29 Ottobre 2020
magverona.it

Le Città Vicine alla luce di questo presente – l’ultimo numero della MAG di Verona

di Mariella Pasinati


“Le domande che dobbiamo porci e a cui dobbiamo trovare una risposta in questo momento di transizione sono così importanti da cambiare, forse, la vita di tutti gli uomini e di tutte le donne … È nostro dovere, ora, continuare a pensare…” Sembra formulata per questo nostro tempo la riflessione di Virginia Woolf che oggi risuona nelle nostre esperienze, dovunque siamo situate/i.

A questa sollecitazione prova a rispondere il numero speciale della rivista Ap – autogestione e politica prima della MAG di Verona Le Città Vicine alla luce di questo presente, pubblicato quest’estate e dedicato ai 20 anni delle Città vicine. La rivista raccoglie infatti, attraverso testi e immagini, riflessioni di donne e uomini sulle trasformazioni di sé, dei propri spazi e della propria città in tempo di lockdown.

Non è stato facile in questi mesi districarsi fra la profusione di parole, non sempre adeguate, spese su quanto stava capitando: commenti, annotazioni, racconti in prima persona hanno affollato ogni spazio fisico o virtuale. La peculiarità di questa proposta, però, sta nella sua intenzionalità politica: “individuare nuove visioni e nuove prospettive per le città del presente e del futuro” (p. 47). Gli scritti sono infatti riflessioni di donne e uomini che da anni fanno politica di vicinanza nelle Città Vicine, una rete che connette diverse realtà del femminismo italiano (e qualche gruppo di uomini) accomunate dall’amore per la città e per la politica agita attraverso la pratica del partire da sé e il senso della relazione e della differenza sessuale.

Così, molti dei singoli contributi, concepiti a partire da sé da oltre 40 donne e un paio di uomini, da sé si allontanano per cominciare a restituire un’elaborazione dell’esperienza del confinamento capace di connettere corpo e parola e di aprire ad un suo possibile percorso di trasformazione in agire politico.

Gli interventi gettano luce su come, con la modificazione del vivere, sono mutati durante il lockdown anche il sentire e il pensare, le domande, le questioni, le prospettive su cui riflettere e da considerare.

Dal racconto a più voci emerge la consapevolezza di come il virus e l’esperienza della quarantena, della malattia e della perdita abbiano svelato la condizione comune di vulnerabilità, di dipendenza e la necessità delle relazioni affettive, sociali, politiche, questioni che da decenni fanno parte del bagaglio della politica delle donne e sulle quali, nel presente, occorre far leva per trasformare il senso comune, cambiare il modello di civiltà e i paradigmi socio-economici, dare un nuovo indirizzo alla politica. Stefania Tarantino e Antonietta Ponente si interrogano, infatti, sulla nostra capacità di aprire oggi “una nuova fase del pensiero e della pratica politica”, di dare vita ad un nuovo protagonismo femminile per un “presente da realizzare su una nuova frequenza … sentendo come qualcosa di prezioso l’intimità del tempo, dello spazio, delle città, della natura, delle relazioni umane e delle relazioni viventi”.

Alcuni scritti chiamano in causa atteggiamenti e sentimenti come la riconoscenza (Sbrogiò, Lagrotta), la fiducia (Montalbano, Sbrogiò), la nostalgia (Bottero), il desiderio: di una città/di un territorio diversi (Cima, Borrello, Ferrari), di un diverso patto sociale/sessuale (Minguzzi), di una società “eco femminista” e rispettosa della qualità dell’ambiente e della vita, capace di ristabilire l’ordine delle priorità, di riconoscere la centralità della cura del vivere (Cima, Fortunato, Zanella).

Altri mettono in evidenza le pratiche già inventate per rispondere ai problemi del lockdown: le cassette sospese o i gruppi di acquisto condominiali, una risposta sì all’emergenza, ma anche “una pratica di trasformazione del tessuto economico e produttivo della città”, capace di mettere in rapporto diretto, a km zero, chi consuma e chi produce nel territorio (Patanè).

In molti interventi si è toccato anche il tema delle tecnologie digitali e della loro dilagante diffusione: l’utilizzo di piattaforme di condivisione a distanza, come luogo di incontro e di discussione politica, ha comportato a volte disinteresse e demotivazione (Di Salvo), altre esperienze e vissuti hanno registrato invece come il ritrovarsi, sebbene attraverso il filtro di uno schermo, sia stato utile e non abbia impedito ai corpi di comunicare (Albanese), mentre altri testi ancora ne hanno mostrato l’ambigua necessità (Jourdan); alcuni scritti, infine, hanno riportato l’attenzione sui rischi del 5G per la salute, per l’ambiente, per la nostra stessa umanità (Danna, Guerini).

La prima e la seconda fase della gestione della pandemia sono passate ma siamo nuovamente nel bel mezzo della crisi che durerà ancora.

Occorrerà continuare a pensare, un pensiero che, come il “pensare pensare dobbiamo” di Woolf, non sia conforme e inoffensivo, che contrasti lo status quo (“We won’t return to normality, because normality was the problem” si legge in una foto che riproduce una scritta su un muro), che sia guidato da un desiderio di altri mondi possibili.

Occorrerà ulteriore politica di vicinanza.


(magverona.it, 29 ottobre 2020)

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