26 Gennaio 2009

Dicerie: Regolamento e scuola primaria: addio scuola!


CGIL scuola

Abbiamo sentito il ministro Gelmini dichiarare che nella società della conoscenza, e tanto più in momenti di crisi, bisogna investire sulla scuola, sull’università e sulla ricerca.

La dichiarazione è del tutto condivisibile, ma bisognerebbe tradurla in indirizzi precisi e atti concreti: assegnare risorse, migliorare il sistema, garantire a tutti il diritto all’istruzione, innalzare gli standard qualitativi della scuola.

 

Purtroppo c’è una forte discrepanza tra certe dichiarazioni e gli interventi previsti nello schema di regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri, i quali, più che investire “sulla” scuola, sembrano voler investire “la” scuola, come un tir che si abbatta su un malcapitato pedone.

 

Questi provvedimenti si riversano con particolare impeto distruttivo sulla scuola elementare. Il “maestro unico”, l’azzeramento delle compresenze, l’eliminazione del modulo, la sparizione delle 2 ore settimanali di programmazione sostanziano un perfetto dispositivo di destrutturazione di quella che è oggi la scuola elementare (un segmento di scuola che ha ottenuto importanti riconoscimenti a livello internazionale, che perfino il Ministro Tremonti ha riconosciuto essere ottima, aggiungendo subito dopo però che è “un lusso che non possiamo permetterci”).

 

La scuola primaria nel regolamento
Essi disegnano una scuola senza scambio, confronto cooperazione tra insegnanti, una scuola senza progetto. Ogni singolo “maestro unico” se la vedrà da sé ed eventuali interventi di altri colleghi saranno meramente aggiuntivi, per l’insegnamento dell’inglese o della IRC o per un completamento d’orario che siano.

 

Con buona pace della contitolarità.

 

Le due ore di programmazione settimanale garantiscono la possibilità di progettare, programmare, valutare l’offerta formativa attraverso un lavoro comune fra i diversi docenti. Permettono la modularizzazione dei diversi approcci disciplinari. Favoriscono l’integrazione tra diversi stili e modalità di insegnamento. Incardinano un’idea di scuola capace di proporre esperienze e percorsi di apprendimento significativi e poi di riflettere su quei percorsi e quelle esperienze, in una dimensione di ricerca-azione.

 

Ora si torna a dire, con una banalizzazione avvilente, che in fondo nella scuola primaria si tratta solo di insegnare a leggere, scrivere e far di conto (esattamente come si pensava nel dopoguerra). Non avrebbe senso quindi attardarsi a praticare didattica laboratoriale, individualizzazione, complementarietà di approcci, inter-trans multidisciplinarietà come è stato fatto in questi anni nei moduli.

 

A dispetto di una esigenza di alfabbetizzazione culturale, di un bisogno e di un diritto all’istruzione completamente ridisegnati dalla globalizzazione, dalla diffusione di nuovi mezzi di comunicazione, dall’affermarsi della società della conoscenza.

 

Del resto Ministro e Governo rivendicano che si tratta di un’ opera di “semplificazione”, di “essenzializzazione”.

 

E se le famiglie hanno bisogno di “sistemare” i figli a scuola per qualche ora in più, si cercherà di accontentarle in qualche modo, sempre nei limiti dell’organico assegnato per l’anno 2008/09, ma è evidente che il modello a cui si tende è la scuola del “maestro unico” nelle 24 ore settimanali (anche questa riduzione di una categoria in grandissima parte costituita di donne a una figura definita col maschile neutro fa evidentemente parte della semplificazione).

 

Vengono comunque mantenute le opzioni delle 27 e delle 30 ore settimanali, ma senza compresenza. E questo vale per tutte le classi, dal prossimo anno scolastico.

 

Vale la pena, in questi tempi di cupe offensive brunettiane, spendere qualche parola anche sulla compresenza.

 

La compresenza al tempo stesso presuppone e realizza interscambio e cooperazione tra insegnanti.

 

Nella pratica comune, la compresenza viene utilizzata per suddividere la classe in gruppi diversi, per garantire interventi individualizzati a bambine e bambini che ne abbiano necessità, per uscire nel territorio e approfittare delle opportunità educative, culturali, artistiche che offre.

 

Peraltro, anche a scapito delle valenze didattiche sopra accennate, ormai da anni, all’interno degli istituti scolastici le compresenze sono state utilizzate anche per le supplenze.

 

Viene mantenuta l’opzione delle 40 ore, il tempo pieno (?).

 

Si sostiene infatti che il tempo pieno si potrà fare utilizzando le risorse liberate grazie all’eliminazione del modulo e delle compresenze.

 

E’ come dire che il prezzo della salvaguardia del tempo pieno per alcuni (peraltro in massima parte concentrati al Centro Nord) sarà una scuola senza moduli e senza compresenza per tutti gli altri. Ecco un’altra delle infinite varianti della guerra fra poveri.

 

Ma davvero si mantiene il tempo pieno? A noi pare di no.

 

L’espressione “tempo pieno” identifica un modello pedagogico, didattico, organizzativo con caratteristiche precise che certo non possono essere ridotte all’orario di funzionamento.

