Presentazione del supplemento di Leggendaria dedicato al convegno "Madri senza tempo" della Fondazione Badaracco

Milano - Casa della cultura - 12 giugno 2012

Intervento di Laura Colombo

Parlare questa sera dell'inserto di Leggendaria per me vuol dire, per prima cosa, restituire un'immagine del percorso che ha portato al convegno "Madri senza tempo", organizzato dalla Fondazione Badaracco.
Circa un anno fa mi hanno contattata Laura Milani e Sveva Magaraggia e, insieme a Claudia De Lillo, ci siamo trovate nella sede della Fondazione Badaracco a discutere del progetto di convegno che Laura e Sveva stavano organizzando con Marina Piazza, Franca Pizzini e Carmen Leccardi. In questione c'era il tema del materno e il desiderio di esplorare le pratiche e il pensiero prodotti dalla stagione del femminismo insieme ai vissuti, le esperienze e le riflessioni delle donne che oggi diventano (o non diventano) madri.
Se pensiamo alla maternità, dobbiamo riconoscere che molto è cambiato dopo che il femminismo ha scompaginato le carte, in primis sul piano sociale: le donne sole con figli non sono stigmatizzate, i figli fuori dal matrimonio non sono più chiamati "illegittimi", la maternità lesbica è una realtà, trova spazio e aperture anche su magazine femminili (penso alla vicenda della polemica sul libro "Piccolo uovo" e al lavoro che ha fatto Claudia sul suo blog, sulle pagine di D di Repubblica e alla Libreria dei ragazzi ecc. Non che sia facile, ma probabilmente tutto questo un tempo sarebbe stato inimmaginabile).
La presa di distanza dal destino della maternità, fatta negli anni Settanta dalle donne che hanno lottato per mettere al mondo la libertà femminile, ha dato a noi la possibilità di scegliere, un bene prezioso perché possiamo partire da un grado di libertà guadagnata che però non è scontata, ma continuamente da rigiocare al presente e in prima persona.
Nell'insieme, l'inserto di Leggendaria restituisce bene l'atmosfera di ascolto e scambio tra le partecipanti al convegno, alcune donne che hanno fatto le lotte degli anni '70 e alcune che - oggi - desiderano rilanciare gli aspetti più radicali del femminismo. Volutamente metto l'accento su femminismo e radicalità perché da un lato i mutamenti sociali restituiscono una rappresentazione indebolita del femminismo (se le cose sono cambiate così radicalmente allora il movimento ha raggiunto i suoi obiettivi nella vita di tutti i giorni) e dall'altro la società ha paura del femminismo, lo nega e lo respinge. Angela McRobbie, studiosa e femminista inglese, sottolinea bene questa contraddizione, ossia la coesistenza di valori neo-conservatori in relazione alla sessualità e alla vita famigliare (lei fa l'esempio di George Bush che nel 2004 affermava che la civiltà poggia sulla famiglia tradizionale, noi possiamo pensare alla recente giornata mondiale della famiglia o alla retorica della maternità mercificata e idealizzata delle immagini pubblicitarie che mostrano bimbi paffuti e allegri e madri compiacenti e oblative) con processi di libertà nelle scelte e diversità agite nelle relazioni domestiche, sessuali e parentali (nel mondo anglosassone le coppie gay possono adottare bambini o averli da altre donne, le donne single o lesbiche possono ricorrere all'inseminazione e nel Regno Unito le unioni civili sono riconosciute).
A mio parere è possibile affrontare questa contraddizione a partire dal fatto che il femminismo è un evento di libertà che cambia la vita di ciascuna (e anche di qualche uomo), è una seconda nascita, un principio esistenziale, come diceva Carla Lonzi, è costruzione di relazioni significative tra donne. Il femminismo è consapevolezza della peculiarità delle nostre singolari esperienze, dei nostri desideri, delle nostre aperture, del senso dell'esistenza quando ci troviamo in una situazione di illibertà, satura di significati e lottiamo perché nuovi significati possano darsi e nuova libertà sia disponibile per tutte e tutti.
