3 Febbraio 1997

Discussione sulla sessualità maschile

CGIL NAZIONALE
Dipartimento Diritti di Cittadinanza e Politiche del Terzo Settore
Ufficio Nuovi Diritti

…violenza in famiglia, turismo sessuale, rifiuto di rapporti protetti anche con prostitute, l’equivoco della pedofilia…

Sala Simon Weil

Testo raccolto e coordinato da:

Gianluca Grasso
Claudio Tabacco
Maria Gigliola Toniollo

UFFICIO NUOVI DIRITTI – CGIL NAZIONALE

MARIA GIGLIOLA TONIOLLO
CGIL NAZIONALE – UFFICIO NUOVI DIRITTI

 

Abbiamo pensato di rivolgerci ad alcuni compagni e compagne, amici e amiche che da tempo collaborano con noi e di cui conosciamo già le idee per iniziare insieme un discorso particolarmente complicato.
“Ma di che si tratta?” chiedevano i nostri interlocutori. In realtà a questa domanda era quasi impossibile rispondere, perchè la necessità di incontrarsi e di discutere era nata sì da qualche cosa di inquietante, ma anche di assolutamente imprecisato e indefinibile, in particolare da un crescente e inarginabile senso di disagio.
Nell’ambito della strategia di riduzione del danno il Dipartimento si occupa già da tempo di argomenti difficili, per esempio, di prostituzione: più in particolare di diffondere una diversa conoscenza di questa realtà, di farsi parte attiva nella proposta di un disegno di legge di depenalizzazione e di sostenere tutti i provvedimenti atti a contrastare la violenza, la tratta, il traffico e lo sfruttamento, in particolare delle immigrate e degli immigrati.
Capita così di apprendere dalle testimonianze più dirette e da una inchiesta del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute del rifiuto del cliente della prostituta ad avere rapporti protetti, proprio oggi, in tempi in cui la campagna contro le malattie a trasmissione sessuale ha raggiunto toni ed accenti persino assillanti.
Al termine “prostituzione” deve corrispondere un rapporto tra adulti. Capita invece di imbattersi in ben altro, nella prostituzione minorile, per esempio, che riempie le nostre strade, molto ambita, molto ricercata, tanto da incentivare un mercato particolarmente spietato e senza scrupoli, che molto spesso gode della complicità delle famiglie al paese d’origine.
Capita che si costruisca addirittura un business di successo, organizzato a livello mondiale, il così detto “turismo sessuale”, viaggi della vergogna alla ricerca di bambini e bambine, a volte in tenerissima età, da sottoporrre a rapporti-tortura, senza freno alcuno, sfruttando diverse culture e soprattutto la miseria, cattiva consigliera di tanti paesi. Questo problema è stato affrontato dalla campagna internazionale “End Child Prostitution Asian Tourism” a cui la CGIL ha aderito sin dall’inizio, come Dipartimento Diritti, come categorie principalmente interessate, cioè Filcams, Filt e Scuola.
Ma le così dette violenze sui minori hanno origini storiche che si perdono nella notte dei tempi e una sede privilegiata: la famiglia. C’è quindi il rischio che il lodevole e sacrosanto impegno degli attivisti e delle attiviste dell’ECPAT e di altre associazioni venga strumentalizzato per proiettare esclusivamente su paesaggi esotici la denuncia di violenze su bambini e bambine e che si trovi così un ulteriore pretesto per non vedere invece quello che succede soprattutto fra noi, nella casa del vicino o in quella di fronte, cose di sempre persino ritenute da qualcuno ammissibili o “non tanto gravi”, basta che non si sappia in giro, tanto che è proprio l’assoluta omertà ad aver consentito le storie di sfruttamento sessuale più tragiche.
Per tornare al nostro disagio, troppe vicende combinavano sempre verso lo stesso comun denominatore, e tutto riconduceva ogni volta alle stesse conclusioni: all’idea, cioè, alla sensazione comune di affrontare un percorso aspro e disseminato di trappole, ma di percorrere la strada soltanto da un certo punto in poi, scartando l’origine, un’origine che definisce sempre, immancabilmente lo stesso soggetto: la sessualità maschile. Tutta la sessualità deve essere ridiscussa, ma è evidente che troppi fatti aberranti si fermano in modo tristemente esclusivo proprio alla sessualità maschile.
Non possiamo sottovalutare poi la continua messa in stato di accusa degli omosessuali a cura di stampa e media, il collegamento rituale e assiomatico tra l’omosessualità e la così detta “pedofilia”. Quanto è accaduto a Marcinelle e altrove in giro per il mondo è per la comunità umana qualche cosa di incomprensibile e inaccettabile. Ma in queste situazioni, proprio per la loro assoluta gravità, bisogna distinguere e saper chiamare assassini gli assassini, torturatori i torturatori, schiavisti e perversi coloro che effettivamente lo sono. Ma bisogna trovare anche la maturità e la capacità di discernere tra “pedofilia” e “pedofobia”, di rapportarsi senza confusioni a condizioni umane di estrema solitudine, di irrisolvibile sofferenza e, pur senza concessioni, ricercare anche in queste la possibilità di rispetto. Bisogna inoltre saper riflettere sulla sessualità infantile, non prefigurandosi il rifugio di un mondo comodo e irreale, esclusivamente legato a bambole e pinocchietti.
Ho partecipato tempo fa a un pessimo convegno a Genova, uno dei soliti. Una iniziativa con molte pretese, con tanto di patrocinio del Presidente della Repubblica e la presenza di parlamentari di primo piano. In quell’occasione, in un’atmosfera dalla morbosità imbarazzante e di un moralismo strabecero-vecchio stile, per due giorni quasi tutti i relatori si sono premurati di sparare a zero contro gli omosessuali, per due giorni si è reiteratamente criminalizzato internet…ormai il copione in voga è questo.
Iniziamo oggi a discutere sull’equivoco della pedofilia, quindi proprio dalla parte più delicata e difficile, perchè sembra non esservi dubbio che tanto nella patologia “pedofoba” come nel fenomeno della prostituzione di massa di bambini e bambine e nelle violenze in famiglia, il portatore della violenza è comunque sempre il corpo maschile.
Da qui la necessità e il dovere di ricominciare in qualche modo anche noi proprio dalle origini: so per certo che dovremmo andare avanti con questa iniziativa, già criticata, fraintesa, guardata con sospetto, decideremo come. Il sindacato mantiene delle potenzialità enormi, anche culturali, è presente in tutto il territorio. Potrebbe dire la sua, avere una posizione che scarti le banalità e le semplificazioni che ci affliggono. I nostri sindacalisti potrebbero arrivare ad essere quelli che in un posto di lavoro hanno informazione, che riflettono e che invece di aggiungere peso e volgarità al pregiudizio e al luogo comune, sanno finalmente dire una parola vera.

 

