20 Novembre 2015

Maschi e femmine: a che punto siamo?

di Gianni Ferronato

 


In questi ultimi decenni, dopo l’avvento del femminismo nelle nostre società, una delle novità nella relazione donne-uomini è che finalmente si parla, anche pubblicamente, della violenza maschile contro le donne. Questo significa, secondo me, non tanto che ci sia un aumento della violenza maschile sulle donne quanto piuttosto che la società, uomini compresi, non la ritiene più normale. C’è qualcosa che non va negli uomini per non riuscire a ricomporre gli inevitabili conflitti della convivenza umana senza ricorrere alla violenza. In Italia la situazione vista dai fatti di cronaca sembra sconfortante. Ogni due giorni in media un femminicidio o un’aggressione grave ai danni di una donna da parte di partners, ex, padri, o fratelli. Ma questa è solo la punta dell’iceberg di una violenza sommersa che affonda le sue radici in quel sistema di sfruttamento e di sottomissione delle donne che è il patriarcato. Se nessuno te lo fa notare questo sistema sembra normale e naturale. Invisibile, come l’aria che respiriamo.

Io mi accorsi a 40 anni, su insistenza di un’amica, che quand’ero giovane in casa, a lavare i piatti e a cucinare, erano sempre e solo le donne, pur avendo esse molti altri compiti da fare. Più in generale mi accorsi di quanta ingiustizia ci fosse nelle relazioni tra i sessi, nell’accesso allo studio o al lavoro pagato, nella ripartizione tra maschi e femmine del lavoro di cura e di tutti quei lavori non pagati ma necessari alla vita.

La prima ingiustizia essendo quella che nega alle donne una libera soggettività e le pensa con un pensiero maschile che pretende di essere neutro e universale. La relazione con loro diventa proprietaria e quando entrano in gioco anche i sentimenti e le emozioni può diventare anche pericolosa. In questo sistema ingiusto c’è anche molta complicità femminile come ha mostrato la psicanalisi a proposito del rapporto madre-figlio maschio, ma anche il senso comune a proposito della seduzione femminile considerata come l’equivalente del potere maschile. Questa complicità, di cui è bene secondo me si occupino soprattutto le donne, dà loro anche dei piccoli tornaconti. A me interessa invece il rovescio della medaglia del potere maschile e dei suoi indubbi privilegi. L’obbligo di primeggiare, la fatica di competere, la necessità di fingere, il controllo o la narcosi dei sentimenti e delle emozioni, il sentimento di doversi sobbarcare il peso del mondo occupando tutto lo spazio pubblico, spesso il sentimento di un corpo non desiderabile e l’illusione di poter comprare l’amore. Quello che sta accadendo tra gli uomini in occidente è appunto questo. Semplicemente ci accorgiamo che quel modo di essere uomini non è più attraente come un tempo. Oltre a essere gravemente ingiusto nei confronti delle donne proprio non ci conviene. Quando mi accorsi di questo fu come se mi fossi liberato di una corazza che invece di proteggermi mi ingabbiava.

Mi resi conto anche di non essere sempre stato innocente, come quando da giovane senza permesso allungai la mano sul corpo di una donna, oppure quando fui quasi sul punto di passare all’amore mercenario preso dallo sconforto per la solitudine affettiva, oppure quando alzavo il tono di voce senza rendermi conto che, se fatto da un maschio nei confronti di una donna diventa sempre una minaccia pesante. In ogni caso sentivo dentro di me che queste cose non andavano bene, ma siccome quasi tutti facevano così, mi sentivo in qualche modo autorizzato a fare altrettanto. E a proposito del tono di voce, mi resi conto in particolare che non c’è solo la violenza oggettiva, conclamata, quella che si può portare in tribunale. C’è anche una percezione soggettiva della violenza che solo la vittima può descrivere, mentre l’autore spesso nega o minimizza. Nessuno di noi maschi può tirarsi fuori da una qualche forma di complicità. La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola e l’impegno come uomini recitava il titolo di un appello dell’Ass. nazionale Maschile Plurale del 2009.

Non si tratta qui solo di fare mea culpa ma soprattutto di renderci conto di cosa ci siamo persi di bello e interessante limitandoci a mostrare i muscoli e a fare la voce grossa. Io, per es. avrei perso l’infanzia dei miei figli e la possibilità di una relazione decente con loro se a un certo punto, spinto fortemente da mia moglie, non avessi posto un limite al mestiere, a quel modo tipicamente maschile di farsi occupare la vita intera dal lavoro. Abbiamo bisogno di un salto di consapevolezza, di una rivoluzione simbolica che ci permetta di recuperare il senso del limite e il sentimento della dipendenza senza i quali sarebbe inevitabile la guerra di tutti contro tutti, non solo la guerra dei maschi contro le femmine. Una rivoluzione simbolica che io ritengo condizione necessaria anche per l’efficacia di ogni percorso psicologico per andare oltre la violenza.