Questa è stata l'esperienza del convegno, un ascolto e riconoscimento reciproco, tra donne di diverse generazioni, a partire dalla radicale posizione femminista "il personale è politico": mettendosi in gioco in prima persona è possibile comprendere l'insieme di significati scontati e determinati e costruire possibilità nuove per sé e per altre, anche donne di un'altra generazione. La radicalità del femminismo ci ha insegnato che dall'esperienza singolare si possono generare senso e forme politiche comuni: sappiamo riconoscere i vissuti delle altre, le loro parole ci toccano e ci trasformano, come le nostre toccano e trasformano loro. Questo è precisamente il lavoro politico affinché il senso comune non prevalga sull'esperienza. Ogni generazione di donne deve trovare parole e pratiche per collocarsi nel mondo a partire da sé e dai propri vissuti, che sono fonte individuale e collettiva di parola. Nello specifico della relazione intergenerazionale tra femministe, non si tratta di comunicare contenuti ma saper far circolare la forza femminile e il coraggio di sospendere, in prima persona, il già dato e il già detto. Restare in una sospensione, a volte in una vertigine, per sfidare l'ordine costituito, il sistema di codici che ci schiaccia con forme sempre nuove di normatività.
Tornando all'esperienza della maternità, tema del convegno e dell'inserto che presentiamo stasera, la scommessa è che se vai all'osso della verità soggettiva che avverti lucidamente o intuisci appena nell'opacità del tuo intimo, allora percepisci che il tuo sentire non è soltanto tuo. Dicevo prima che nello scenario rivoluzionato dal femminismo la maternità da obbligo si è fatta scelta. Le donne sempre di più scelgono di fare figli e allo stesso tempo di non rinunciare al lavoro, a professioni che diano soddisfazione, a fare politica, a stare nel mondo con senso di responsabilità.
E però, ci sono zone d'ombra e ambivalenze che non riguardano solamente la conciliazione tra la maternità e il lavoro o la mancanza di servizi, ma qualcosa di più profondo. Quando facciamo una scelta, siamo noi che, individualmente, diamo un senso a quello che stiamo facendo, ma ci sono cose che sono più grandi di quello che possiamo fare o non fare noi, e la maternità è una di queste. Nella possibilità di essere o non essere madre, propria di ogni donna, c'è uno scarto tra sé stesse e l'idea di sé come donna libera che sceglie. Quante volte è capitato che una donna rimanesse incinta nonostante la contraccezione? Con quanta caparbietà riusciamo a inseguire un figlio che non arriva? Quanti tormenti e quanta autocoscienza comporta la decisione di fare o non fare questo passo? Il desiderio inconscio è l'eccedenza che apre sull'oscuro e l'ambivalenza della maternità, in cui coesistono onnipotenza, indecisione, rifiuto. Il discorso sociale non tiene conto del rovesciamento nell'opposto di posizioni che dentro convivono e non c'è luogo collettivo dove elaborare queste profonde ambivalenze. Il discorso sociale consegna le donne alla solitudine perché quello che lei vive nel profondo, madre o non madre che sia, non ha diritto di cittadinanza. La possibilità di essere o non essere madre pone ciascuna donna di fronte a un'esperienza che non ha misura né mediazione e per questo c'è grande bisogno di nuovo pensiero collettivo. Il convegno e l'inserto di Leggendaria sono una delle risposte a questo bisogno di senso, ancora, c'è un libro appena uscito di Eleonora Cirant, Una su cinque non lo fa, che si addentra nei territori poco esplorati della scelta di non-maternità e anche i blog fanno tantissimo, permettendo la circolazione di narrazioni e riflessione. Non lasciare alla singola la lotta per far fronte ai significati mutilanti che il sociale restituisce, nella contraddizione che cercavo di delineare prima (non ti giudico se sei una madre sola, ma non devono esistere ombre nella presunta naturalità del tuo diventare madre; non ti etichetto come zitella se non hai figli, ma ti guardo con una certa compassione e tu senti che devi giustificarti) ma cercare parole condivise e collettive che diano senso a tutte e ciascuna, questa è la sfida cui siamo chiamate, ciascuna in prima persona a partire da sé. In altri termini, si tratta di sapere chi sei tu che stai facendo quell'esperienza, nella tua globalità e complessità, e nello scambio saper trovare le parole per descriverla, così che il senso possa travalicare la singolarità ed essere fonte per tutte e tutti.