 

Il tempo pieno è nato in Italia negli anni 70. Dopo il doposcuola, ovvero dopo le tante esperienze in cui per iniziativa o in collaborazione con gli enti locali si prolungava l’orario scolastico offrendo attività pomeridiane per i bambini e le bambine che ne abbisognassero, il tempo pieno ha costituito il modo attraverso il quale il tempo scuola antimeridiano, canonico, curriculare, e il tempo scuola pomeridiano, aggiuntivo si sono integrati in un unico progetto educativo, disegnando un tempo scuola unitario e di qualità sulla base del riconoscimento che lo spazio dato ai linguaggi non verbali, alla corporeità, alla dimensione ludica nelle attività pomeridiane lungi dal costituire una mera integrazione quantitativa alle attività curriculari del mattino, rappresentava invece uno straordinario volano dei processi cognitivi e di socializzazione.

 

Prima ancora che nella codificazione normativa, nei fatti si realizzò un progetto di scuola incentrato sul rispetto dei bisogni educativi e di apprendimento dei bambini: il rispetto dei tempi individuali garantito dai tempi distesi; il rispetto degli stili e dei ritmi di apprendimento individuali garantito dai tempi distesi, l’utilizzo di linguaggi verbali e non verbali, la diffusione di una didattica laboratoriale, la valorizzazione della manualità; una grande attenzione all’integrazione dei bambini con handicap o deficit di vario genere; una organizzazione del lavoro articolata in momenti di grande gruppo, individuali, di piccoli gruppi (grazie alle compresenze); la pratica delle classi aperte che arricchiva le occasioni di scambio e di confronto per gli alunni e tra insegnanti.

 

Non possiamo permetterci confusioni né ambiguità su questo punto: la quantità per tradursi in qualità ha bisogno di condizioni precise. Esattamente di quelle condizioni che questi provvedimenti tolgono drasticamente di mezzo.

 

Forse ci sarà ancora un tempo pieno, ma pieno di che cosa?

 

Con un maggior numero di alunni per classe, senza alcuna compresenza viene di fatto a mancare la possibilità di organizzare attività laboratoriali, di articolare l’attività in gruppi più o meno grandi.

 

Ricapitolando: quando (e se) i regolamenti andranno a regime, le classi funzioneranno a 24 ore settimanali oppure a 27 o a 30 o a 40, se l’organico, le risorse, le strutture lo permetteranno, ma tutte rigorosamente senza compresenza e illuminate dal modello del maestro unico; modello che, secondo il Ministro ” è assolutamente compatibile” perfino con il tempo pieno.

 

Il prossimo anno, 2009/10, si comincerà dalle prime
Già ce la immaginiamo una bella classe prima, di 27/29 alunni, con un’età compresa tra i cinque e i sette anni grazie al rinverdito anticipo, tutti i giorni della settimana con lo stesso insegnante, senza alcuna compresenza.quale possibilità di espressione, di ascolto, di risposta alle domande dei bambini? Quale rispetto dei ritmi, degli stili, delle intelligenze individuali? Per non parlare delle esigenze specifiche, ma diffuse, di bambini e bambine con particolari problemi o disagi o deficit.

 

E che vogliamo dire delle condizioni di un reale inserimento scolastico dei figli degli immigrati? (Ma su questo punto, dopo l’ordine del giorno sulle “classi ponte”, bisognerà essere molto attenti per impedire che prendano piede formule che alla valenza discriminatoria se non apertamente razzista, uniscono una totale insipienza in merito alle condizioni e alle didattiche che favoriscono i processi di apprendimento e di socializzazione dei bambini che stanno dentro a processi migratori).

 

Se avessimo voglia di far dell’ironia, potremmo dire, rassicurati, che gli estensori dei regolamenti hanno pensato al disagio degli insegnanti, alle questioni che potrebbero porsi e porre. Ma non c’è proprio da ridere: il comma 11 dell’art. 4 recita: “Sono organizzati …corsi di formazione professionale per i docenti, finalizzati all’adattamento al nuovo modello organizzativo”.

 

Eccola qui la valorizzazione della professionalità docente secondo il Ministro Gelmini: l’adattamento!

 

D’altronde è vero: di una grande capacità di adattamento ci sarà bisogno, innanzitutto da parte di coloro che per virtù di questi provvedimenti dovrebbero essere licenziati, da parte di coloro che si troveranno con un orario spezzatino da svolgersi anche in istituti diversi dello stesso ambito provinciale, e certamente anche da parte di quelle maestre e quei maestri che si troverebbero a lavorare in una scuola primaria stravolta.

 

Per i bambini e le bambine di questo nostro Paese, in una fascia d’età fondamentale per la formazione delle persone, il Governo ha in serbo una scuola impoverita, richiusa in se stessa, inevitabilmente autoritaria e oppressiva.

 

Questo disegno va fermato
Le iscrizioni sono la prossima, immediata occasione per continuare la mobilitazione: diffondendo l’informazione, raccogliendo e facendo vivere nel Paese il dissenso al disegno distruttivo di questo governo verso tutto il sistema pubblico, a partire da quello di istruzione, del quale la scuola primaria paga, in questo momento, il prezzo più alto.

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