CLAUDIO VEDOVATI
RICERCATORE CENTRO RIFORMA DELLO STATO

Gigliola mi ha chiesto di introdurre questa riunione e voglio dire subito a quale titolo parlo, dato che non sono uno psicologo, un magistrato né mi occupo specificamente di pedofilia. Sono però un uomo che riflette sul nesso che c’è tra sessualità e violenza, a partire dal fatto di avere un corpo di uomo. Rifletto cioè sulla mia esperienza di genere e sulla storia del maschile. Io credo che questo sia uno dei punti di vista più utili per la comprensione del tema che vogliamo affrontare oggi.
Credo anche che ci sia un vantaggio nel parlare al di fuori di una specialismo, perché è parte proprio della storia del mio genere nascondersi dietro e darsi autorità attraverso saperi e tecniche apparentemente neutre, parlare cioè facendo ricorso ad una legittimazione esterna a sé – la Legge, la Scienza – nascondendo il punto di vista sessuato di chi parla. Io parlo come uomo e mi interessa capire se c’è un rapporto tra le forme sociali e storiche della sessualità maschile e ciò che chiamiamo genericamente pedofilia. Mi interessa indagare anche l’allarme sociale che questo fenomeno suscita e di conseguenza quale idea della sessualità, soprattutto maschile, e del rapporto adulti-minori ne emerge.
Non voglio – lo dico subito – entrare più di tanto nel merito di quanto, nella pedofilia, possiamo effettivamente ascrivere ad una patologia sessuale. Né credo di dover ribadire in questa sede la condanna di ogni forma di violenza.
Veniamo subito al tema, anzi alla parola: pedofilia. La mia sensazione nel rifletterci sopra è che questo termine sia inadeguato a rendere conto della complessità di questioni che dovremmo affrontare.
C’è innanzitutto una difficoltà scientifica a definire la pedofilia che si risolve spesso in definizioni tautologiche, a partire dalla identificazione tra filia e attrazione sessuale. In ambito psicologico si assume come del tutto pacifico che la pedofilia – intesa tout court come rapporti sessuali tra adulti e non adulti – sia una devianza sessuale. Nel volume Sessuologia clinica di Hertoft, ad esempio, essa viene associata a necrofilia, zoofilia e omosessualità, in base alla comune “variazione dell’oggetto sessuale”. A mio avviso, tuttavia, è estremamente contestabile l’idea che la devianza possa essere stabilita a partire dall’oggetto del desiderio, piuttosto che dalle forme stesse del desiderio, che – indipendentemente dal suo oggetto – può avere anche manifestazioni patologiche. Chi ha ancora il coraggio di sostenere che l’omosessualità sia una devianza?
Beninteso, proprio il volume di Hertoft si presenta come un testo abbastanza aperto nel considerare la pedofilia: circoscrive la definizione ai rapporti con persone che sono “nel periodo precedente, durante o appena dopo la pubertà” e prende in considerazione la complessità di questi rapporti, non riducibili a pure forme di violenza. Ma evidentemente ciò non basta e il tentativo di conciliare tensioni opposte prende in questo caso strade curiose: Hertoft propone ad esempio di sostituire in realtà non tanto per motivi scientifici quanto per il senso assunto nel linguaggio quotidiano – l’espressione “perversione”, certamente connotata da un punto di vista etico, con quella di “minoranza sessuale”.
In tal modo egli non mette in discussione il concetto di devianza o di perversione, ma coniuga qualcosa che ha a che fare con l’organizzazione della cittadinanza politica (maggioranza e minoranza, diritti: ovvero il riconoscimento della singola persona come una soggettività che sta dentro una collettività e interagisce in un sistema di regole) con la sessualità, le soggettività sessuate, che sono invece irriducibili alle forme della rappresentanza e che solo un delirio del pensiero liberale può associare reciprocamente. Per fare una battuta, pensiamo forse gli uomini come una minoranza sessuale rispetto alle donne?
Mi sono soffermato su questa infelice espressione perché mi pare che da essa emerga un primo punto importante: la profondità del conflitto interno alle discipline a cui ci rivolgiamo per ragionare sulla sessualità tra tensione scientifica e ragioni sociali e morali. Nelle definizioni scientifiche che parlano di devianza c’è inoltre l’idea che le forme di identità sessuale siano stabili ed esclusive. Voglio tornare più avanti su questo punto, ma dico subito che proprio il bisogno, del tutto artificiale, di stabilizzazione dell’identità sessuale, in particolare dell’identità maschile, mi sembra giochi un ruolo molto forte nel giudicare la pedofilia.
È evidente infine – ma non è mai male ribadirlo – che queste definizioni “scientifiche” della pedofilia ci dicono poco del loro “oggetto” e molto di più della cultura e della mentalità che quell’oggetto analizza. Ci dicono appunto, quali sono gli standard di normalità sociale in relazione alla sessualità. L’idea ad esempio che l’omosessualità sia una devianza sessuale non dice nulla dell’omosessualità e molto della cultura sessuale di chi la pensa in tal modo. Con tutto il rispetto per il progresso scientifico, suggerirei di fare il confronto con le definizioni proposte in materia sessuale agli inizi del nostro secolo e questa relazione apparirebbe ancora di più evidente. Giunti alla fine del secolo, non mi sentirei costretto a dare maggior credito a questo tipo di definizioni, senza che ciò voglia ovviamente significare una sconfessione delle discipline stesse. Ma il punto in effetti è un altro: possiamo dare una esclusività all’istituzione scientifica per la definizione dei nostri comportamenti? Anche rispetto alla pedofilia io credo di no.
Veniamo così all’altra sponda in cui si fa uso del termine, ovvero il linguaggio comune. È qui che troviamo le implicazioni simboliche più interessanti. Sulle pagine dei nostri quotidiani al pedofilo si dà la caccia, come fosse un animale; il pedofilo è un mostro; il pedofilo compie atti infamanti e contro natura. Gli aggettivi si sprecano… ma essi rimandano tutti ad uno stesso punto: la collettività pone fuori di sé, fuori dall’ordine sociale e morale, la pedofilia. La collega, inoltre, a qualcosa che mette in discussione ciò che consideriamo quasi un fondamento naturale della nostra specie. In realtà questo è un dato puramente storico e come tale va registrato.
Ogni volta che si nomina la pedofilia e dunque il tema dei rapporti sessuati tra adulti e non adulti si verifica perciò una alzata di scudi, drammatica e improvvisa, una reazione che non ammette repliche, un improvviso sbalzo oltre la razionalità. Il fatto è che evidentemente viene toccato un nervo sociale molto profondo. La sessualità, d’altra parte, è un essa stessa un ordinatore sociale profondo ed apparentemente invisibile, dietro il quale si nascondono gerarchie e poteri e che, non a caso, il genere maschile finge a se stesso di poter lasciare sullo sfondo. Il tema della pedofilia attiva silenzi e paure che riguardano questo livello della realtà, con cui preferiamo non fare direttamente i conti. Rispetto a tanta aggettivazione scandalizzata, direi quindi che sulla pedofilia emerge una difficoltà complessiva a nominare il tema per quello che semplicemente è, ovvero rapporti sessuali tra adulti e non adulti, piuttosto che per una delle forme che essa può presentare, di carattere certamente patologico.
Nelle definizioni c’è non a caso una riduzione della pedofilia a violenza. La condanna sociale della pedofilia passa attraverso questa identificazione e per l’asimmetria tra i due soggetti coinvolti nel rapporto. Il pedofilo è un deviato che esercita la sua perversione in forma violenta e su soggetti inermi. A partire dai più recenti casi di cronaca, l’immaginario collettivo sulla pedofilia si è arricchito anche dell’assassinio, realizzato nelle forme più efferate. Questa riduzione o identificazione tra pedofilia e violenza, che stringe di nuovo i rapporti sessuali tra adulti e non sul versante esclusivo della patologia, permette ulteriormente di rimuovere il tema, spostando l’attenzione sulle forme possibili del rapporto piuttosto che sul rapporto in sé. E serve dunque a chiudere definitivamente il discorso, un discorso che invece noi dobbiamo riaprire.
Io credo infatti che di questa rappresentazione della pedofilia si debba discutere seriamente, mettendo al centro l’insieme prepotente di paure che essa rimuove, anche se ciò comporta – ed è inevitabile – una censura pubblica.
Credo sia proficuo iniziare il nostro discorso da alcune evidenti contraddizioni in tema di rapporti sessuali tra adulti e minori, bambini e non, soprattutto rispetto agli aspetti tanto profondi dell’inconscio collettivo che si manifestano quando sembra comparire lo spettro della pedofilia.
Da una parte infatti c’è la pedofilia vera e propria, riconosciuta come tale: la figura del pedofilo, mostro o malato, molestatore di bambini – dei nostri bambini -, violento, spesso identificato – e a torto – con l’omosessuale, di cui ci rifiutiamo di pensare che possa agire in spazi di consenso, senza violenza sessuale, in dinamiche relazionali o rapporti di amicizia. Questa idea fa della pedofilia un fenomeno sociale controllabile. Essa tuttavia sorvola sul fatto che non esiste solo un comportamento ma anche fantasie pedofile e che se non sempre tutti i pedofili sono molestatori così non tutti i molestatori di bambini sono pedofili. Contrariamente a quanto si pensa infatti proprio lo sfruttamento dei bambini, a partire ad esempio dalla pornografia infantile, non ha di per sé ha che fare con la pedofilia o vi ha a che fare nella misura in cui c’è un proibizionismo.
A fronte di questa forma, riconosciuta socialmente, di pedofilia, che fa orrore ma che tuttavia isolata rassicura, c’è invece un’altra pratica dei rapporti fra adulti e bambini che non è socialmente identificata con la pedofilia e che infatti, anche se certo suscita condanne, non muove gli stessi sentimenti profondi e le stesse reazioni, come se non colpisse lo stesso spazio psicologico profondo. Mi riferisco alle violenze sessuali sui minori all’interno delle famiglie e al cosiddetto turismo sessuale, ovvero alla prostituzione organizzata in diverse aree del secondo e terzo mondo. In questo ambito la nozione di pedofilia è del tutto cancellata, nel senso che non vengono proiettate sugli uomini che realizzano queste violenze né la nozione di malattia né quella di perversione. Un padre di famiglia che si organizza una “vacanza” in Thailandia e ha rapporti sessuali con un dodicenne non viene nell’immaginario comune identificato con un malato e sappiamo bene che non appartiene certo ad una “minoranza sessuale”. In questo caso siamo ben lontani dall’identificare questi comportamenti contro natura e casomai, al contrario, ad essi associamo una idea mitica dello stato di natura (non chiamiamo forse quei paesi “paradisi sessuali”?). Dunque nessun sussulto, nessuna voglia di linciaggio, eppure anche qui si tratta di rapporti sessuali tra adulti e non, che si realizzano su una scala di massa, che coinvolgono una parte consistente dell’universo maschile dei paesi a capitalismo avanzato, in cui – soprattutto – non c’è possibilità di equivoco tra esercizio della violenza e forme di relazione consensuali.
Noi dobbiamo spiegarci questa divaricazione dei significati. Spiegarci perché alcuni rapporti tra adulti e bambini sono letti in un certo modo e altri rapporti sono letti in un altro modo, perché in un caso una nozione viene esaltata e nell’altro cancellata. La nostra indignazione e il nostro giudizio più profondo cambia forse con il mutare delle latitudini? Ci spaventa meno la prostituzione di una bambina di ciò che identifichiamo come rapporto pedofilo? Certamente. E su questo si dovrà pure ragionare. Il punto vero, tuttavia, è che da questo confronto emerge chiaramente come la nozione comune di pedofilia faccia acqua.
A me sembra che un punto da mettere in discussione sia l’identificazione totale e irreversibile, che si trova un po’ ovunque e a partire dai testi scientifici, tra desiderio di un bambino e abuso sessuale, e dunque tra pedofilia e molestia sessuale. I presupposti di questa identificazione sono il modo stesso di concepire due figure: quella del soggetto e quella dell’oggetto dell’abuso. Io credo che queste figure vadano decostruite, smontate.
Del soggetto, o meglio del desiderio di questo soggetto, si dice che è prodotto da immaturità affettiva, da un deficit di capacità di autoidentificazione, da una incapacità a sostenere relazioni interpersonali adeguate. Si parla di soggettività deviata che va curata e/o punita. In questo caso agisce una nozione di adulto abbastanza stabilizzata rispetto alla quale poi si costruisce un modello di devianza che si manifesta anche in ambito sessuale. Il pedofilo, in questi termini, è esclusivamente un individuo malato, che in fondo è un gradino un po’ più su della disfunzione sessuale, e la malattia è una disfunzione di identità rispetto all’oggetto del desiderio. Dall’altra parte, invece, abbiamo un bambino che è privo di desiderio, è oggetto, è asessuato, è privo di un sapere, è incapace di scelta e quindi anche manipolabile.
Paradossalmente, ma non tanto, se nel primo caso abbiamo un soggetto il cui desiderio è ridotto a devianza dell’identità, dunque un soggetto impoverito, anche per il bambino o minore funziona la stessa logica: un altro soggetto impoverito, che entra nel nostro spazio discorsivo solo come oggetto. In entrambi i casi costruiamo immagini di soggettività o ridotte al silenzio: o da ridurre al silenzio, il bambino che è un soggetto debole da tutelare, indipendentemente dalla sua volontà e che anzi non ha volontà; ed il pedofilo, un soggetto debole che va difeso da se stesso e da cui bisogna difendere il mondo.
Io credo che confrontarsi con questa rappresentazione non possa in alcun modo esser letto come una forma di complicità con ogni forma di violenza esercitata sui bambini e che all’opposto si debba riflettere sulle connessioni che ci sono proprio tra queste violenze e la rappresentazione che ne diamo.
Non vi è alcun dubbio che nell’immaginario collettivo sulla pedofilia agisca un mito del bambino che è anche una forma di controllo su di esso, e in particolare sull’esperienza ancora in nuce della sua sessualità. L’idea di una infanzia angelicata, tra l’altro, non è estranea nell’alimentare la passione pedofila.
L’idea di un soggetto-oggetto debole da tutelare, privo di sessualità e inconsapevole, e, dall’altra parte, di un soggetto desiderante malato, viene in realtà messa in discussione da molte testimonianze dirette che noi abbiamo, sia dei bambini che dei pedofili, ovviamente laddove non vi è esercizio esplicito della violenza. Che queste testimonianze siano da accettare è considerato un vero e proprio scandalo, soprattutto quelle dei bambini. Non mi riferisco – lo dico per essere chiaro – al problema del coinvolgimento diretto dei minori per la testimonianza in ambito processuale, ma al modo in cui i soggetti – adulti e non adulti che hanno rapporti – si autorappresentano, il che non vuol dire ovviamente che esse vadano sempre e comunque date per buone (comunque, come ci ricorda Foucault, ” ci si può fidare di un bambino per dire se egli abbia subito una violenza oppure no”).
Gli adulti sottolineano l’amicizia e l’affetto dato bambini, spesso soli e abbandonati o puniti, e quindi amicizia e affetto prima ancora di una vera e propria esperienza sessuale. La dimensione sessuale, quando e se entra in campo, viene descritta come una iniziazione al piacere e alla scoperta di sé, una sorta di dono che l’adulto fa al più giovane. Quando entra in campo la sessualità intesa come rapporti fisici il pedofilo parla di un rovesciamento nel gioco delle parti, cioè fa riferimento non solo al potenziale consenso del suo giovane partner ma alla possibile seduzione.
È certamente una autorappresentazione che può fornire alibi alla violenza soprattutto in chi la fa e che suscita inevitabilmente l’idea della circonvenzione o della subdolità del pedofilo. Tuttavia a me interessa sottolineare tutt’altra cosa: che ciò che più a noi fa ribrezzo è in realtà l’idea di una sessualità del bambino che si esprime, che è attiva e che entra in relazione con il desiderio, eventualmente, anche di un adulto. Non a caso, proprio l’autoriflessione degli adulti accusati di pedofilia può far leva su un motivo ideologico-culturale per cui, a fronte di una sessualità autonoma negata ai bambini dal mondo degli adulti, vi sarebbe una riattivazione, una liberazione del desiderio dei non adulti fatta dai pedofili. Un rapporto dunque che sarebbe propriamente pedagogico, una educazione al desiderio ed al piacere. A questo proposito si fa spesso riferimento ad una nota affermazione di Freud per cui le prime voglie sessuali, le prime forme di attrazione sessuale di un bambino, vengono nei confronti di un adulto e allora, in questo caso, vi sarebbe un vero e proprio risveglio di qualcosa che invece la società vuole tenere nascosto. Anche in questo caso potremmo dirci che si tratta solo di un tentativo di legittimazione della violenza, ma io credo sia più coraggioso domandarci se invece il tema del desiderio non agisca anche e come in una persona non adulta.
D’altra parte è difficile per il senso comune accettare la normalità con cui talvolta è stata descritta l’esperienza della pedofilia da parte dei ragazzi, laddove ovviamente ci sia amicizia, consenso, gioco reciproco. Questa normalità contrasta con il terrore che abbiamo noi adulti delle conseguenze su i non adulti della pedofilia e c’è piuttosto da chiedersi se quei traumi che paventiamo non siano in alcuni casi prodotti, invece che dal rapporto pedofilo in sé, dalla condanna morale implicita che noi facciamo ricadere sui soggetti coinvolti, in particolare dal fatto che lo consideriamo un atto contro il pudore. Come ci sarebbe da riflettere sulla paura che da rapporti pedofili possano nascere tendenze omosessuali dei bambini. E tutto questo senza contare che esista anche una letteratura psicologica che nega di aver trovato su bambini coinvolti in rapporti con adulti alcun disordine di tipo psichico.
Di estremo interesse mi sembra comunque l’idea che nella pedofilia agisca una tensione pedagogica e che sia proprio questa a far problema. Non si tratta di dire se condividiamo o no questa forma di pedagogia, ma di capire se le paure che ruotano intorno alla pedofilia e dunque nel nostro immaginario profondo non vi sia un problema di rapporti anche con la pedagogia.
Nessuno può negare che nella nostra storia culturale siamo arrivati a un certo punto in cui si è operata in maniera netta, radicale, una scissione tra pedagogia e sessualità, come ancora oggi testimonia – ed è solo un piccolo esempio – la difficoltà ad introdurre il tema dell’educazione sessuale nei luoghi istituzionalizzati della formazione, cioè nella scuola.
Che cosa c’è dietro questa scissione tra pedagogia e sessualità? A mio avviso è qui che agisce in maniera potente la figura del pedofilo, nel senso che essa rompe questa scissione e dunque incrina l’ordine sociale e sessuato che su essa abbiamo costruito.
Non a caso se noi guardiamo al modo in cui sono organizzati i nostri spazi sociali, vediamo che c’è una vera e propria distinzione: ci sono degli spazi sorvegliati, degli spazi apparentemente sorvegliati ma dove c’è in realtà l’arbitrio assoluto e degli spazi non sorvegliati dove c’è più possibilità di gioco e di relazione. Lo spazio sorvegliato per eccellenza, ovviamente, sono i luoghi della pedagogia, cioè i luoghi istituzionalizzati della pedagogia; luoghi dove non solo non può in alcun modo entrare il desiderio ma addirittura è tutto il sistema del sapere che viene desessualizzato. Non siamo semplicemente di fronte al fatto, anche minimale ma che continua a fare tanto scandalo, che due bambini si bacino sotto un colonnato della scuola. Qui siamo di fronte ad un sistema formativo e a una organizzazione del sapere che nel suo complesso è desessuata. In questo rapporto pedagogico dunque non sono né possono essere in relazione tra loro i corpi, non può entrare il desiderio del docente e del discente. Esso non è riconosciuto e può essere solo colpevolizzato. Ma in ogni caso la desessualizzazione del sapere ha conseguenze ben più profonde che non è qui il caso di analizzare.
Ci sono poi degli spazi non sorvegliati, molto più liberi, che sono poi effettivamente gli spazi che vengono indicati dagli esperti come i luoghi dove si possono produrre generalmente contatti pedofili, cioè i luoghi di socializzazione deistituzionalizzata o in parte deistituzionalizzata: la strada, la piscina, la palestra, lo spogliatoio. Luoghi dove dominano le regole della socializzazione maschile, spazi pubblici governati da rapporti che hanno come modello quello del rapporto maschile: competizione, uso del corpo come macchina. In questo ambito troviamo situazioni di carattere pedagogico che possono usufruire di una infinità di possibilità sessuate in più di quanto non possa accadere nello spazio sorvegliato della pedagogia istituzionalizzata, se non altro perché non è possibile lasciar fuori da esse i corpi. È evidente che in questi spazi si istituisce un rapporto precipuo tra corporeità e gerarchie, saperi, figure pedagogiche, rapporto a cui non è estranea la sessualità. In questa divisione di spazi ce n’è un ultimo, senza che questo ovviamente esaurisca un catalogo degli spazi possibili delle relazioni sociali, che solo apparentemente è controllato e che invece è il luogo di arbitrio per eccellenza: ed è lo spazio della famiglia. In questo spazio c’è una divisione sociale dei ruoli: da una parte c’è un corpo, quello della madre, dall’altra parte un corpo del padre e in mezzo i ragazzi, i bambini. Sono due corpi che svolgono due funzioni diverse a cui sono concesse cose diverse: al corpo della madre è concesso provare e dare piacere, e le sue tensioni erotiche nel contatto con la pelle di un bambino non suscitano in noi alcuna preoccupazione. Viceversa, il corpo del padre è stato storicamente incapace di dare e provare piacere nel rapporto fisico con un figlio, incarnando piuttosto tutt’altro tipo di trasmissione del sapere, l’autorità sociale. Il contatto fisico che molti figli ricordano con il padre è magari solo un ceffone o la voce alzata. C’è ovviamente un rapporto – sui cui qui non è possibile soffermarci – tra questo ruolo sociale del maschio e le violenze sessuali in famiglia. Mi viene comunque in mente la ius primis noctis dei mandarini cinesi. Qui vige la regola per cui è il padre che deve avere la prima notte di sesso con la figlia, una regola per cui non ci sarebbe affatto bisogno di citare i mandarini cinesi, ma che comunque in questo caso viene istituzionalizzata in un livello sociale alto, riconosciuta come regola che fonda un ordine sociale, che non possiamo certo attribuire ad ignoranza o arretratezza culturale.
In ambito familiare, dunque, la scissione tra pedagogia e sessualità è del tutto apparente. Sia se consideriamo la violenza fatta sui bambini dal genitore maschio sia all’estremo opposto se consideriamo le tensioni erogene nel rapporto tra corpo della madre e figli. Però questa sessualità viene rimossa.
Io credo che la scissione tra pedagogia e sessualità, che a modo suo la pedofilia rende visibile e mette in discussione, sia una delle forme attraverso le quali l’ordine sociale sessuato controlla le forme di socializzazione del bambino, soprattutto a partire dal fatto che la sessualità del bambino è una sessualità ancora informe rispetto ai modi costituiti della sessualità, cioè alle forme storiche in cui poi si è costituita e manifestata. Non informe dunque rispetto ad un modello naturale di compiutezza sessuale, non informe perché ancora incompleta e non abbozzata, ma informe perché ancora capace di andare in più direzioni, forse anche perché più ricca: ricchezza che mette in crisi relazioni sociali costruite storicamente su modelli controllati di sessualità, che nel nostro caso corrispondono alla “normalità” della coppia eterosessuale, fino a poco tempo fa criminalizzata nei rapporti non finalizzati esclusivamente alla riproduzione e a costruire una famiglia, ovvero il nostro nucleo sociale. Criminalizzata anche quando rompe l’esclusività del rapporto amoroso.
C’è, a mio avviso, un vero e proprio crescendo di controllo rispetto alla sessualità del bambino. Il primo livello ovviamente è il controllo dell’autoerotismo, la masturbazione. Suona molto strano immaginare padri e madri che educhino i propri figli alla masturbazione. Perché? La sorveglianza sull’autoerotismo ha prodotto invece del terrorismo culturale e sessuale minacciando malattie e disordine psichico. C’è un rapporto evidente tra questa censura e tutta una serie di gradi successivi che non producono più un disordine psichico dell’individuo ma producono un disordine sociale, perché attengono ad una dimensione relazionale della sessualità: produce disordine sociale l’immagine di una sessualità vissuta tra bambini e cioè che non solo il bambino non può masturbarsi ma non può avere attività sessuali di un qualsiasi altro tipo con coetanei; e produce disordine sociale il grado successivo, il rapporto tra bambino e adulto. Il rapporto che in assoluto produce più disordine sociale.
L’idea che questo rapporto sia leggibile solo con gli occhiali della violenza è tanto più forte quanto più a fondo si pensi che un ordine sociale venga minato. Quanto più grande è la paura che l’idea di normalità sessuale venga messa in discussione. Credo infatti ci sia un rapporto tra il modo in cui pensiamo l’ordine sociale e il modo in cui pensiamo il disordine psichico e che ciò entri pesantemente in gioco quando parliamo di pedofilia. La sessualità – occorre ripeterlo – è un ordinatore sociale profondo e vorrei ricordare che la paura ad accettare la natura libidica delle relazioni interpersonali e tanto più la natura libidica, e quindi sessuata, dei rapporti tra figli e genitori, adulti e non adulti, rimanda certamente al tema dell’incesto.
Questo è un grande tema da indagare, e viene spontaneo chiedersi se non sia questo il nodo profondo che viene toccato quando si prospetta anche solo l’ipotesi di rapporti tra adulti e non adulti. Rispetto al quale, dunque, la pratica della pedofilia rompe indubbiamente un silenzio e l’ordine sociale ad esso legato.
A me sembra del tutto scontato che rapporti interpersonali tra adulti e non adulti abbiano anche una natura libidica. Se così non fosse così non ci sarebbe alcuna possibilità di trasmissione di nozioni sociali, di caratteristiche psicologiche, cioè non sarebbe possibile la relazione sociale. Eppure noi nascondiamo la natura sessuata delle relazioni figli-gentitori. Queste tensioni ci spaventano e chiaramente non sappiamo come gestirle.
È interessante notare tuttavia come una parte di questa libido possa vivere visibilmente ed essere accettata se passa per il corpo della madre, mentre è più facilmente negata quando è in campo il corpo del padre. La percezione negativa del corpo maschile, d’altronde, è iscritta nella storia del genere: un corpo offensivo, invadente, che non genera, non si riproduce ed è al contrario capace di distruggere, un corpo da cui gli uomini spesso prescindono, dimenticando le sue ragioni, i suoi desideri e bisogni. Questa percezione negativa è all’origine non solo della rimozione dei corpi dalla storia, ma anche di un modello astratto e asessuato di individuo, del bisogno del controllo sociale sul corpo della donna, della proiezione della realizzazione maschile nella Storia, nelle grandi narrazione, di molte forme di violenza, dallo stupro alla guerra. Questa percezione è anche un dato storico del corpo maschile e non una sua caratteristica biologica (come lascia supporre ad esempio ogni tipo di intervento medico sul corpo del pedofilo) e i primi a doverne fare i conti per prenderne dentro di noi le distanze siano noi maschi. Io credo che questa percezione – la miseria del corpo maschile – agisca pesantemente anche sulla pedofilia, tanto sul desiderio pedofilo, quanto sulle paure sociali legate alla possibilità che un corpo maschile si avvicini a quello di un bambino. E su questo tornerò più avanti.
Ora mi interessa invece passare ad osservare come il controllo sulla sessualità dei non adulti, nelle sue diverse forme, sia in rapporto ad una certa idea di sessualità adulta. In particolare credo che l’idea che i rapporti tra adulti e non siano una devianza si fondi anche sull’idea di stabilità e maturità sessuale degli adulti, un concetto che è utile decostruire, come già quello del bambino privo di sessualità. E da decostruire in due direzioni: la prima riguarda il rapporto tra eterosessualità ed omosessualità e la seconda il passaggio dal bambino all’adulto.
Sono sempre stato molto colpito dal fatto che se noi diamo profondità storica alle nozioni di eterosessualità e di omosessualità, scopriamo che ciò che noi oggi abbiamo identificato come identità sessuali stabilizzate, al punto che alcuni le riconducono a pura determinazione biologica, siano in realtà molto meno stabili e identificabili con chiarezza. Più che identità infatti, in alcuni momenti della nostra cultura omosessualità ed eterosessualità si riferivano a ruoli sessuali, spesso per niente esclusivi. Molto spesso il rapporto omosessuale non metteva per niente in dubbio la virilità maschile, ma era solo uno dei percorsi più diffusi di iniziazione sessuale. Dunque forme relazionali di identità sessuali molto più articolate e complesse. E in molti ambiti l’omosessualità non suscitava né paure né allarme sociale.
L’altra decostruzione della nozione di stabilità sessuale dell’adulto riguarda invece una dimensione cronologica. Siamo infatti portati a considerare le fasi di crescita di un adulto in termini progressivi: le fasi antecedenti si cancellano per raggiungere uno stadio di maturità dal quale non si può più tornare indietro. La nozione di crescita, anche di costruzione di una identità sessuata, non viene posta in continua relazione con la propria storia ma più spesso pensata come il raggiungimento di uno stadio – io parlo proprio di stadio, quasi in una logica evoluzionistica, quindi di un progresso – che non si può abbandonare, da cui non si può recedere, pena l’abbrutimento.
Io mi chiedo se proprio una nozione meno stabilizzata e più aperta dell’identità sessuale adulta non ci aiuterebbe a capire meglio le nostre paure più forti riguardo alla pedofilia. Anzi, credo che la paura di massa per la pedofilia nasconda anche il bisogno di difendere questa stabilità. Il pedofilo, infatti, la trasgredisce in più direzioni.
È interessante notare a questo proposito come ci sia nell’immaginario comune e in ambito giuridico una nozione di identità non adulta, cioè asessuata o priva di libera scelta sessuale, notevolmente estesa. In termini tecnici gli psicologi parlano di pedofilia solo per quei rapporti in cui sono coinvolte persone che ruotano intorno alla pubertà, ma la legge proibisce i rapporti tra adulti e minori ben oltre la pubertà e l’immaginario collettivo pensa a pedofili che usano i corpi di bambini di pochi mesi. Che termine utilizzare allora? Bambino, adolescente, minore? Io credo che dopo l’età della pubertà sia una violenza negare desiderio e sessualità. D’altra parte la nozione storica di minore è molto sfuggente e si sposta di continuo. Paradossalmente, in Europa l’età per cui si viene considerati minori – con tutto quello che comporta dal punto di vista di una libera gestione della propria sessualità – va spostandosi verso l’alto e non verso il basso, cioè più la società si modernizza e più il concetto di minore viene spostato in avanti. È il compimento della pubertà, in realtà, che dovrebbe permetterci di parlare di desiderio, di potere, di possibile consenso nei rapporti con gli adulti. La sovrapposizione tra fase della pubertà e nozione di minore in ambito sessuale è una vera e propria forma di controllo sociale sui non adulti. Ciò sancisce – ripeto – una nozione di bambino o adolescente come soggetto non desiderante e privo di sessualità, trasformato in feticcio e in oggetto. Una vera e propria costruzione mitologica della natura angelica dei bambini. Una declinazione piuttosto punitiva, in realtà, del diritto dei non adulti a diventare liberamente adulti ed una proiezione delle paure dei già adulti sui non ancora adulti.
Tornando alla pedofilia, essa è propriamente imputata di intromettersi nel libero sviluppo della sessualità di un non adulto. Spesso è così, anche laddove non si verifica violenza, dove c’è consenso. Ma fino a che punto non è una intrusione anche il controllo che abbiamo organizzato intorno alla sessualità dei bambini e il modo in cui abbiamo elaborato la nostra nozione di libertà della crescita? Il mondo dei non adulti è sempre più isolato, apparentemente protetto: ma questo suo isolamento è una difesa o una espropriazione? Dunque, libertà o controllo?
Certamente ciò che chiamiamo pedofilo si muove su un terreno estremamente conflittuale e su cui vige un controllo sociale speciale. Esso lavora sulle contraddizioni che trova intorno a sé, a partire dai divieti. Il pedofilo, anche quando invoca il consenso, usa il proprio interlocutore come oggetto. Ma fa in maniera diversa ciò che sullo stesso terreno fa l’intera società. Da questo punto di vista se l’immagine comune fa della pedofilia, ovvero della sola idea che siano possibili rapporti sessuali tra non adulti e adulti, un detonatore simbolico e sociale da disinnescare, la pedofilia intesa nelle sue forme patologiche nasce condividendo lo stesso ordine sessuato e a suo modo lo riproduce. La mitologia di una infanzia asessuata, la scissione tra pedagogia e sessualità, l’inagibilità sociale del corpo maschile adulto nei rapporti con i non adulti, contribuiscono a dare spazio esclusivamente a rapporti di tipo patologico e insieme a vedere come potenzialmente patologici tutti i rapporti in cui è in gioco anche desiderio, libido, sessualità. Il rapporto adulto-minore può avere mille forme, anche sessuate, comunque asimmetriche, ma non per questo violente. Il problema vero è il discrimine oltre il quale si possa parlare di violenza nonché di consenso. Concetti che rimandano alla relazione, dunque ai soggetti, se vogliamo davvero considerare i non adulti ugualmente soggetti.
In questo quadro gioca un ruolo determinante la questione della sessualità maschile. Non c’è dubbio, infatti, che tanto nella patologia pedofila come in quei rapporti sessuali tra adulti e non che sono la prostituzione di massa dei bambini e le violenze in famiglia, il portatore della violenza è il corpo maschile. Deve essere chiaro infatti che stiamo comunque parlando di fenomeni che riguardano la sessualità maschile e non la sessualità degli adulti in maniera differenziata. Siamo cioè di fronte a forme di violenza sessuata. La miseria che l’uomo associa al proprio corpo, la paura della sua non desiderabilità, la necessità di usare violenza per imporre il rapporto o di poterlo solo comprare, sono alla base anche delle violenze sessuali sui bambini, come delle altre violenze. Violenze in famiglia, stupro, prostituzione sono i luoghi dove il maschile esercita la propria impotenza relazionale. Proprio l’idea di un rapporto sentito, vissuto, in forma asimmetrica, tra sessualità che si esprimono in forma diversa, aiuta a recuperare lo svantaggio che il maschile sembra associare al proprio corpo. Ancor più lo aiuta l’invenzione di una natura asessuata del suo interlocutore. In questo caso, dunque, patologia sessuale e immaginario comune si associano reciprocamente.
Il rapporto tra pedofilia e sessualità maschile è tuttavia molto complesso e a più direzioni. Deve far riflettere in particolare l’invenzione di una matrice omosessuale della pedofilia. In questo caso non si tratta di una semplice somma colpevolizzante tra forme di sessualità che consideriamo o abbiamo considerato devianti – contro natura, addirittura – e che dunque associamo. L’idea che un rapporto pedofilo prenda preferibilmente la forma omosessuale, infatti, serve piuttosto a coprire la normalità di tanti altri rapporti sessuali tra adulti e non, come appunto la prostituzione e le violenze sessuali dentro casa. Essa allontana da noi la figura del pedofilo, rassicurandoci, e insieme esorcizza la paura maschile dell’omosessualità. Di contro la percezione negativa del corpo maschile è alla base di buona parte delle paure riferibili alla pedofilia e sancisce l’inagibilità del corpo maschile nelle relazioni tra uomini di generazione diversa. Qual’è la reazione istintiva se un uomo adulto si avvicina ad un bambino e perché è profondamente diversa se ad esso si avvicina una donna? Perché fa scandalo dire che un bambino maschio può desiderare il corpo di un adulto maschio, il corpo del padre? Perché invece non fa scandalo se un bambino, maschio o femmina, desidera il corpo della madre? Perché nell’organizzazione interna alla nostra famiglia il lavoro di cura, cioè di crescita dei figli è completamente scisso dall’informazione sessuale, salvo poi recuperare il tutto con la violenza dei padri?
Credo che il rifiuto generalizzato di ogni forma di rapporto tra adulto e minore rimandi anche all’idea che il corpo maschile possa esprimersi solo in forma violenta, che la sua sessualità sia di per sé esercizio di violenza. Una forma di sessualità che va controllata e repressa, nei rapporti con gli adulti e con i bambini. Una idea misera del maschile, appunto, costruita dal maschile stesso, che si è condannato a vivere in maniera negativa e colpevolizzante la propria libido e che si sente incapace di dare e di prendere piacere.
A questo punto l’interrogativo è se ci interessa riprodurre questa visione del maschile, se non sia un peso anche per noi uomini. E credo che una certa visione della pedofilia ovvero dei rapporti sessuali possibili tra adulti e non, schiacciata sul versante della violenza, identificata con una visione discriminante dell’omosessualità, siano insieme il risultato e la riconferma di questa idea misera del maschile. Ed essa fa il paio con una idea colpevolizzata della sessualità in generale, che rende inaccettabile ogni tipo di rapporto che si allontana o contraddice la norma sociale o che al contrario svela il suo fondamento.
Mi chiedo se su questo terreno siamo capaci di pensare ad una libertà dei non adulti, liberi dalle nostre paure e mitizzazioni, salvaguardati nella loro autonomia, un autonomia che valorizzi la differenza e non la depotenzi, non la distrugga nell’impatto con un mondo già costituito.

