è scambio o c'è distruzione. Io penso che il femminismo italiano possa essere davvero un ponte di questo scambio perché è un femminismo della differenza. Un femminismo che può comprendere sia la libertà con emancipazione, più diffusa al nord, sia la libertà senza emancipazione, più diffusa al sud. Questo della libertà senza condizioni sociologiche è anche un elemento che possiamo mettere nello scambio tra ieri e domani. La difficoltà presente nella comunicazione tra chi ha partecipato al femminismo e chi non lo conosce (non necessariamente tra vecchie e giovani) è che le parole più care alle prime spesso non trovano conferme nelle seconde, con il rischio di una perdita di senso della realtà, poiché la realtà dipende da come la si nomina. Se questa difficoltà è dovuta anche allo schermo della traduzione corrente, in termini sociologici appunto, del senso del femminismo e del suo linguaggio, il sapere che la libertà femminile non sta in nessuna condizione sociale ma appartiene a una madre di famiglia casalinga italiana come a un'artista single iraniana, aiuta anche a non farsi intrappolare dall'orizzonte del già detto nei tentativi di scambio per esempio tra generazioni diverse. Fa sì che si possa percepire tra donne (e tra donne e uomini) che cercano uno scambio ma non riescono a comunicare, l'esistenza di qualcosa senza (ancora) nome, ma reale.