26 Aprile 2010

Al centro della politica ci vuole eros, desiderio e immaginazione.

 

di Sara Gandini

“Sì, ma quanti siete? e quanti sono gli uomini di cui parli?” Questa è la domanda che spesso mi viene fatta quando racconto del nostro gruppo, Intercity-Intersex. L’idea che la sottende è che la forza necessaria al cambiamento è inevitabilmente associata ai grande numeri. Ma Simonetta Patané in La tentazione del volo sul numero di Via Dogana 92, “Cambiare l’immaginario del cambiamento”, osserva che il movimento delle donne non si è mai lasciato sedurre dalla forza del numero rappresentato in un soggetto unico: la costruzione di un soggetto collettivo richiede “necessariamente l’omologazione dei partecipanti ad un’unica identità, la semplificazione delle idee, l’impoverimento della creatività delle pratiche”, perdendo la sperimentazioni di nuove relazioni sociali, pagando un prezzo troppo alto, insensato.
In realtà la Solnit in Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo ci insegna che la politica, la rivoluzione, nasce dall’immaginazione. Bisogna cambiare l’immaginario del cambiamento perché “al cuore del processo di cambiamento c’è la restituzione alle persone della loro capacità creativa e la riattivazione del loro potenziale di intervento nel mondo.” Non si tratta quindi di costruire un nuovo ordine, ma di saper immaginare, saper vedere, saper mostrare, cosa sta capitando di nuovo, le esperienze innovative che già si stanno muovendo su un altro piano, perché quello che distrugge le potenzialità è il misconoscimento. L’importante, come dice la Patané, è la presa di coscienza di dove realmente si sta e rendere visibile una realtà che pure essendo “qui e ora” è già altrove.
Per questo voglio raccontare una storia di donne e uomini, appassionati di politica, che hanno cominciato a riflettere sulle relazioni fra i sessi, sulle relazioni di differenza. In particolare voglio mettere al centro la forza trasformatrice di alcune parole, come eros, attrazione, immaginario, e le difficoltà incontrate nella nostra esperienza, in modo diverso, da parte di uomini e donne.
Il nostro punto di partenza è stato la consapevolezza che il mondo è radicalmente cambiato grazie all’avvento della libertà femminile. Come ricorda Traudel Sattler nell’articolo Farsi contagiare sul “Via Dogana” n.92, “il movimento delle donne ci ha portavo tanti vantaggi: luoghi autonomi, ricchezza di pensiero, agio”. Il pensiero delle donne “ha autorizzato molte donne a muoversi liberamente nel mondo e questa libertà guadagnata ha fatto sì che oggi le donne le trovi dappertutto”. Hanno acquisito una forza, una competenza che viene sempre più riconosciuta in ogni campo, come si può vedere dai 5 Nobel vinti dalle donne quest’anno in diversi ambiti, dalla letteratura, alla medicina, all’economia. È una forza che viene da lontano, precisamente dalla scelta separatista che le donne hanno operato negli anni 70, un taglio simbolico che ci ha permesso di guadagnare forza, consapevolezza, e quindi di aprire spazi di libertà prima impensati per le donne. Ma ora, quella parola libera conquistata, le donne la vogliono scambiare.
Partendo dal desiderio di ragionare su cosa vuol dire essere uomini e donne che vivono in un’epoca caratterizzata dall’avvento della libertà femminile, dalla caduta del patriarcato, abbiamo costituito un gruppo di uomini e donne, che ora rappresenta un punto di riferimento per il mio pensiero politico. Ci siamo chiamati ironicamente Intercity-Intersex, e siamo in qualche modo figli del femminismo. Si tratta di uomini e donne che si sono scelti, partendo dal desiderio esplicitato dalle donne del gruppo. Perché, come dice Silvia Motta, una delle autrici del sottosopra Immagina che il lavoro, oggi le domande vengono dalle donne, ma le risposte le vogliamo cercare con gli uomini.
L’attrazione, l’eros, il desiderio di relazione sono stati nominati fin dall’inizio come aspetti su cui vogliamo puntare. Non vogliamo ricadere nel discorso della necessità della relazione di differenza, in altri termini nel discorso che il rapporto con gli uomini sarebbe necessario per costruire una convivenza più civile, non segnata dalla violenza. Si tratterebbe di una necessità finalizzata a un obiettivo nobile ma, se non sorretta da un reale desiderio di incontro con l’altro e di scambio, diverrebbe di corto respiro.
Siamo uomini e donne, venuti dopo il femminismo, con chiari debiti rispetto alle donne che hanno fatto il femminismo, ma siamo convinti che il discorso sulla separatezza avesse senso negli anni 70. Quella scelta ha premesso di far nascere un’energia desiderante che ora corre vorticosamente nel mondo, come dice Marina Terragni nell’articolo La mia amica di destra sul “Via Dogana” n. 92. Ora vogliamo giocarci il desiderio di relazione tra uomini e donne, senza rinunciare a mettere al centro ciò che i corpi ci insegnano.