 

MARIELLA COMERCI
CGIL NAZIONALE – DIPARTIMENTO SETTORI PUBBLICI

Quando abbiamo pensato a questa riunione, nel primo incontro, il nodo che avevamo individuato non era tanto – almeno a me era parso così -, la pedofilia ma piuttosto tutta una serie di fenomeni tra cui appunto la pedofilia, che ci hanno fatto pensare che uno dei nodi fosse la sessualità maschile.
Devo dire che forse per distrazione o forse perché sono poco informata, ma almeno a me non è mai successo di sentire parlare veramente, se non come cenno, della sessualità maschile, mentre si parla spesso della sessualità femminile. Era successo già nell’incontro sulla prostituzione, alla fine molti avevano detto: uno dei nodi è la sessualità maschile, cioè il cliente, bisognerebbe cominciare a parlarne chiaramente.
Una puntualizzazione, prima di andare avanti, Claudio diceva: “il primo oggetto sessuale del bambino è un adulto”. Non è un adulto, è un’adulta: la mamma. L’identità sessuale, per maschi e femmine, si costruisce in questo primo rapporto, la fisicità e l’omosessualità hanno la loro strutturazione in questo primo rapporto. Lo so che sono schematica, ma non è questo l’oggetto della discussione, mi serve per dire che questo mi fa pensare che il problema è corpo maschile, la sessualità maschile.
Mentre della sessualità femminile con il femminismo, c’è stata una elaborazione teorica e se n’è parlato e si sono viste i risvolti sul corpo femminile, sulla maternità, l’aborto, ecc., della sessualità maschile no, se non in negativo, nel rapporto tra sessualità e violenza.
Il fatto è che la violenza sessuale, l’incesto, che riguarda principalmente violenza del padre sulla figlia, la prostituzione vista dalla parte del cliente, sono tutti fenomeni che riguardano la sessualità maschile e il suo rapporto con la violenza. Sessualità e violenza sono legati tra loro e riguardano molto la sessualità maschile. Io avrei desiderato sentire dire qualche cosa di più su questo.
Le donne hanno detto molto sulla propria sessualità e sui rapporti. Anche quando si parla di prostituzione si analizza sempre dalla parte delle donne e quindi dall’offerta e mai mi è riuscito di sentire, e non mi sembra che ci sia una elaborazione su questo, da parte della domanda, del cliente. Perché la prostituzione, evidentemente, riguarda principalmente gli uomini, e così gli altri fenomeni di cui si parla oggi. Sarebbe interessante cercare di vedere l’altro lato del problema.
Una notazione a latere: di certi fenomeni si parla solo quando suscitano scandalo, e diventano scandalo solo quando scatta l’allarme sociale. Della pedofilia si è parlato moltissimo qualche mese fa, dopo i fatti del Belgio, ora l’attenzione si è spostata sui “sassi”. Quello che scatena la reazione è l’allarme sociale che fa emergere fenomeni promuovendoli agli onori della cronaca. Non è che all’improvviso la pedofilia, la prostituzione, il turismo sessuale o altre cose siano diventate all’improvviso di massa, piuttosto i mezzi di comunicazione sono diventati più potenti perchè la globalizzazione dei mercati riguarda tutto, non solo il mercato delle merci ma anche tutti i diversi mercati, anche di quello del sesso. Oggi viaggiano su reti informatiche molte informazioni che prima viaggiavano su reti tradizionali. Mi riferisco in particolare alle polemiche e i relativi attacchi che puntualmente vengono fatti ad internet, uno degli strumenti più potenti della globalizzazione dei mercati, come causa, mezzo della prostituzione, del turismo sessuale. Il motivo vero di questi attacchi è il fatto che nonostante i tentativi non si riesce a controllare questa rete/ragnatela intricatissima che resta essenzialmente anarchica. Ed in questo sta il suo fascino.
Sono assolutamente d’accordo sul discorso che il bambino non è asessuato, e che non è vero che non ha desiderio, eccetera. Ma mi colpisce che quando si parla di bambini e di minori si parla sempre della sessualità che non c’è, e del bambino come vittima, come oggetto. Così come si parlava della sessualità della donna, la donna come vittima, come oggetto di violenza eccetera, ma dalla parte del soggetto fino a che non sono state le donne ad imporlo. Dei bambini come soggetti non se ne parla, e per loro soggetti “deboli” per definizione e difficile farlo in prima persona. Non vorrei che il desiderio, la sessualità del bambino fosse “detta” dal pedofilo, pur nell’accezione ampia e non negativa che ne dava Claudio.
L’ultima cosa, che è uno degli aspetti di questo discorso, è quella che accennavo prima rispetto alla globalizzazione dei mercati. Vorrei cercare di spiegare cosa intendo, legandolo anche alla questione del turismo sessuale, alla campagna contro. A me tempo fa ha colpito moltissimo una riunione che abbiamo fatto in CGIL, sul lavoro minorile in Paraguay, dopo che era stato ucciso il bambino che aveva denunciato lo schiavismo. In molti paesi, coesiste al turismo sessuale un altro fenomeno aberrante dell’uso dei minori, dei bambini che è la schiavitù sul lavoro. Anche lì si tratta dell’uso dei corpi dei bambini, in quel caso proprio per produrre beni. I bambini che vengono usati per tessere i tappeti perché hanno le mani più piccole che poi noi tutti compriamo, perché vengono inondati i mercati occidentali, ci turbano meno dell’uso sessuale dei bambini se non quando vengono uccisi, ma non sono meno aberranti e non è causato dal fatto che c’è la mondializzazione dei mercati. Globalizzazione che non è di per sé negativa, non è che queste cose non esistevano quando non c’erano questi mezzi ma piuttosto l’informazione circola di più. Non è che quando non c’era internet: non c’era mercato sessuale dei minorenni, non c’era turismo sessuale, non c’era “schiavitù” sessuale e sul lavoro soprattutto di quei bambini cosi diversi e così lontani da noi, piuttosto non li vedevamo sui nostri schermi, all’improvviso vicini.