Viviamo un periodo storico molto rischioso. Scomparse le società pacifiche esistite o vagheggiate nella preistoria umana oggi tutte le società sono pervase da violenze e sfruttamento di ogni tipo. In qualche modo siamo tutti discendenti di popoli “genocidari”. Ma il modello basico di ogni violenza è già tutto nella struttura piramidale delle relazioni in cui le donne e gli schiavi sono all’ultimo gradino. La democrazia non fa eccezione perché proprio sull’esclusione delle donne e degli schiavi oltre che da una guerra contro la minoranza è nata, ad Atene nel 399 ac. E’ vero che in ampie zone del pianeta le donne hanno guadagnato spazi di libertà un tempo impensabili. Ma è anche vero, credo, che questi spazi non sono guadagnati per sempre. Da una parte in occidente sta montando una reazione maschile revanchista che non intende minimamente rimettere in discussione i modelli tradizionali e che considera gli uomini che su questi temi riflettono, fanno percorsi, dialogano con le donne, o plagiati o traditori, zerbini delle femministe. Fa parte di questa ondata anche la polemica pretestuosa sull’inesistente teoria o ideologia “gender” promossa da ambienti fondamentalisti cattolici o “teo-con”. Forse sta montando anche un inedito fondamentalismo maschilista. Dall’altra in molte zone della terra la tradizionale sottomissione delle donne perpetua un regime di maternità forzate che anche l’occidente ha conosciuto fino a 50 anni fa. Il tema della libera maternità richiama quello della sessualità maschile. Sessualità che ancora oggi, anche tra i giovani, viene vissuta spesso in modo banale e irresponsabile sia sul versante dei sentimenti che su quello delle conseguenze sul corpo della donna. La sessualità femminile viene pensata, piegata e distorta secondo un immaginario erotico che gli uomini attribuiscono anche alle donne. Che poi spesso vengono lasciate sole davanti al dramma-dilemma maternità-aborto. Alcune femministe cattoliche giustamente hanno fatto notare che il recente invito di Papa Francesco ai parroci di dare il perdono in confessione alle donne che hanno fatto aborto e a coloro che le hanno aiutate (se sinceramente pentite/i) nulla dice a proposito del mandante del delitto di aborto di cui all’art. 1398 del codice di diritto canonico anche se l’art. non precisa chi sia (potrebbe essere il partner che non vuole accollarsi la fatica di crescere un figlio, oppure un padre che caccia via di casa la figlia minorenne per il disonore…) “Sostanzialmente un’altra conferma che l’uomo è autorizzato all’irresponsabilità riproduttiva, come quando il rappresentante del Vaticano nega il voto alle delibere internazionali sui “diritti riproduttivi”. Un’altra conseguenza di questa forma della sessualità maschile, specie se abbinata all’esclusione delle donne dalla cultura e dagli studi, è uno squilibrio permanente della demografia con un eccesso di bocche da sfamare rispetto alle risorse disponibili. Il copione finora seguito dall’umanità è l’emigrazione di massa, o con la modalità della colonizzazione ed eventuale genocidio dei nativi, o con la fuga dalle guerre e dalla miseria confidando nel buon cuore della gente da cui si approda. Riusciremo noi europei/e, discendenti degli europei che hanno compiuto il genocidio dei nativi americani, a risolvere in modo pacifico e non esclusivo il dramma di questa gente condannata a fuggire dalla loro terra a causa delle guerre e della miseria che anche noi abbiamo contribuito a generare? La soluzione, se c’è, non può che essere globale.

Per noi uomini la soluzione non può che passare attraverso una scelta personale e consapevole di rinuncia alla violenza. Questa è una rottura che permette di uscire dalla ripetizione sia nei suoi aspetti sociali e culturali e sia, spesso, in quelli che pensiamo meccanismi biologici ma che in realtà sono abitudini acquisite e radicate. E diventa anche un fatto simbolico quando si intuisce che è possibile un modo di stare al mondo oltre le nostre ataviche paure e più in sintonia con i nostri desideri profondi che stanno tutti in parole come fiducia, amore, passione, bellezza, condivisione, conoscenza, riconoscenza, gratitudine, felicità ecc… Ci riusciremo? Io non dispero perché in ogni cultura esistono e sono esistiti uomini che hanno saputo trasformare l’aggressività in forza pacifica, forza che non teme altri punti di vista, forza che non teme di rimettere in discussione la propria identità, forza che sa cogliere i propri limiti e le proprie mancanze. E’ questa la forza maschile che permette ad Eros di riprendere la sua opera creatrice negli incessanti cambiamenti della realtà.

Castelfranco Veneto 24 Ottobre 2015

 

(www.libreriadelledonne.it, 24 ottobre 2015)

Print Friendly, PDF & Email