Abitiamo in diverse città e da alcuni anni abbiamo deciso di trovarci a discutere regolarmente, inizialmente nelle nostre case e ultimamente in luoghi più ampi, pubblici, in cui poter accogliere anche altre persone con cui affrontare nodi politici che riguardano le relazioni fra i sessi. Dopo diversi anni di scambio tra noi, il desiderio che ora ci unisce è quello di cui parla la Patané: “creare luoghi in cui la scena pubblica possa essere sempre più a misura delle relazioni”.
La pratica del partire da sé, la pratica di relazione, la cura della relazione sono le cifre del nostro gruppo. Al centro c’è il desiderio di scambio in presenza, tra uomini e donne, il piacere dello stare assieme, prendendo il coraggio di mostrare scacchi, contraddizioni, per trarne un sapere che vada oltre noi. Abbiamo tutti percorsi simili caratterizzati dalla ricerca di sé, la pratica di parola, la narrazione dell’esperienza, ma vogliamo anche considerare altre pratiche come quella di trovarci in luoghi belli, che ci fanno stare bene, e dedicare del tempo a noi, alla cura delle relazioni, anche al di fuori dei momenti di scambio più tipicamente intellettuali.
L’idea di questo gruppo nasce da alcune donne, come dicevo, e non è un caso. Come dice Chiara Zamboni nel suo libro Pensare in presenza, nella politica delle donne il piacere della presenza ha avuto effetti sulle pratiche. “Le donne desiderano partecipare ad un percorso politico dove il contagio, il contatto, la compresenza e le narrazioni di contesti vissuti sono essenziali. Si tratta di un godimento d’essere che crea effetti a catena nelle pratiche politiche inventate dalle donne, che alcuni uomini hanno cominciato a comprendere, ad apprezzare.”
“Il bisogno di scambiare con altri sentimenti, racconti, sogni, guadagni di verità” lei dice “si ricrea sempre di nuovo, quando nasce il desiderio di sottrarsi al simbolico dominante e di orientarsi nel pensiero e nell’azione politica. Così è stato per ogni vera rivoluzione, in particolare per la rivoluzione femminista, per la quale la parola viva scambiata tra donne è stata formativa di un modo di vivere, di pensare e di fare politica.”
Chiara inoltre – e questo è un aspetto a cui tengo molto- punta l’attenzione sull’importanza del godimento, dell’eros, anche in politica. “Godere della presenza” lei dice “accompagna un’apertura involontaria agli altri, a cui partecipiamo con tutti i nostri sensi. E’ data dal fatto che il lato inconscio del corpo ha con le persone e le cose legami molteplici, pulsionali, di affettività corporea.”
E anche per Carla Lonzi il piacere femminile è fondamentale per avere un proprio principio di realtà. La libertà, lei dice, trova la sua voce nel piacere, nel desiderio femminile. Rinunciare al proprio piacere vuol dire ridimensionare il desiderio.
Ma puntare sul desiderio porta subito ad un’empasse nel rapporto con gli uomini. Si tratta di uomini che ragionano sulla loro parzialità, partendo da gruppi di riflessione maschili, come MaschilePlurale, che discutono sui condizionamenti e sulla forza di un immaginario colonizzato da stereotipi che vengono da lontano. E questo è un passaggio imprescindibile ma porta con se il fatto che il desiderio è sentito dagli uomini del gruppo non come un terreno di liberazione. C’è, da parte maschile, un ritirarsi rispetto alla potenza del desiderio femminile e un problema rispetto all’esplicitazione del desiderio, legato al fatto che il desiderio viene percepito dagli uomini come condizionato da un immaginario che altri hanno costruito. Qualcosa di indotto, non libero, segnato da modelli imposti. C’è la consapevolezza che spesso si tratta di un desiderio che nasce o vive a prescindere dalle relazioni, e qui è evidente il nesso con la violenza e con la prostituzione. Questo comporta la difficoltà a portare un desiderio potente, vitale nella relazione.
Alessio miceli sul n. 91 della rivista “Via Dogana” intitolata Caos postpatriarcale, parla del desiderio sessuale maschile come storicamente segnato dalla dimensione del potere. Nell’immaginario sessuale maschile la dimensione del potere porta la relazione a prendere la forma di una lotta, per la conquista del controllo dell’altra. Forse questa necessità di controllo risponde alla grande paura maschile di perdersi nell’altra, paura che però uccide il desiderio sessuale, che fa intralcio a un incontro libero. C’è una impronta oscura, lui dice, legata alla madre. Un senso di pericolo, come un rischio di invischiamento e di fagocitazione.
Di seguito racconta l’importanza che ha avuto nella sua vita la nominazione, il racconto di ciò che ci capita nell’incontro con l’altro. Alessio dice: “trovare le parole per dire di me nella tensione del desiderio è stata ed è tuttora una chiave di volta. I contesti di parola e di relazioni incontrati sono stati fondamentali, ma mi sono reso conto che rimanevano poco visibili finché non li ho cercati davvero.”