 

MARGHERITA GIONNI
CENTRO DONNA – CAMERA DEL LAVORO DI NOVARA

Sono Margherita Gionni e vengo dalla Camera del lavoro di Novara. Forse sarò un po’ sconfusionata, gli stimoli venuti dalla presentazione di questa riunione da parte di Gigliola e dalla relazione di Claudio sono molti, inusuali e mi auguro che con questo seminario si incominci una nuova discussione che tenti di chiarire molte cose per molti e molte. Parlare di sessualità maschile come è stato fatto partendo da pedofilia, violenza sessuale, prostituzione, sfruttamento della prostituzione, turismo sessuale e sfruttamento dello stesso (ecc. ecc.), per arrivare con Claudio a dire che alcuni uomini non vogliono più che la loro sessualità sia associata a violenza al potere sia nella società che nei luoghi di lavoro o alle guerre, mi pare finalmente un approccio interessante e mi piacerebbe molto che se ne parlasse nel sindacato (luogo principe dove questi rapporti non sono mai volutamente neppure chiariti) . Solo il movimento delle donne ha fatto entrare anche nel sindacato, le proprie elaborazioni, il proprio no ai ruoli storicamente assegnati, la valorizzazione della propria differenza ritenendo che i luoghi della CGIL, come diceva Gigliola a partire dai posti di lavoro sono aggregazioni certamente in prevalenza maschili – maschilisti ma cui da sempre si voleva e si vuole far capire come la nostra liberazione dai ruoli e l’affermazione della differenza sessuale sia una ricchezza per il mondo del lavoro e per la società. Molte cose sono state fatte, molte sono da fare un esempio è quello di oggi che sfida le normali convenzioni preferendo non demandare agli esperti dei mass-media ma tenta di mettere in relazione le nostre esperienze personali e lavorative per capire assieme quali “soluzioni possibili”.
Pedofilia: certamente, dopo Marcinelle è argomento all’ordine del giorno oppure se ne parla in casi di violenza e – o omicidio di bambine e bambini; vengono ancora una volta criminalizzati gli omosessuali con un equazione distorta: omosessuale uguale pedofilo uguale assassino e quindi mostro per eccellenza. Secondo me i reati quali incesto, assassinio su minori, sfruttamento di minori in Italia e all’estero sono da rifarsi a dei crimini per altro previsti dalle normali leggi vigenti. La relazione chiariva molti aspetti, osava molto in un mondo che tende a non capire a scendere in piazza e a condannare comunque altri da te a firmare petizioni e a chiedere leggi sempre più repressive seguendo l’emozione del momento. So che il discorso è molto complesso, difficile da dipanare appunto perchè non ci si vuole chiedere di più, preferibile è criminalizzare il “pedofilo” le bambine ed i bambini.
Io ho lavorato per diversi anni in un asilo nido (bambini e bambini dai tre mesi ai tre anni) ed erano i primi asili nido laici. Vi fu un fiorire di elaborazioni e formazione psicologica rivolto ovviamente alle educatrici ed ai genitori (come al solito solo mamme) con un lavoro di osservazione attenta ai piccoli ospiti. Senza qui scomodare Freud o Melanie Klein si metteva al centro della nostra progettazione la bambina ed il bambino e quindi la loro sessualità come prima forma di rapporto con il corpo della madre e con il proprio corpo la suzione ingoiare cibo toccarsi toccare conoscere le differenze di genere, godere come prima forma di rapporto e di contenimento delle proprie ansie delle carezze degli adulti riconoscere le mani l’avere sicurezza dal sentire l’odore delle educatrici, per poi tranquillamente masturbarsi cercando nell’adulto corresponsione alla propria gioia: mi ricordo l’imbarazzo ma soprattutto il negare da parte di molte mie colleghe di queste forme di rapporto primario, di gioco, di godimento negazione che si esprimeva in maniera molto castrante: “ti cascano le mani, diventi cieco”, per le bambine semplicemente non era assolutamente ammesso. Ho sempre pensato e notato che se questi modi di rapportarsi ai bambini e alle bambine fosse stato fatto da un educatore avrebbe creato sia da parte dei genitori sia dalle educatrici tantissimi dubbi e perplessità ( scandali interrogazioni ecc. ) e il rapporto scherzoso di alcuni padri tipo: “ma tu glielo fai diventare duro” oppure a raccomandazioni ” non tenerli troppo nudi altrimenti fanno le cosacce ” ( anche quando faceva un caldo boia ) alla luce di alcuni avvenimenti scandalosi avrebbero creato seri problemi legali. Io avevo nel mio gruppo un bambino di due anni che all’ora di pranzo si faceva imboccare in quanto aveva le mani occupate perchè si masturbava: immaginatevi la sua gioia un faccino felice perchè aveva nello stesso momento due appagamenti; ebbene dovevamo starcene a parte perchè questo era fonte di imbarazzo per le mie colleghe e nelle riunioni da alcuni pedagogisti la situazione era vista addirittura incentivante la perversione e non invece come l’assoluta serenità e un rapporto giocoso e di fiducia da parte della persona– bambino.
Claudio diceva, parlando di emozioni che quando si diventa grandi bisogna forzarsi a dimenticare; si dice che per diventare dei veri uomini bisogna scordare i giochi gli affetti le conoscenze sessuali della prima infanzia. E’ difficile per un adulto spiegarsi-raccontare che prova degli affetti, amore per un corpo giovane, interesse giocoso per degli ammiccamenti di bambine e bambini, sogni erotici nei confronti di queste piccole persone che a volte adottano strategie nei confronti degli adulti per farsi accettare , perchè ci amano, perchè ci vedono come una cosa bella comunque, perchè ci percepiscono come onnipotenti perchè abbiamo un corpo definito, perchè gli trasmettiamo il nostro amore. Se così vogliamo ragionare, pur parzialmente sgombreremo molti preconcetti nello stesso tempo però vorrei davvero che i maschi si confrontassero finalmente, mi spiegassero quello che provano, di quante emozioni si privano per mantenere un ruolo a loro e da loro assegnato, un potere politico, sindacale e sociale, una sessualità violenta che gli è storicamente assegnata e vorrei che mi spiegassero perchè a questi ruoli non dicono: no grazie, vorrei che ci si confrontasse sul perchè molti uomini , o anche solo alcuni non si uniscano, non firmino appelli, insomma perchè non si dissociano da violenze sessuali e da abusi perpetrate dal loro genere. Anche alle donne sono stati dati dei ruoli: con fatica con determinazione si dice no grazie si afferma con orgoglio la propria differenza di genere. Ora stiamo parlando di rapporti di amore e di gioco, di affermazione di proprie ricchezze e di valori. Benissimo è molto stimolante e su questo andiamo avanti. I titoli di questo seminario vanno presi per quello che sono: violazione dei diritti umani, condanna della schiavitù, delle violenze in casa e fuori, sul posto di lavoro, a scuola e nella società, condanna del turismo sessuale, dello sfruttamento della prostituzione ecc.
Prostituzione: credo che ora se ne possa parlare in CGIL solo perchè viene considerata la nuova schiavitù , perché vi è il traffico internazionale perchè si deve fare prevenzione, perchè quindi siamo per i diritti umani. Se però si dice che questi sono solo una parte dei nostri compiti ma dobbiamo anche dare forza alle donne dare sempre più loro conoscenze per l’integrità del loro corpo, perchè sempre più possano contrattare il loro lavoro, che “anche loro” hanno diritto alla sicurezza, alla salute, alla dignità, che dobbiamo andare oltre a proposte salvifiche, che dobbiamo dare l’opportunità di scegliere ed il sostegno senza contropartita a richieste di fuoriuscita alla prostituzione. (In caso di lavoratori sfruttati nei campi o sui ponteggi, appare nel caso di colf senza nome chiuse nelle case, non mi pare che la forza pubblica un giorno sì ed un giorno no faccia retate di queste persone in quanto sono perseguibili gli sfruttatori e non gli sfruttati, ma se per assurdo questo avvenisse penso che tutto il sindacato insorgerebbe in difesa di queste persone senza per altro chiedergli un mea culpa nei confronti della loro condizione di sfruttati). Nei nostri posti di lavoro e nel sindacato di questo se ne parla sorridendo, sgomitando dicendo le solite frasi ovvie:” la prostituzione è il più vecchio mestiere del mondo…. Vero come è vero che l’essere clienti risale all’inizio dei rapporti umani! E’ ovvio che dopo queste qualunquistiche osservazioni (non certo per moralismo) mi sento di chiedere ai colleghi di genere dei clienti se oltre a firmare (giustamente) documenti contro lo sfruttamento della prostituzione, contro il turismo sessuale, contro la violenza sulle donne, sulle bambine e bambini, contro il traffico non si possa nel contempo ragionare all’interno del nostro sindacato di una diversa sessualità maschile, di ragionare di quanto la Chiesa inciti “a delinquere” reprimendo, nascondendo, dando l’assoluzione con tre Pater – Ave – Gloria, chiedendo e purtroppo ottenendo alle donne di tacere in nome del l’unità della famiglia, creando guasti umani irreversibili. Io da anni mi occupo di discriminazione, molestie ricatti e violenze nei luoghi di lavoro nella società perpetrate nei confronti delle donne, gay, lesbiche ecc.. Se in un luogo di lavoro avviene una molestia o un ricatto sessuale è un gran disastro: non si risolve normalmente come in un qualsiasi altro caso di lesione della dignità del lavoratore. Nella stragrande maggioranza dei casi si stende un pietoso velo, se gli accusati poi sono del sindacato o moderatamente progressisti anziché tutelare la lavoratrice si usa lo scherno, il dileggio, si rende la vita impossibile alla persona, la si fa sentire in colpa per come si veste per come parla, perchè comunque è un po’ troia e quindi se l’è cercata, non parliamo poi se si tratta di omosessuali e di lesbiche prima viene la loro appartenenza poi il fatto di essere un lavoratore o una lavoratrice che hanno subito violenze. Questo si ripete in famiglia, nella società, per strada (le donne – prostitute o no vengono stuprate, gli omosessuali vengono uccisi senza per questo che si facciano grandi manifestazioni con il lancio di palloncini bianchi!!!!. Parliamone quindi firmiamo documenti ma non per lavarci la coscienza, non diamo le mille lire ma interroghiamoci anche del turismo sessuale fra pianerottoli, dell’intolleranza che a volte ci prende senza riflettere e che si traduce nel non riconoscere i diritti alle persone non troppo uguali a noi e nel condannare (chiedendo ulteriori leggi repressive) anche solo chi si guarda tranquillamente dei giornali porno o chi sogna beatamente e serenamente di sorrisi e di corpi giovani.
Spero che da questa giornata si cominci a discutere di sessualità maschile in tutte le sedi, condizione primaria perchè la CGIL , che ha grandi possibilità di veicolare ragionamenti, incominci a seminare dubbi, rabbie, sconcerto e forse perchè no interesse, curiosità . Forse affrontare queste diverse sfaccettature di un problema anche per giovani ragazze e ragazzi inoccupati e occupati è un modo per far muovere idee in molte teste che forse sono assorbite da insulsi ragionamenti televisivi al limite del virtuale. Secondo me si può e si deve andare avanti nella discussione. Auspico che siano soprattutto gli uomini ad interrogarsi a confrontarsi a fare delle cose assieme, oppure… discutetene tra uomini e poi ci dite. Preferisco la prima soluzione.

 

DARIO MISSAGLIA
FEDERAZIONE NAZIONALE FORMAZIONE E RICERCA CGIL

Ho curato personalmente la pubblicazione del documento relativo alla campagna internazionale contro la prostituzione infantile legata al turismo, quindi ben volentieri ho colto questo invito. Le riflessioni che Vedovati ci ha esposto, su tanti campi, su tanti terreni mi hanno posto molte sollecitazioni; ne raccolgo alcune, ovviamente. La prima: che cosa si può fare di fronte ai problemi che affrontiamo su questo versante, quali sono le nostre responsabilità e se da questo ne possano nascere, mentre proseguiamo e approfondiamo il dibattito che è molto delicato e complesso, delle azioni. Penso, che ad esempio, l’azione di sostegno a questa campagna sia molto importante. Io sono convinto che stiamo di fronte a questa contraddizione molto forte: da una parte viviamo in un’epoca in cui, forse mai come in questo periodo, viene esaltata le centralità della persona e, dall’altra, assistiamo ad una modello di sviluppo che entra clamorosamente in contraddizione con questa centralità della persona e dei suoi diritti, in particolare i soggetti più deboli. Quindi credo che, da questo punto di vista, non rifletto qui adesso su quali possono essere le dinamiche economiche, emotive, personali che possono spingere un adulto a far parte di un’operazione di sfruttamento dei minori a livello internazionale nel senso del turismo, ma certo che questo fenomeno va contrastato duramente. Sono convinto che siamo in ritardo da questo punto di vista e che non era il caso di attendere fatti eclatanti che poi rischiano di determinare invece ben altre opinioni diffuse nel rivendicare un sistema legislativo che non c’è di protezione del minore proprio da vere e proprie centrali internazionali che su questo fondano il profitto. In secondo luogo ho trovato molto interessante una riflessione sull’incertezza di una identità personale che storicamente muta, è mutata e di volta in volta ridefinisce conflittualmente ciò che è normale, ciò che è devianza, ciò che è perversione. Credo che intanto essere portatori di questa cultura critica, problematica sia anche questa una scelta; insomma il rischio del pregiudizio è, su questo terreno, davvero violento, e dunque essere un soggetto sociale che di fronte a problemi di questa rilevanza abbia sempre forte questo valore, quello di comunque contrastare i pregiudizi e l’uso politico che ne viene fatto, credo che questo sia importante. Io posso dire una piccola parziale esperienza anche personale: sono stato insegnante, anche insegnante elementare, quindi ho lavorato con bambine e bambini piccoli; la mia compagna fa la stessa professione e più volte ci è capitato di riflettere su questo dato: come la mia libertà di comportamento, di atteggiamento fosse assolutamente diversa dalla sua perché c’è una delicatezza nel rapporto in questa istituzione asessuata. Se c’è invece una istituzione che nega l’esistenza della sessualità è la scuola: ogni qual volta che si è tentato di fare in modo che la sessualità avesse cittadinanza nella scuola, sono scoppiati i conflitti e tutte le volte che la scuola come istituzione ha parlato di sessualità, lo ha fatto in senso repressivo: dalle ultime vicende del preservativo fino ai presidi che sospendono due ragazzi che si baciano. Ma visto dal punto di vista dell’adulto maschio a contatto con bambine e bambini piccoli, io mi sono posto questo problema perché di fronte alla relazionalità molto calda, molto corporea, molto spontanea del bambino e della bambina, c’erano due reazioni moto diverse da parte mia e da parte della mia compagna: lei molto più liberamente può abbracciare e accarezzare un bambino o una bambina di sei anni, molto più liberamente: il maschio no; deve porsi con molta attenzione, deve assolutamente dosare la propria corporeità, la propria affettività perché il rischio che scatti immediatamente il pregiudizio e il sospetto è molto alto; è talmente alto che la scuola ha trovato subito la risposta facendo in modo che il 90% degli insegnanti che lavorano con i piccoli siano donne. Non è questa la ragione ovviamente strutturale ma è interessante che ci sia questa relazione che sicuramente comunque rafforza un assetto di questo tipo.
Questo porta a due problemi, il secondo lo tratto subito dopo che mi sembra importante anche dal punto di vista politico a proposito della nostra responsabilità; il primo invece riguarda proprio la nozione di minore e di bambino. Diceva Vedovati, mi è parso almeno così di cogliere, è una nozione in continua ridefinizione, per altro persino contraddittoria, perché mentre la nozione di minore, dal punto di vista delle norme giuridiche, tende addirittura ad abbassare la soglia di punibilità, finora nel nostro Paese ciò non accade anche se paradossalmente proprio una legge sulla sessualità apre a una punibilità anticipata. Dal punto di vista, invece, psicologico-sociale, c’è una dilatazione dei tempi della preadolescenza e dell’adolescenza enorme. La crisi del lavoro come luogo di costruzione di una identità adulta ha determinato oggi la situazione di tantissimi giovani e ragazzi che hanno una lunghissima permanenza in famiglia, un lungo ciclo di studi e un rapporto comunque diverso con il lavoro rispetto alle generazioni precedenti. A me interessa cogliere, e da questo punto di vista vedo anche degli impegni e delle responsabilità nostre, sullo sfondo di queste riflessioni alcuni dati perché sulla sessualità infantile noi non abbiamo né una legge per quanto riguarda l’educazione sessuale, e questa è una carenza disastrosa che bisognerebbe al più presto superare, e invece sulla violenza sessuale sui minori abbiamo delle innovazioni recenti che sono state introdotte proprio dalla legge 66, quella contro la violenza sessuale alle donne. La legge, proprio nell’affermare che il reato non è più contro la morale ma contro la persona, evidenziava proprio da questo punto di vista un salto di qualità: la gravità dell’atto non sta nell’atto in sé ma sta nella prevaricazione dell’altro da sé, sta nell’annullamento della persona. Questo sembrava far richiamare questa legge su contenuti e concetti molto forti: il senso di responsabilità, quindi di scelte libere e consapevoli nel campo sessuale: eppure, se poi si va a leggere la legge, è stata più attenta all’inasprimento delle pene che ad altri aspetti. Poteva essere, forse, una legge che sul campo della sessualità e della violenza sessuale nei confronti dei minori avrebbe potuto segnare qualche punto di certezza, per altro lo imponeva la convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia di New York che l’Italia ha ratificato con la legge 127 del ’91 dove l’art. 34 dice appunto che occorre proteggere i bambini dallo sfruttamento sessuale. Di tutto ciò, purtroppo, nella legge non v’è traccia, e questo io lo trovo un fatto grave e un fatto inquietante; così come trovo importante ma da seguire con molta attenzione il fatto che invece dopo le vicende del Belgio la commissione giustizia abbia definito una proposta, un disegno di legge contro la pedofilia, invece nella legge 66 il legislatore si è limitato a introdurre la procedibilità di ufficio per gli atti sessuali compiuti con bambini che non abbiano raggiunto i dieci anni; se invece l’età è da dieci a quattordici anni si procede a querela. Ora, il dato sul quale mi pare interessante riflettere non è questa artificiosa delimitazione di età fino a dieci anni e dopo i dieci anni; né tanto meno, e questo sarebbe ancora più divertente, ma non è l’argomento di stasera, dei rapporti sessuali tra minori dove se la differenza tra i due ragazzi è di tre anni, non è reato, se la differenza supera i tre anni è reato quindi i ragazzi, da ora in poi, secondo la legge 66, dovrebbero chiedersi l’età prima di decidere.
L’elemento che mi pare interessante è la questione della asimmetria che esiste in un rapporto tra un adulto e un bambino o un preadolescente che è un soggetto in formazione. Cioè il limite che io vedo di questa legge o di queste norme relative alla sessualità, ma credo anche il punto critico sul quale forse di più dobbiamo ragionare tra di noi, è che vedo da questo punto di vista un messaggio deresponsabilizzante verso gli adulti. Quali sono le responsabilità degli adulti nei confronti di un eventuale rapporto sessuale tra un adulto e un bambino? Come questa simmetria può essere valutata, letta interpretata? Perché credo che qui ci sia il punto discriminante della responsabilità. E questo apre su due grandi questioni nel nostro Paese disattese: il ruolo e la funzione dei genitori, cioè un tornare a parlare, anche da questo punto di vista, della famiglia e delle proprie responsabilità.
Il fatto che invece oggi si affermi con molta forza che il bambino è riconosciuto come soggetto titolare di diritti anche in quella fascia di età, sta ponendo delle contraddizioni molto interessanti; manca da questo punto di vista, però, l’intervento di tipo sociale, di tipo pedagogico, di tipo culturale, non soltanto va fatta una battaglia giusta quando i diritti dei bambini sono lesi all’interno del nucleo familiare, c’è un problema di responsabilità degli adulti nei confronti dei bambini e su questo, tranne la Chiesa che ha la sua di cultura, poco si vede. L’altro è il ruolo e la cultura delle istituzioni e qui non c’è dubbio che la carenza più grave è questa dell’educazione sessuale. Io credo che occorrerebbe davvero, ormai, con molta forza lavorare sapendo che una legge sull’educazione sessuale ha alle spalle la delicatezza, la complessità e la problematicità delle considerazioni che venivano fatte; non a caso anche qui si oscilla tra una educazione sessuale ora intesa come informazione e, dall’altra, un atteggiamento come quello della Chiesa che dice che l’educazione spetta alla famiglia che è unica titolare in particolare di questa dimensione della relazione così delicata e così importante, e una istituzione pubblica non ha diritto di entrare. E tuttavia è chiarissimo che finché questo non c’è non solo è illusorio pensare di contrastare fenomeni di violenza soltanto con le pene o con gli interventi della magistratura ma che occorre costruire, appunto, una cultura rivolta ad evitare e a prevenire anche dove ci siano situazioni di possibile rischio. Soprattutto si tratta di dare una risposta all’infanzia e ai giovani facendo in modo che questa istituzione non sia mutilata di una dimensione fondamentale di vita come quella della sessualità e credo che questo potrebbe essere interessante proprio per mettere anche gli adulti di fronte a questo elemento delicatissimo: quello di come si può vivere un rapporto asimmetrico, perché questo è il rapporto educativo tra adulto e bambino, come questa asimmetria che vede da una parte la responsabilità dell’adulto possa essere regolata sulla base, appunto, di una scelta di comportamento, di cultura che riconosca la soggettività dell’altro, la sua identità in formazione, anche la sua diversità, la sua differenza, il suo diritto a crescere non necessariamente coartato dalla cultura degli adulti. Come esiste una libertà di insegnamento da una parte, ma come debba essere riconosciuta anche una libertà di apprendimento da parte del soggetto. Credo che questo dell’asimmetria tra l’adulto e il bambino sia uno dei punti più delicati da approfondire perché è anche quello che spesso viene da noi stessi trascurato; c’è una falsa parità di rapporto che a volte viene supposta tra l’adulto e il bambino, una falsa parità dietro la quale, invece, si nasconde l’atteggiamento adulto che deve essere riconosciuto come soggetto responsabile. Credo che approfondirlo da questo punto di vista sia importante per questa ragione perché ci aiuta meglio a definire non solo i diritti del bambino ma anche i doveri e le responsabilità dell’adulto.

 

LUIGI AGOSTINI
CGIL NAZIONALE – DIPARTIMENTO DIRITTI DI CITTADINANZA

Io distinguerei tre livelli del discorso. Il primo è anche più elementare ma che riguarda i diversi tipi umani e quello che richiamava adesso Dario sulla asimmetria. C’è una asimmetria adulti e minori; c’è una asimmetria poveri e ricchi e c’è una asimmetria forti e deboli che non sempre sono catalogabili semplicemente in maschile e femminile. Rispetto a queste asimmetrie, una persona insorge per il fatto che questi atti vengono vissuti come delle prevaricazioni, delle prepotenze. Il fatto che una persona da qui vada a Bangkok, al di là della cultura in cui sono inserite quelle popolazioni per turismo sessuale, io lo vedo come una prevaricazione, una prepotenza; cioè noi occidentali, con le nostre ricchezze, utilizziamo la nostra potenza per una operazione di prepotenza. Penso che questo scatti immediatamente, non mi sono posto tante domande rispetto a questo: un’operazione di questo tipo la vedo come ingiusta, come una prepotenza, come una cosa che chiede una presa di posizione, chiede una mobilitazione, chiede una denuncia, chiede di fare qualcosa, la vedo come una cosa malsana. Questo vale anche, per esempio, per delle povere disgraziate che vengono dall’est o dall’Albania o dall’Africa. In me scatta immediatamente un senso di ribellione rispetto a questi fatti. Questo vale anche, per esempio, rispetto ad alcune situazioni in cui le persone sono più forti anche individualmente, quindi c’è il problema delle molestie, della violenza, di come, in qualche misura, una persona o delle persone abusano del loro vantaggio, della loro posizione. Su questo abbiamo preso posizione e continueremo a prendere posizione, penso che facciamo bene, penso che rispondiamo al senso di giustizia che grosso modo è in tutti noi. C’è la seconda questione, invece, che è più complicata che riguarda il rapporto tra quello che è lecito e quello che non è lecito e questo non più in termini di asimmetria ma di simmetria. Questo, ovviamente, rimanda a dei codici, a delle morali: qual è il tipo di morale che sta dietro anche alle nostre azioni?, sta dietro anche non alla ribellione di fronte a dei fatti, ma ad un discorso più sofisticato, più complicato. È evidente che qui la storia conta molto e conta molto il contesto; i prìncipi della Caria, per esempio, sposavano le sorelle, tanto che alla fine quelle monarchie crollarono perché non c’era il ricambio di sangue, c’era proprio un fatto di debilitazione interna. D’altra parte ci sono dei popoli dove il rapporto anche tra razze è molto eterogeneo, che hanno anche un’altra forma di vitalità, un’altra forma di forza. Molti ormai parlano del decadimento dell’occidente, di questa situazione esausta, di questa nostra civiltà esausta che non ha più ricambi. Si dice: è meglio che arrivino i barbari, come ai tempi dell’impero romano che devono ridare slancio e dare forza a questa malattia che sembra la malattia diffusa delle nostre società. Sono malattie del benessere, non solo malattie del malessere. Certamente il rapporto con il cristianesimo, anche con quello che deriva dall’ebraismo, penso che sia essenziale in una ricostruzione delle evoluzioni, penso che sia essenziale collegare il cristianesimo della controriforma della chiesa tridentina e il nostro, quello spagnolo, non la morale dei paesi anglosassoni, che è molto differente. Questo passaggio, anche nella discussione, secondo me andrebbe fatto, ricostruito; su di noi penso che pesi enormemente in varia misura, perché le nostre storie, anche individuali, sono molto differenti: c’è chi è nato da dentro questo grande corpo e chi a questo corpo si è contrapposto per scelte fatte perfino dai nostri nonni; le storie familiari contano molto. Quindi anche nel modo di vedere bisogna stabilire quello che è lecito e quello che non è lecito, diciamo l’idea della leicità. Io mi ricordo che un vecchio compagno mi diceva: guarda che le rivoluzioni sono sempre puritane: da Cromwell, ai giacobini, ai bolscevichi non sono mai state lassiste. C’è un libro molto bello di Vovell sulla mentalità rivoluzionaria dove lui analizza una specie di contro mondo che i giacobini organizzano in Francia perfino sui cimiteri, e tutte le fasi della vita vengono presentate come altre rispetto alla normale educazione cattolica. Robespierre parlava di virtù fino a intervenire direttamente sul terreno che fino a quel momento era un terreno out che era appunto il terreno della morale, la morale repubblicana; che cos’è la morale repubblicana? Il fatto che il Papa sia il signore dell’etica e che l’etica di fatto si confonda con la religione, oggi, secondo me, è un fatto micidiale perché in realtà chi ha l’egemonia ha un potere che deriva in gran parte dall’etica: aver consegnato alla chiesa il potere sull’etica lasciando la sinistra quasi fuori, quasi ininfluente rispetto a questo tema, io penso che sia un errore micidiale. Etica significa anche confini, cioè non è che ci può essere il Papa e Pannella, e la sinistra oscilla tra il Papa e Pannella. Pannella è l’espressione del lassismo delle vecchie classi signorili, per dirla con Napoleoni, che non c’entra niente, le sue prese di posizioni a sinistra vengono vissute come il non plus ultra dell’essere a sinistra, mentre sono stupidaggini colossali o comunque non parlano al nostro popolo; il nostro popolo non è fatto di quella roba lì. Tanto è vero che tu consegni al Papa il monopolio sul nostro popolo perché il nostro popolo chiede un’etica, non dice: ognuno faccia quello che vuole in nome di un individualismo senza confini che è l’oggi, ma si ricongiunge al vecchio feudatario medioevale che poteva permettersi tutto. Poi c’è un’altra questione che riguarda il rapporto sessualità-violenza. Qui c’è sempre eros e tanatos. Io ho visto l’altra sera un film di Lavia, queste cassette che vengono date con i giornali e Lavia, che non è un incolto, mette in onda il rapporto amore-morte che è una questione eterna; ma qui siamo su un altro su un altro terreno, siamo su un terreno di simmetria che tocca anche il rapporto lecito e no ma lo trasfigura sia in termini di rapporti personali, sia in un contesto che ognuno si crea. È evidente che qui il meccanismo che sta dietro è un meccanismo in primo luogo culturale, è il rapporto tra, come diceva Nietzsche, apollineo e dionisiaco nel mondo greco. Qualcuno dice: le donne erano prede di guerra in tutte le guerre, specialmente a partire dalle guerre originali, però è anche vero che le baccanti erano donne, le baccanti di misteri orfici, scatenatrici di una violenza che non era soltanto la violenza maschile ma era anche una violenza femminile: non c’è qui un monopolio della violenza nel rapporto tra eros e tanatos, almeno nei grandi miti. Quindi non so se questa nostra ricerca sia destinata ad essere ininfluente, perché qui non è la prepotenza verso l’albanese o verso il minore, questa è una partita che meriterebbe una riflessione ad un altro livello che è appunto il livello dei grandi greci, di come il rapporto amore-morte è stato sempre una costante non soltanto della letteratura ma anche del pensiero, anche della pratica che valeva per cerchie più o meno ristrette ma che poi sono state la fonte anche dei grandi miti e delle grandi letterature. Qui forse non c’è possibilità di normare: un conto è certamente l’educazione sessuale, la conoscenza anche scientifica delle questioni che si insegna a scuola, all’educazione tocca un ruolo anche sotto questo aspetto. In questo convegno sullo sport che abbiamo fatto si parlava di una specie di curva nel rapporto sport-civilizzazione, per cui nel mondo greco il lottatore vincente strangolava il perdente; oggi non c’è nessuno che vince strangolando, c’è una evoluzione, la violenza viene mitigata e probabilmente spunta anche da questo fatto mimetico dello sport. Ma su quest’altro terreno io penso che ci sia un inseguimento senza fine, anzi improponibile, nel senso che qui le cose saranno vissute e impostate in base al principio di responsabilità e alla libertà della persona. Cofferati, sullo sport, proponeva di reintrodurre anche la musica. A me tornava in mente Platone che diceva agli Ateniesi: la scuola migliore deve contemplare anche la danza, cioè il rapporto di sé con il proprio corpo, come si dice con il linguaggio di oggi, cioè l’armonia, la crescita armoniosa della persona. Penso che nella crescita armoniosa della persona noi dobbiamo tener dentro anche questa specie di pozzo senza fondo che è il rapporto tra Eros e Tanatos su cui in definitiva anche il pronunciamento è improprio; penso che quando c’è, è inutile e forse proprio per questo è meglio star zitti, perché di fronte all’indicibile è meglio il silenzio. Io distinguerei questi tre livelli: le cose su cui noi possiamo agire; le cose di cui noi possiamo parlare e le cose su cui è meglio che non diciamo niente. Per questo forse converrebbe, anche per il prosieguo della discussione, ripercorrere a tappe questi momenti che certamente incontrano il meglio della produzione intellettuale e anche analitica della storia. Questo può essere anche un contributo che noi diamo alla CGIL non in termini scandalistici ma in termini di educazione, di come su questo terreno molto impervio, al di là delle posizioni politiche che noi mettiamo in campo, che sono quelle dettate dal fatto che noi in questa coppia stiamo con i deboli contro i forti, con i poveri contro i ricchi, c’è anche il terreno di avanzamento anche culturale che è importante affermare, visto che noi siamo, e dobbiamo essere sempre più, anche un agente di promozione culturale, non dico di selezionatore di letture, di consigli di letture però di essere un agente di formazione culturale di civilizzazione.