Rimane una domanda aperta. Mi chiedo se, una volta fatto il lavoro di decostruzione dei codici coi quali uomini e donne crescono, non si rischi poi la paralisi, l’anestesia del desiderio. La necessità di stare in una posizione critica comporta il rischio che gli uomini si perdano quell’attrazione fra i sessi che trasforma le relazioni. Per gli uomini essere dentro ad un certo ordine, far parte del genere che da sempre ha dominato, porta ad essere sempre decostruttivi. Con il rischio di ritrovarsi poi una fragilità di fondo, un’insicurezza ontologica. Le paure rispetto al desiderio, rispetto a tensioni inconsce, non completamente elaborate fanno indietreggiare rispetto alla potenza dell’eros e alla capacità di vedere cosa capita quando corpi di uomini e donne si incontrano.
Stefano Ciccone, autore di Essere maschi. Tra potere e libertà, afferma che non si tratta di disciplinare il desiderio, ridursi alle buone maniere, ma di capire cosa ci attrae veramente dell’altro sesso. Salvare la tensione tra gli uomini e le donne si può: a patto di avere un nuovo modo di guardarsi. Di un nuovo immaginario.
Ma evidentemente la sfida non è semplice. Anche nel nostro gruppo si è visto quanto l’eros circolante possa far paura, possa essere destabilizzante. Ci sono state persone, sia uomini che donne, che hanno raccontato la difficoltà di stare in un contesto in cui la pratica di relazione sia evidentemente influenzata dall’attrazione fra i sessi, dal godimento data dalla presenza dei corpi, e da come queste tensioni influenzino anche nei loro lati oscuri. Infatti all’inizio, quando le donne del gruppo hanno cominciato a nominare questa componente, gli uomini viceversa descrivevano le nostre relazioni come relazioni fra fratelli e sorelle, togliendo evidentemente il potenziale eversivo a questa energia.
Le donne in quei contesti sono più consapevoli, più forti, meno spaventate, e questo grazie alla loro storia, al sapere acquisito con il femminismo. Il desiderio femminile, così come è emerso col pensiero delle donne, è prevalentemente vissuto come potenza, forza trasformatrice, perché c’è la consapevolezza che il desiderio vivo, più autentico, nasce nelle relazioni tra donne. Il mondo ora è pieno dell’energia desiderante delle donne, come l’ha chiamata Lia Cigarini. In Farsi contagiare Traudel Sattler ricorda che bisogna semplicemente lasciar vibrare dentro di sé questo desiderio di protagonismo, cercando di sospendere gli atteggiamenti giudicanti che bloccano il circolo dell’energia desiderante e portano su posizioni di reattività.
In alcuni scambi con il nostro gruppo Intercity-Intersex, abbiamo sperimentato la possibilità di fare in modo che i conflitti non diventino distruttivi, di lasciare un tempo sospeso, di non giudizio, di incomprensione. Un tempo che possa far capitare qualcosa. Un tempo aperto ad un futuro imprevedibile. Questo è stato possibile prima di tutto grazie alla forza questi uomini hanno acquisito con le relazioni, gli scambi, e la consapevolezza acquisita tra loro, tra uomini. La vitalità del conflitto dipende infatti anche dall’autonomia relazionale, dalla capacità di dare consistenza al proprio essere. E questo crea curiosità, desiderio di scambio, e permette di far circolare l’autorità anche fra i sessi.
Anche, e soprattutto, nei conflitti non si può prescindere dal desiderio di relazione, se si vuole vivere un conflitto non distruttivo. E anche in questo contesto è fondamentale lasciare spazio all’attrazione per l’altro e permettere all’eros di poter giocare un ruolo anche nei conflitti. L’eros è l’essenza delle relazioni e lasciandogli spazio può capitare qualcosa di nuovo, di interessante anche nei contesti più impensati. Si tratta di una forza che rende inventivi, che contagia. L’esperienza dell’erotismo è legata alla necessità dello scambio con l’altro, al sentimento del non bastarsi, e permette di fare aperture che non hanno a che fare con la razionalità. Le aperture seguono altre strade, sono date dalla curiosità, dal desiderio di capire, di conoscere dove l’altro sta andando, di sbilanciarsi sull’imprevisto.
Braidotti in Soggetto nomade afferma che per poter divenire, serve il coraggio di sognare ad occhi aperti e non lasciarsi immobilizzare nel cemento armato del principio di realtà. È il nostro desiderio infatti a nutrire la realtà e a farla essere. Sappiamo quanto il femminismo abbia insistito sul fatto che il desiderio possa essere leva di trasformazione politica. Perché desiderare l’impossibile, ciò che non ha misure già date e già codificate nei linguaggi dominanti, comporta la modificazione. E tutta la nostra esistenza cambia e si orienta.

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