 

STEFANO ORIANO
CGIL NAZIONALE – UFFICIO GIURIDICO

Accolgo volentieri l’invito a selezionare gli argomenti su cui discutere che ci ha rivolto poco fa Agostini.
Partendo dalla questione generale della sessualità maschile – e dovendo trattare anche di quella femminile, strettamente correlata – suggerisco quindi di circoscrivere, in questa fase, la discussione a quelle sue manifestazioni che destano allarme sociale, perché contrarie ai principi fondamentali della morale comune (e non della morale “perbenista” o bigotta), intesa in senso lato, sia perché violanti disposizioni di legge. Preciso che per morale comune mi riferisco a quella esistente nell’epoca attuale in Italia e più in generale nei paesi occidentali. E’ noto, infatti che la pedofilia non era considerata riprovevolmente nella antica Grecia o anche in certe fasi della Antica Roma (altra epoca, paesi occidentali), e non è attualmente oggetto di riprovazione in molti paesi musulmani (stessa epoca, altri paesi). Questa relatività non deve comunque stupire, visto che riguarda anche altri tipi di “devianza” : si pensi, ad esempio, all’omicidio volontario che, per lunghi periodi, è stato punito solo con risarcimenti economici o con diritto di rivalsa (per esempio uccidendo un membro della famiglia avversaria), e, anche in Italia era fino a pochi anni fa trattato, in determinate circostanze, con inaccettabile tolleranza (si pensi al C.D. delitto d’onore, sanzionato con pene risibili); si pensi infine a tutti quei reati di natura ambientale ed ecologica (spesso carichi di conseguenze gravissime non solo per l’ambiente ma anche per la salute e la vita stessa dei cittadini) che, fino a pochi anni fa erano non solo impuniti ma persino, assai sovente, nemmeno sanzionati.
Tratterei questi argomenti in relazione ai comportamenti e non alle semplici attitudini, che, in quanto rientranti nella sfera privata non hanno alcuna rilevanza sociale e men che meno giuridica.
Fatte queste premesse, ne derivano delle conseguenze: il fatto che il rapporto sessuale tra un adulto e un minore – e specialmente un bambino/a – non sia solo oggetto di una critica morale ma sia anche un comportamento sanzionato penalmente, non lo dobbiamo stabilire noi, è stabilito in disposizioni di legge che sono – a differenza di molte altre pur in vigore – universalmente accettate e fortemente sentite dalla attuale opinione pubblica occidentale.
Non deve quindi meravigliare – e mi stupisco che lo faccia – che la pedofilia sia inserita (anche nella scienza criminologica) fra le deviazioni sessuali, analogamente a zoofilia (non si parla, ovviamente dell’amore per gli animali ma di precisi comportamenti sessuali) la necrofilia etc..
Ognuno può, naturalmente attribuire una valenza più o meno negativa a ciascuno di questi comportamenti, che sono sanzionati penalmente in modo diverso, e qualche volta anche con escamotages (per colpire la necrofilia, ad esempio, si ricorre al vilipendio di cadavere).
Trattando delle deviazioni sessuali la questione rischia di complicarsi, visto che anche fenomeni come la ipersessualità o il transessualismo vengono considerate tali e, in taluni casi, persino pratiche e modalità dell’atto sessuale (in alcuni stati degli Stati Uniti, certi rapporti sessuali tra moglie e marito consenzienti, sono considerati reati, in altri paesi occidentali la omosessualità tra adulti consenzienti può essere, almeno teoricamente perseguita) e diventa quindi indispensabile, in questa sede, ricorrere al criterio sussidiario dell’allarme e della riprovazione sociale, corretti con una ottica laica e progressista; non ci dovremo quindi occupare di quello che fanno due adulti consenzienti nella loro intimità (siano essi moglie e marito o partner dello stesso sesso) ma di quanto coinvolge, loro malgrado, soggetti più deboli economicamente, psicologicamente, minori etc..
In un simile contesto uno dei fenomeni che richiederebbe un approfondimento è quello a cui fanno riferimento tutti quei reati e quelle devianze commessi nell’ambito della famiglia, che sono reati, come dicono i criminologi, con un altissimo numero oscuro (il numero oscuro è la quantità di reati che rimane impunito). Questi ultimi hanno un grandissimo numero oscuro proprio perché “coperti” e protetti dall’ambiente familiare, caratterizzato da una omertà più forte di tutti gli istituti. In questo ambito si commettono moltissimi abusi, in primo luogo maltrattamenti e percosse, che tuttavia non dovremo trattare, limitandoci agli abusi di tipo sessuale. Questi ultimi sono, in linea di massima, casi di violenza del padre sulla figlia. Si tratta di una forma di pedofilia non correlata alla omosessualità e resa ancora più grave dalla particolare situazione che si vive nella famiglia. Anche in questi casi inviterei a concentrare la nostra attenzione sugli aspetti più gravi del fenomeno, tralasciando quelle manifestazioni di morbosità o di affetto morboso che assai raramente assumono il connotato di vere e proprie violenze e servendoci, per operare tale selezione, più del buonsenso che della casistica.

In conclusione suggerisco pertanto di dedicare parte della discussione a quelle manifestazioni della sessualità che destano allarme sociale sia perché contrarie ai principi fondamentali della morale comune, intesa in senso lato, sia perché violanti disposizioni di legge legislazione (ovviamente se si parla di manifestazioni non si può fare riferimento a semplici attitudini che, in quanto rientranti nella sfera privata non hanno alcuna rilevanza sociale e men che meno giuridica) e, in tale contesto, ad approfondire particolarmente quelle che avvengono in ambito familiare, assai più diffuse di quanto sembri.
Il mio contributo intende essere soprattutto sul metodo di lavoro da darci in questa occasione e per il proseguo; in questo senso è forse opportuno un approfondimento del fine che intendiamo dare alla nostra discussione: si tratta di una iniziativa a carattere meramente teorico o intendiamo anche ottenere risultati pratici, come ad esempio evitare che un approccio emotivo a talune vicende finisca per innescare tendenze illiberali e oscurantiste nella opinione pubblica che, per fare un esempio, condannando giustamente la pedofilia si arrivi a condannare tutte quelle espressioni della sessualità che non rientrano nei dettami imposti dalla morale cattolica e conservatrice, purtroppo tanto in auge in questo periodo? io, ovviamente, propenderei per la seconda ipotesi.

 

FRANÇOISE BERNER
ECPAT ITALIA – RAPPORTI INTERNAZIONALI

Mi chiamo Françoise Berner e sono incaricata dei rapporti internazionali dell’ECPAT Italia. Voglio ringraziarvi di averci invitato. Per i problemi esposti in precedenza penso che ci si debba attenere alle convenzioni internazionali; queste sono state firmate da tutti i paesi siano essi in oriente, a nord, a sud eccetera; il che vuol dire che c’è un certo consenso a livello internazionale. L’applicazione delle leggi, chiaramente, è un’altra cosa, la stessa cosa si può dire per il lavoro minorile; in fin dei conti nessuno dice che il lavoro dei bambini sia una bella cosa, la prova è che il Pakistan per anni ha negato che ci fosse lavoro minorile, non è nella loro cultura. Io penso che se si chiede in un villaggio pakistano se sono contenti che i loro figli piccoli lavorano e che loro sono senza lavoro diranno di no, per i governanti sono quelli che fanno lavorare i bambini. Allora penso che anche lì c’è molta falsa coscienza. Io penso che il suo approccio è giusto, che ci dobbiamo attenere alle nostre leggi e farle conoscere, provare, magari tramite l’educazione, a cambiare un po’, anche tramite una campagna come facciamo noi, dove è più facile far cambiare l’atteggiamento di turisti che vanno lì con un certo razzismo: magari qui non sono nessuno e lì si sentono un po’ come l’Aga Khan perché hanno soldi, possono avere una ragazzina pagando poco quando qui non riescono ad avere rapporti che con i pedofili. Io ho sempre lavorato partendo dai diritti del bambino e rifiutando di fare la differenza tra il pedofilo e il turista occasionale, perché in fin dei conti violano i diritti dei bambini. Io non sono preparata, non sono una psicologa, ma certe cose mi sembrano giuste, come quello che ha detto il compagno prima sulla asimmetria. Io penso che senza dubbio un pedofilo colto, adulto può raggirare un bambino; non a caso il pedofilo che ha scritto questo libro va con bambini disagiati, che sono in istituti, che non hanno una famiglia. Un’altra cosa che permette ai pedofili di aggirare i bambini è il film pornografico e se non mi sbaglio – io non ho letto il libro ma l’ho solo sfogliato – lui fa vedere questo tipo di filmati per abbassare le difese del bambino, per dirgli: ma guarda tutti lo fanno. Il mercato di film pornografici è un mercato veramente orrendo, noi abbiamo un filmato di cinque minuti, sono dei film per pedofili che sono stati sequestrati in Svezia e la polizia ha fatto per l’ECPAT Svezia un montaggio di cinque minuti. Io non l’ho guardato, l’ha guardato Mara Gattoni, l’ha guardato uno di Terra Nuova e sono stati male, in Svezia, addirittura una onorevole è svenuta perché non sono film così carini, sono film con torture, sono film dove spesso i bambini vengono uccisi. È vero che tutti i pedofili non sono dei mostri che uccidono, questo è vero; ci possono anche mettere dei mesi per aggirare un bambino: è l’amico del padre che dice li porto al cinema però quando il bambino chiede amore non è che chiede questo, quando il bambino dice alla madre: vorrei fare l’amore con te, non intende quello che la madre intende: è il bambino che si innamora come io mi sono innamorata dei professori perché erano bravi. Il mio amore non era lo stesso amore che poteva avere un adulto per un altro adulto. Io penso che lo shock per un bambino – lo dicono anche gli psicologi – di vedere il pene di un uomo in erezione è uno shock enorme, perché non è quello che vuole il bambino: vuole tenerezza, ha una sessualità diffusa che però non è l’atto sessuale, non è la fellatio che gli fanno sempre fare, non è questo che chiede un bambino ad un adulto. Quando si innamora spesso è perché il padre è assente, forse non assente in casa, ma assente come figura, come attenzione e di colpo si trova un adulto che gli dà retta, che lo ascolta, gli insegna delle cose: è chiaro che se ne innamora, però se ne innamora in un altro senso. Io non penso che un adulto non debba toccare un bambino, si dice in America che ci sono i genitori che addirittura hanno paura perché dicono no, non si tocca il mio bambino; si può toccare il bambino perché il bambino è felice, però la cosa che secondo me non funziona è quando l’adulto si eccita sessualmente facendolo. Il padre che lava il bambino, che gioca con il suo pisellino che è carino nella vasca e comincia ad avere un’erezione, magari dovrebbe chiedersi come mai. Questa è un’altra cosa secondo me perché lì non è più alla pari, il bambino intende un’altra cosa, non intende né la fellatio né la penetrazione, secondo me, poi posso anche sbagliare, non sono una psicologa. Quanto a quello che ha detto sui bambini di Napoli, io non vedo nessuna differenza tra un bambino di Napoli che si prostituisce e un bambino di Bangkok: se c’è un rapporto non alla pari con il bambino di Napoli, io spero che l’adulto venga arrestato, mi dispiace dirlo ma io non penso che noi possiamo lottare contro il turismo sessuale e accettare che gli uomini vadano con i ragazzini a Napoli.

…Non mi sembrava che accettassimo, ma che prendessimo atto…

Si, però lo diceva intendendo: ma come, questi bambini si prostituiscono in ogni caso, anche a Bangkok. Quando il giudice glielo ha detto lui ha risposto: ma questi bambini non sono io che li ho fatti prostituire, si prostituiscono in ogni caso, la stessa cosa è a Bangkok, non è il turista che li fa prostituire, i bambini si prostituiscono da anni con turisti e con pedofili, che differenza c’è?

…Si, ma non credo che ci fosse una differenza, come dire, perché a Napoli sta bene e a Bangkok non sta bene, sono certa che il senso fosse ben altro…

Io mi ricordo che lui ha detto: sono contro il turismo sessuale. Questo è una specie di turismo sessuale all’interno dell’Italia perché va a sud…

… una persona che magari ha detto che a Napoli ci sono i prostituti può essere chiamata in causa come l’anello di una catena di turismo…

No, non come l’anello di una catena se è solo, ma sicuramente come uno che ha sfruttato un bambino.

…il problema è che qualcuno è stato condannato per associazione a delinquere…

Questo è un altro discorso, se ci va da solo non c’è associazione, e anche se ci va con l’amico, su questo sono d’accordo. Io penso che in ogni caso un adulto non può progettare la sua sessualità su un bambino che intende sicuramente una cosa diversa. Anch’io sono stata civetta con gli amici di mio padre, però sarei stata ben a disagio se quello mi prendeva in una stanza, perché era un gioco per essere accettata, un gioco di seduzione come ha detto lei prima. Però i limiti li deve mettere l’adulto, non il bambino che non sa quali sono. Voglio aggiungere che le bambine stuprate al mondo sono infinitamente più numerose dei bambini, il pedofilo non è necessariamente omosessuale, assolutamente no.
(intervento non corretto)

 

STEFANO SPADAFORA
CGIL VARESE – CAMERA DEL LAVORO

Sono Stefano Spadafora, dell’ARCIGAY di Varese e del consiglio nazionale di ARCIGAY e responsabile dell’ufficio stranieri della CGIL a Varese. Guardavo su dei dizionari, il Devoto e il Garzanti, per esempio, che sono degli anni sessanta settanta, e anche nella loro nuova edizione comunque, non sono cambiati nella definizione della parola pedofilia, la definiscono più o meno: perversione consistente nel desiderio sessuale per bambini maschi o femmine; lo Zanichelli, che viene aggiornato ogni anno, parla di attrazione per bambini prevalentemente omosessuale, sembra che equivochino paurosamente tutti e tre; ne ho visti anche altri ho preso solo queste tre definizioni perché le altre più o meno si ripetono nel loro errore. Per esempio, invece, omofilia, che suona allo stesso modo anche come etimologia nel libro Omotropia di H. Van De Spijker, è attrazione affettiva per il proprio sesso e non attrazione sessuale che invece è significato da omosessualità. Omofilia è un termine anche abbastanza usato quando si vuole distinguere tra la omosessualità, attrazione sessuale e attrazione sensuale e comunque emotiva. Quindi si dovrebbe parlare forse di “pedosessualità” o di pederastia, ancora però non ci siamo, perché quando si parla di eterosessualità o di omosessualità nessuno si sogna di parlare di perversione; come inesatto è anche, secondo il suo etimo il senso della parola zoofilia e si dovrebbe parlare più esattamente di zoorastia. La sostanza è che si parla di perversione o di pervertimento al di là dell’indirizzo sessuale espresso dalla parola; idem e ancor di più se parliamo di abusi, violenze, crimini, stupri o sevizia. Quindi partiamo, secondo me, già da questo enorme equivoco lessicale che però ha un’origine culturale; se è solo questione di metterci d’accordo sul significante che vogliamo dare lo potremmo chiamare in tutti i modi. Il fatto è che proprio all’origine abbiamo tutto un insieme di ragioni e di motivi culturali che ci portano ad attribuire a questa parola questo significato. Forse servirebbero, per cominciare, due o tre pagine di un dizionario ragionato con tutti i vari possibili significati e significanti della parola e i suoi coderivati; inoltre vi è un paradosso per cui la fanatica mitizzazione della famiglia che abbiamo in Italia, è all’origine di questa angelica limbizzazione del minore che ne nega l’identità violandolo a sua volta, come della ragione per cui le violazioni perpetrate nell’ambito familiare, sono quelle maggiormente taciute. Io conosco nella mia attività di counseling svolta da nove anni in ARCIGAY sia nel campo strettamente inerente all’omosessualità, sia in quello inerente le malattie a trasmissione sessuale e, attraverso l’esperienza personale di amici e conoscenti, ragazzini di tredici o quattordici anni violati e/o violentati e bimbi di dieci, undici anni che hanno serenamente vissuto delle esperienze sessuali, senza nessun negativo strascico, e fortunatamente sono più questi ultimi che non quelli violentati. Un suggerimento sarebbe secondo me quello di cominciare a pensare e arrivare ad una educazione sessuale che non sia educazione, ma informazione, semplice informazione, quindi non un’impartizione di linee morali, anche perché non esiste una educazione che determini i gusti e le scelte, pur riconoscendone l’influenza. E’ assurdo che qualcuno mi insegni che è buono lo stufato anziché il formaggio, mi insegnerà invece che ci sono vari gusti, varie cose di cui devo prendere atto e, partendo da lì, deciderò io cosa mi piace. Se questo vale per l’alimentazione, a maggior ragione dovrebbe valere per la sessualità. A proposito di quello che diceva prima il compagno, c’è un libro interessante: “La cultura dell’harem” di M. Chebel. E comunque stabilire le ragioni per cui nella loro cultura, la pedofilia è vissuta in modo completamente diverso che nella nostra, anche se magari diventa simile, appunto, a come è vissuta in Sicilia e nelle zone più mediterranee della nostra penisola, è abbastanza complesso, e non facilmente riassumibile. In conclusione direi, anche perché intervenendo verso la fine del dibattito molte cose da me annotate sono state dette da altri, che ritengo sia violazione qualsiasi rapporto che passa al di sopra del consenso e chiaramente questo va completamente al di là dell’età. È chiaro che non posso pensare ragionevolmente che un bambino di cinque anni stabilisca se è consenziente o no, però starei molto attento nel mettere degli argini, nello stabilire proprio matematicamente dei limiti di età, ad esempio tra un tredici e un quattordicenne, mi sembra che sia una cosa molto delicata e mi sembra che fare degli angeli degli adolescenti, negandone l’identità possa voler dire spesso votarli alla perdizione. Per uscire un attimo da quello che è il seminato di questo incontro, visto che mi occupo anche molto di AIDS, mi sembra che non prevedere una sessualità al di sotto di una certa età sia già un buon passo per dare una via in più alle malattie a trasmissione sessuale, prime tra tutte l’epatite e l’AIDS.

 

STEFANO CICCONE
RICERCATORE

Mi chiamo Stefano. Volevo partire dal titolo della discussione perché credo che su questo ci sia stato prima un fraintendimento che però è indicativo di un problema che abbiamo nella discussione tra di noi. Pensavo che il tema della discussione fosse la pedofilia, mentre a me sembra che ne abbiamo trovato un altro: la sessualità maschile. In generale, rispetto all’intervento della compagna, penso che il problema, almeno per noi che abbiamo tentato di avviare una riflessione su questo tema della sessualità maschile, non sia discutere degli uomini, per i quali l’oggetto della discussione è la sessualità maschile, ma invece invertire il problema ovvero discutere di sessualità tra uomini e donne, sessualità in cui ognuno si mette in gioco a partire dalla propria appartenenza di genere e a partire dalla propria esperienza. Questo, probabilmente, è un passaggio non maturo, nel senso che in realtà non abbiamo questo tipo di relazione a partire da esperienze, in realtà c’è una grande disparità tra un’esperienza di riflessione maschile e femminile su questi temi. Probabilmente però questa era anche la nostra esigenza, quella di trovare ogni tanto una questione, ad esempio questa vicenda della pedofilia, e vedere come un uomo, a partire dalla propria esperienza e dalla propria identità, si misura con questo tema. Quindi non diciamo: la sessualità maschile in astratto che cos’è e come la misuriamo, ma tentiamo di misurarci con una questione partendo dalla nostra esperienza e identità. Secondo me, nelle cose che diceva Claudio, che poi sono le cose che un po’ abbiamo costruito insieme anche se nella sua relazione colpiva anche me, c’era però un elemento forte che era quello…

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Io penso che Claudio avrebbe rischiato certamente la lapidazione se avessimo fatto questa stessa cosa in un cinema o al pubblico; anche qui dentro, secondo me, solo per buona educazione alcuni non hanno tirato le sedie, però ho sentito dei sospiri molto aggressivi. Io su questo volevo fare dei brevi accenni, però mi sembrava che fondamentalmente un nodo che era nel ragionamento di Claudio fosse un nodo che riportava specificamente alla sessualità maschile che non era rimossa nella relazione: era quando Claudio richiamava la questione dell’inagibilità dell’uso del corpo maschile e parallelamente della sua miseria, cioè della percezione della sessualità maschile come una sessualità misera e, nello stesso tempo, della inutilizzabilità, quasi, del corpo maschile come veicolo di relazione, come strumento di piacere, come strumento anche di relazione con i propri figli o con, in generale, dei minori e anche come oggetto di desiderio. Penso che su questo ci sia un elemento su cui è utile discutere, su cui però ho l’impressione che da parte di alcune donne che sono intervenute ci sia un rischio che è quello di rinviare a un’esperienza della sessualità ridotta a un determinismo biologico: ci sono dei ricorrenti riferimenti che mi sembra siano molto viziati da un biologismo. Ad esempio quando Claudio chiedeva: può un bambino desiderare il corpo del padre o comunque di un uomo adulto? Gli è stato riposto: no, perché il desiderio rispetto a un corpo adulto da parte di un bambino ha una sua radice biologica determinata dal fatto che la madre è quella che allatta i figli e quindi la madre è fonte comunque di un’accortezza nei confronti dei figli che è determinata biologicamente, che giustifica biologicamente un meccanismo di desiderio e l’entrata in gioco della libido nella relazione tra bambino e adulto. Secondo me questo è un punto viziato da un elemento di riduzionismo, intanto perché non penso che nella nostra specie la cura rispetto ai figli e la relazione rispetto ai piccoli dipenda semplicemente da una necessità di allattamento e di nutrimento: ci sono mille forme necessarie allo sviluppo di un bambino nella sua primissima età che non derivano soltanto dall’essere alimentato ma derivano dalla percezione e dalla relazione con un altro corpo. Tali elementi non accessori ma elementi fondamentali rispetto a cui non c’è una specificità della donna o dell’uomo determinata biologicamente e necessariamente. Oltre ad un determinismo biologico che assegna a me, maschio, il compito di trovare il cibo per la donna che poi nutrirà mio figlio, vorrei invece tentare di sperimentare l’uso del mio corpo nella relazione con i miei figli. L’altro elemento che mi sembrava fosse anche qui legato un po’ a un elemento di determinismo era quando si diceva: la violenza comunque viene solo dagli uomini perché i nostri corpi sono fatti in modo diverso. Questo è un elemento di grande assoluzione per gli uomini, perché non si fa derivare la violenza nell’ambito sessuale da una costruzione della sessualità come costruzione storica e culturale, ma risulta invece più legata al fatto che ci sono dei corpi fatti in un modo che producono violenza, dei corpi fatti in un altro che non possono produrre violenza. Dentro questa argomentazione sento un fortissimo rischio di determinismo che rischia da un lato di assolverci e quindi dirci: va bene, gli uomini sono fatti così e quindi non c’è una ricerca che io posso costruire e che possa sperimentare. Altro elemento che invece mi sembra sia dentro questa discussione è quello, appunto, che richiamavo prima del corpo maschile e della sua povertà. Qualcuno ricordava, ad esempio, che la relazione sessuale e la valenza sessuale della relazione anche tra un adulto e un bambino sono qualcosa di molto più complesso, legato alla dimensione della tenerezza, a una sessualità molto più diffusa con un neanche tanto occultato intento che era quello di dire: poiché invece la sessualità poco ha a che fare con l’elemento della tenerezza, poco ha a che fare con una dimensione diffusa e quindi non strettamente legata alla genitalità, questa cosa è l’elemento che interdice la relazione sessuale. Ecco io penso che questo elemento, cioè una lettura semplificata, impoverita e del tutto esterna , come diceva Claudio, della sessualità maschile, sia uno degli elementi che impedisce di fare del corpo maschile un veicolo di relazione carico anche di elementi di libido anche nella relazione con i propri figli o comunque, in generale, con i cosiddetti minori. Questa cosa invece di leggere e di riconoscere la natura sessuata della relazione anche tra figli e genitori, secondo me è un elemento forte che va riconosciuto ma che rimanda a all’uso che gli uomini fanno del proprio corpo non solo con i minori, ma in generale nelle relazioni sessuali che costruiscono. Il fatto che la famiglia non è il luogo in cui esistono due corpi, quello del padre e quello della madre – ma di cui uno solo è abilitato ad entrare nella relazione con i figli come veicolo di reciproco piacere – è un elemento che la dice lunga non tanto sulla famiglia e su quel luogo, ma dice cose grandi, secondo noi, sulla povertà dell’uso di uno di quei due corpi e che è, appunto, il corpo maschile.
Vado avanti molto frammentariamente perché fondamentalmente volevo solo richiamare due questioni ancora: una è che questo elemento della asimmetria e della disparità pone il problema che richiamavamo, cioè quello del consenso e di come lo si misura: questa cosa però attiene a tutte le dimensioni delle relazioni tra i genitori e i figli o tra gli adulti e i bambini, non solo nella dimensione sessuale, perché in tutte le dimensioni di relazione c’è evidentemente una asimmetria, una disparità e un problema di consenso. Insomma un problema di plagio culturale rispetto ai minori si pone sempre, nel senso che è evidente che io devo costruire una relazione con un minore sapendo che c’è un disparità.

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Appunto, ma non si chiede il consenso a un bambino neanche quando la maestra gli insegna la preghiera a scuola.

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E infatti alle regole volevo arrivare, perché a me questa cosa delle regole è la cosa che più mi lascia perplesso: il discorso del compagno era quello su cui ho vissuto la maggiore distanza. Questo terreno a noi chiederebbe una interrogazione sulla nostra esperienza, sulla percezione che abbiamo del nostro corpo, mentre in realtà quello di cercare delle norme, di normare queste relazioni è un elemento che, secondo me, aiuta la rimozione di questo tema. L’argomento che richiamava il compagno è un po’ l’argomento che richiamava lei. Lui diceva: ci sono alcune cose che sono delle deviazioni, ad esempio la zoofilia, però poi nello stesso tempo a me non interessa cosa fanno un marito e una moglie se c’è reciproco consenso nella loro stanza. A me non interessa neanche cosa fa uno di quei due con il proprio cane, se c’è reciproco consenso sia dell’uno che dell’altro, in questo senso mi sembrerebbe una rincorsa quella di andare a normare da questo punto di vista; così come però la normazione non solo legislativa ma anche nella nostra testa mi spaventa. Anche quando la compagna faceva l’esempio dell’uomo che può sì avere un rapporto con il proprio figlio e lavarlo avendo anche reciproco piacere, basta che non si giunge alla erezione e quando si raggiunge l’erezione si pone un problema, probabilmente io direi: se la mamma che tiene un bambino sulla pancia ha, invece, erezione dei propri capezzoli in quel caso che succede? Anche lì dovrebbe intervenire il giudice di gara e dire da questo punto in poi ti devi fare delle domande. È evidente che faccio delle provocazioni. Penso che però se io dico fino in fondo che la relazione tra la madre e il bambino ha una sua valenza sessuale, il che vuol dire che c’è un piacere, allora il piacere è piacere e basta, non c’è un problema che io debba normare. C’è un’altra cosa che diceva il compagno, e che secondo me è un problema che rischia di deviare la nostra discussione: interveniamo nel momento in cui interviene l’allarme sociale. Ecco, io penso che partire dall’allarme sociale nello scegliere le nostre priorità e nello scegliere anche le categorie con cui analizziamo i fenomeni sociali, in questo caso la sessualità, è l’elemento più distorcente e più pericoloso, l’abbiamo potuto osservare anche sulla vicenda della legge sulla violenza sessuale. Penso inoltre che l’allarme sociale è un elemento fortemente ambiguo ed è spesso invece l’elemento su cui noi dobbiamo cercare di effettuare le nostre analisi: perché nasce , come si costruisce etc. etc.
L’ultima cosa che volevo dire riguarda la pedofilia, che da questo punto di vista secondo me dovrebbe essere letta anche in questo senso, questo meccanismo della miseria del corpo maschile, della visione angelicata del corpo del bambino che sono gli elementi da cui parte la condanna della pedofilia. Penso che la pedofilia spesso non sia un meccanismo che sovverte una norma sessuata, ma che in realtà deriva da questa norma, cioè che in realtà deriva proprio da questa contraddizione, da una lettura di un corpo tutto angelicato, da un corpo di questo tipo e dalla percezione del proprio corpo come un corpo portatore di violazione e che da questo elemento spesso nasca un elemento che è intrigante sulla pedofilia.
Voglio inoltre parlare della questione del potere espressa nei precedenti interventi. Qualcuno parlava di persone che usano il proprio potere a vantaggio e per imporre rapporti sessuali o comunque per costruire questa cosa in cui la asimmetria non era solo quella tra età ma in generale: Agostini diceva che il turismo sessuale, la prostituzione eccetera a lui richiamano solo questo problema e cioè quello dell’uso del potere, della prevaricazione eccetera. Questa argomentazione, secondo me, è quella meno interessante: in realtà, partendo dal punto di vista maschile, il problema dovrebbe essere posto al contrario e cioè: perché ci sono degli uomini che per accedere a un rapporto sessuale con corpi di bambini o di donne devono in realtà fare leva e far riferimento al potere, o alla violenza, o al denaro, o al proprio ruolo sociale, o alla propria capacità di imporre relazioni? Penso che questa cosa avvenga perché la costruzione dell’uomo come unico soggetto del desiderio ha portato con sé anche la rimozione della desiderabilità del corpo maschile e quindi l’uomo può accedere ad un rapporto, ad esempio, con una donna o imponendoglielo o perché tramite altri elementi conquista l’accesso a quella relazione sessuale, cosa che una donna non si pone. Io penso che il nodo intorno a cui noi lavoriamo è proprio questo e cioè la percezione del corpo maschile, la sua desiderabilità, la sua miseria oppure anche le sue potenzialità, e che dentro questa idea ci sia un elemento di ricerca. Per questo l’argomentazione che Claudio richiamava, che era quella della rinascita o comunque della scoperta a livello sociale di un elemento nuovo e cioè dell’espressione pubblica e libera del desiderio femminile, credo sia una chiave di volta importante, perché, a partire dal riconoscimento del desiderio femminile, gli uomini possono sperimentare una diversa percezione del proprio corpo e quindi possono anche sperimentare un rapporto con il proprio corpo e l’uso che loro possono fare di questo nelle relazioni sessuali. Mi sembrava che nella relazione di Claudio questo nesso tra partire dall’esperienza maschile per misurarsi con un tema fosse un tentativo, certo abbozzato, ma utile in questa discussione.

 

ENZO MINERVINI
RIFONDAZIONE COMUNISTA – FEDERAZIONE DI MILANO COMMISSIONE CULTURA

Sono Enzo Minervini, coordinatore della rappresentanza sindacale unitaria della regione Lombardia e membro nella commissione cultura di Rifondazione Comunista a Milano. In questa seconda veste ho partecipato all’organizzazione di un convegno sulla prostituzione ed è capitata una cosa molto interessante a margine di questo convegno. Nel corso di questo lavoro ogni tanto sono stato fatto oggetto di battutacce da parte di compagni, però appena si andava ad approfondire e a parlare con i compagni del problema della prostituzione, delle loro esperienze con prostitute, ho scoperto: che, a mio parere, esiste una razionalizzazione maschile in trasformazione e in mutamento sul problema della sessualità. Qui qualcuno ha parlato della sessualità maschile come violenza: su questo problema esiste una razionalizzazione che ha un canale di espressione che è tutto goliardico, che ha dei luoghi di espressione (lo spogliatoio della palestra o il bar), ma che oggi è in una fase di trasformazione e che con un piccolo salto potrebbe evolvere in termini di linguaggio e in termini di razionalizzazione compiuta. Io credo che la CGIL dovrebbe trovare dei luoghi in cui aprire questo tipo di dibattito, cioè aprire il dibattito che hanno iniziato le donne all’interno di un movimento vent’anni fa, però i movimenti non si inventano: i movimenti nascono spontaneamente, magari si gestiscono, ma non si riesce a sollecitarli. Oggi bisognerebbe trovare dei luoghi nei quali discutere di questo, perché io credo che oggi ci siano – proprio a vent’anni dall’esplosione di un movimento femminile – elementi di razionalizzazione della sessualità maschile e credo che un piccolo salto potrebbe portarle fuori. Il problema è trovare i luoghi e far venire fuori… Tu ci sei stato a quel convegno, hanno parlato operatori, tecnici, noi ci siamo arenati su una questione nella preparazione di quel convegno: chi è il cliente della prostituta? Al convegno nessuno ha parlato del problema del cliente, io del problema del cliente ne ho parlato al bar con trentacinque compagni che avevano anche razionalizzato e teorizzato: teorizzato sul sesso come momento di espressione del potere, sul sesso con le prostitute come momento di consolazione, come la mamma. Mi rendo conto che ho un problema di linguaggio e mi spiego male, secondo me una riflessione molto interessante sarebbe oggi quella di cercare i canali e i luoghi nei quali dare a questi compagni che con me hanno parlato al bar un momento utile per razionalizzare, per esprimersi e per acquisire coscienza. Non credo che sia stato molto diverso il cammino percorso dalle donne venti o venticinque anni fa.

 

PIERO SOLDINI
CGIL NAZIONALE – DIPARTIMENTO DIRITTI

In realtà il limite che ho avvertito io, non tanto in questa discussione perché poi è chiaro che questa è una discussione che ha invece il pregio di iniziare un discorso su un terreno tra l’altro molto delicato e impervio, soprattutto, per il sindacato. Il limite che io avverto è nell’approccio generale a questo tema e non è un caso che in termini equivoci questa cosa è venuta avanti anche qua, nel senso che, se l’idea è che noi possiamo approcciare un tema come quello della sessualità, in senso generale quindi, non solo della sessualità maschile, arrivandoci attraverso le devianze, attraverso l’allarme sociale o come lo vogliamo chiamare, mi pare che sia uno dei grandi limiti della nostra discussione cioè che si affronti il problema della sessualità fra minori, non è solo un problema del dibattito ma è anche un problema della normativa legislativa, ad esempio nell’ambito di una legge sulla violenza sessuale, mi pare una cosa, in qualche modo, debole; altrettanto mi pare debole affrontare il problema della sessualità maschile o della sessualità in generale arrivandoci attraverso la pedofilia o altri fenomeni. Allora è evidente che ognuno di questi problemi ha a che fare con la sessualità, però credo che sarebbe opportuno, anche in termini metodologici, rovesciare la discussione nel senso che sarebbe opportuno mettere all’ordine del giorno una discussione che centri il ragionamento sulla sessualità non solo in termini di correttezza della nostra discussione, in termini di educazione, in termini pedagogici, storici, politici, sindacali ma soprattutto in termini positivi, nel senso che non è possibile continuare a pensare di affrontare il problema della sessualità partendo dai confini delle cose che, in qualche modo, sono negate… senza riuscire a definirsi invece in termini delle potenzialità, degli aspetti positivi cioè di ciò che sessualità può rappresentare in termini di libertà, di ricchezza, vitalizzazione e rivitalizzazione di rapporti, relazioni, linguaggi e comunicazione tra gli uomini e come questo può riverberare anche rispetto alla possibilità di risolvere incrostazioni profonde che questa società ha e che incidono sui rapporti economici, sociali, fra ricchi e poveri, tra i sessi, tra le generazioni. Quindi rovesciare completamente l’approccio, in questo senso non sono d’accordo con Oriano, anche se il problema che poneva lui, che poi siccome il sindacato ha anche un’altra necessità che è quella di non stare alla finestra rispetto ad alcune questioni che riguardano pure l’attualità, la cronaca, il costume ed i comportamenti, è un problema reale, allora probabilmente dobbiamo fare un’altra cosa, cioè se c’è la necessità che la CGIL stia sulla discussione sulla pedofilia, probabilmente si tratta di focalizzare il ragionamento su quello, e in quel caso non si tratta di trovare però gli alibi per dire: però, insomma… ritorniamo alla sessualità ma affrontiamo il ragionamento per quello che è, anche con le abnormità di una campagna dei mass media su questo argomento perché per esempio, rispetto alla pedofilia io ho sempre pensato e magari non l’ho mai esternato più di tanto alcune delle cose che diceva Stefano Ciccone prima sulla positività di un rapporto fisico, corporeo tra il padre, il figlio e quindi di una naturale sessualità tra adulto e bambino, però è chiaro che una cosa del genere non può avere niente a che fare con i fenomeni di Bangkok, del Belgio, della prostituzione, eccetera. Anche lì è necessario approfondire il perché del fenomeno del turismo pedofilo nei paesi a maggiore tolleranza tra virgolette, perché poi non è neanche un fatto di tolleranza, di cultura ma è probabilmente un fatto di altra natura e cioè di come è fragile la struttura economico-sociale di quei paesi e quindi di come magari il capitalismo lì non significa il capitalismo buono, all’avanguardia, il capitalismo con la C maiuscola, ma significa il cartello di Medellin e magari la grande impresa che si regge sul commercio della sessualità minorile; al di là di questo però non c’è un moto di insurrezione della morale o dell’etica occidentale rispetto a questo fenomeno che per altro non nasce oggi. Infatti l’esplosione dell’opinione pubblica in Belgio avviene nel momento in cui il fatto riguarda persone indigene, nel senso che la sollevazione è ancora in una sfera che è comunque una sfera moralista, ipocrita e difensiva, è una sfera comunque chiusa, una sfera di società ricca che difende le sue basi, principalmente, che difende il suo concetto di famiglia, che difende il suo status dal punto di vista economico. Se poi il ricco possidente che sia belga o che sia italiano, continua a prendere l’aereo e andare a Bangkok, probabilmente l’opinione pubblica sta più tranquilla, ed io questo l’avverto come un limite della stessa esplosione del movimento anti pedofilo. Chiudo dicendo questo: sarebbe opportuno, dal punto di vista del metodo, assumere un impegno, cioè che se vogliamo discuterne seriamente discutiamo delle cose che mettiamo all’ordine del giorno, evitando che parlando dell’una parliamo dell’altra e viceversa, perché questo, secondo me, rischia di metterci anche più in difficoltà. Allora, mettiamo all’ordine del giorno il problema della sessualità, credo che ce ne sia bisogno, credo che sia anche giusto questo stimolo e questa sollecitazione che ci viene dalle compagne di parlare della sessualità maschile, di vincere questo tabù, quindi ognuno partendo da sé, dalla propria esperienza, credo che lo dobbiamo. Se poi dobbiamo parlare di pedofilia parliamo di pedofilia, ed è un’altra cosa, evitiamo che però si faccia confusione e si arrivi a questa discussione mettendo insieme troppe cose e, in qualche modo, mettendo anche insieme troppe contraddizioni che sono reali ma non aiutano una discussione che soprattutto deve essere non soltanto tra addetti ai lavori o tra persone che per mille ragioni di sensibilità culturale stanno dentro al problema, ma deve andare oltre e quindi coinvolgere la consapevolezza dell’insieme dell’organizzazione e tutte le sue strutture. Perciò dobbiamo darci un metodo più didattico nel senso che mette tutti quanti nella condizione di partire da sé e dare un contributo.

 

CLAUDIO VEDOVATI
RICERCATORE CRS

Non ho ovviamene una replica, tanto meno conclusioni, perché non spetta a me, ma penso sia meglio un atteggiamento costituente, diamoci un potere costituente anche noi e decidiamo cosa fare. Volevo semplicemente precisare alcune cose e dirne altre; in realtà mi avvalgo anche dell’intervento di Stefano che mi sembra comunque abbia, in maniera molto brillante, risposto ad alcune questioni che erano state sollevate a partire dal mio intervento. Innanzitutto non ho percepito dentro di me la sensazione di fare un’operazione provocatoria; non posso dire che sono propriamente convinto di tutto quello che ho detto per la semplice ragione che ci sono delle cose che vanno esperite, tuttavia penso di non aver fatto un’operazione di questo genere e non vorrei che alcune questioni che hanno creato delle perplessità rimangano non compiutamente espresse.
Non ho voluto fare una provocazione, ho detto delle cose con intenzione di dirle e anche dopo averci pensato; non ero provocatorio, proprio no. Innanzitutto c’è un problema di fondo che riguarda il modo in cui io, ma anche Stefano, quando facciamo degli interventi pubblici, abbiamo alle spalle un percorso e non sempre lo ricapitoliamo, questo è un nostro limite perché vuol dire anche che la necessità di ricapitolare la dice lunga su quanto questo discorso poi riesce ad emergere; c’è un deficit di produzione e c’è anche un ulteriore limite, c’è una nostra incapacità a prendere per le corna davvero la questione e farcene portatori autosufficienti e visibili per cui in modo da riuscire ad uscire un po’ fuori anche da una dimensione si parla di queste cose solamente in ambiti dischiusi, nei sotterranei, nei piccoli luoghi fuori Roma e poi dopo tutto quanto rimane là. Certo è che in un lavoro di questo genere c’è una doppia tensione: da una parte noi dobbiamo fare i conti con una domanda, che spesso viene da donne, di interlocuzione e che ci chiedono di prendere posizioni su alcuni comportamenti, alcune cose che il copro maschile fa, ed è evidente che poi ci si chieda l’interlocuzione su eventi che sono – possono essere allarmi sociali o non essere allarmi sociali, non ha importanza – eventi negativi in cui il corpo maschile si segnala per forme di comportamento negative e, d’altra parte, noi stessi sappiamo benissimo che siccome la nostra interlocuzione non parte in realtà dalla domanda che ci viene fatta dal versante opposto, ma nasce da un nostro bisogno di interrogazione e di rimessa in discussione del rapporto con noi stessi, di rapporto con il corpo, con la storia del nostro genere e è sempre maggiormente evidente che a noi sta stretta una visione sempre deterministica di certe caratteristiche del maschile che non lascia spazio a soluzioni di alcun genere, e nonostante i temi con cui veniamo a dibattere sono prostituzione, violenza sessuale, pedofilia ovvero un elenco in cui uno, ad un certo punto in maniera provocatoria, dice che parte dal presupposto di essere violentatore; c’è un dato di fatto da menzionare come uomini su questo argomento: siamo tutti quanti usufruenti della prostituzione, oggi possiamo dire che siamo anche tutti pedofili è certo che farsi carico di tutta questa negatività rischia di lasciare in ombra un fatto importante e cioè che il lavoro che stiamo facendo è finalizzato a ricostruire un’altra maschilità, a fare un nostro percorso di costruzione di identità ma fatto anche dentro la politica, percorso in cui si trova anche la ricchezza della storia del maschile. E tra parentesi non c’è bisogno di andare chissà quanto lontano per trovare la ricchezza maschile perché, come diceva anche Stefano, il desiderio femminile rivolto al maschile è esso stesso un indicatore di ricchezza che noi non sappiamo valorizzare. Parlo di questa cosa perché mi sembra che in qualche modo cada a fagiolo rispetto alla discussione pedofilia, cioè discutiamo della pedofilia o discutiamo della sessualità maschile in generale? Sinceramente io non riesco a scindere le due cose nel senso, che cosa vuol dire parlare della sessualità maschile in generale o in astratto? Ormai, per esperienza, siamo anche capaci di farlo, ma trovo in questo momento molto più ricco incrociare diversi temi e capire come uno illumina l’altro senza esaurirlo.
Il tentativo che volevo fare oggi era proprio quello di capire che possibile relazione c’è tra vicende della pedofilia e questioni della sessualità maschile. Certo, un po’ per ragioni di tempo, un po’ per non ripetermi, un po’ forse dicendo delle cose in maniera un po’ sloganistica e quindi forse il versante sulla sessualità maschile è scomparso, ma rispetto a questo mi sento di avere già espresso le mie opinioni, nel senso che, chi ti ascolta più volte, alla fine non ne può più di alcune affermazioni; però il ragionamento che io facevo innanzitutto tentava, a partire da un fenomeno che è ricchissimo di implicazioni simboliche come quello della pedofilia, proprio per la confusione gigantesca che ruota intorno, ed è proprio per questo che mi sembra un fenomeno che andava attraversato in maniera radicale e la prima operazione, quella dello scindere pedofilia da omosessualità e lavorare su questo luogo comune, non voleva significare rendere il pedofilo un soggetto neutro, astratto, senza sessualità ma ricollocare il fatto che è uomo su un terreno diverso, non su un terreno che permette di rimuovere agli uomini, non la pedofilia, ma di rimuovere dagli uomini tutti i luoghi della violenza nel rapporto tra adulti e bambini. E anche su questo il tentare di ragionare sui discrimini che ci sono tra relazioni tra adulti e bambini, di qualsiasi tipo, anche relazioni sessuali, che non implicano relazioni in cui c’è di mezzo la genitalità o rapporti completi, ma come sessuate nel senso più profondo, relazioni in cui entra in gioco il desiderio e se non fosse così guai! Non ci sarebbero relazioni umane, io non capisco dove sta la ricchezza della vita senza questa cosa. Allora, il tentare di dare valore a un ragionamento in cui il concetto di pedofilia sfuma scompare e appare un altro termine che non è connotato in alcun modo di relazioni interpersonali di tutti i tipi, anche tra adulti e bambini, mi sembrava uno strumento proprio per meglio poter guardare al fatto che poi quando c’è violenza in questo rapporto, è una violenza che è esercitata da un uomo su corpi di bambini e bambine.
Io mi rendo perfettamente conto che cercare di decostruire la figura di un bambino asessuato, angelicato, criticare l’infanzia come un luogo a sé stante sempre più intoccabile, la mitologia che si è costruita sopra e, d’altra parte, cercare di ragionare, sempre in maniera provocatoria, sull’idea della pedofilia di massa, cioè sul fatto del turismo sessuale o violenza in casa, in ogni casa, in ogni nostra città, di un uomo sulla donna o di un uomo sui figli, tutto questo è un percorso che a me serviva per tentare di arrivare su un terreno difficilissimo, di cui io mi rendo perfettamente conto della complessità, che è quello della relazione, cioè quando si dice consenso o non consenso, quando si dice discriminazione tra violenza e non violenza, quando si dice e ci si interroga, giustamente, su qual è il momento, il luogo o le forme in cui noi possiamo considerare il bambino portatore di una autonoma soggettività che gli permette di saper discernere e quindi scegliere, è evidente che non ci sono risposte automatiche; però la soluzione a questo non è né nel grande immaginario che è costruito intorno alla paura pedofilia, né intorno alle soluzioni di legge; il problema è la relazione; così come io credo che in tutti i rapporti umani ci sono le asimmetrie e questo non ci spaventa affatto, anzi, è una cosa di cui godiamo perché io godo della asimmetria, cioè godo del fatto di avere più potere di un’altra persona e di averne meno di un’altra, perché questo è un elemento fondamentale, se giocato liberamente nelle relazioni. Allora a me la asimmetria non mi spaventa, la differenza di poteri non mi spaventa, io mi interrogo soltanto se noi siamo in grado di facilitare uno sviluppo della automa soggettività dei bambini, e su quel terreno confrontarci, non di stare a giudicare nel momento in cui sono o non sono autosufficienti o no, come se avessero bisogno di un nostro patentino per poter a un certo punto decidere se fare o non fare. Io toglierei questa tutela che non vuol dire allentare una serie di garanzie nei confronti di un soggetto “debole”: significa porsi il problema di come relazionarsi con i bambini, a tutti i livelli. Questo è un grande interrogativo che tanto più riguarda proprio il maschile. È certo che allora questo apre la strada ad abusi, a pericoli? Certamente che li apre, ma l’unico terreno di soluzioni è quello, non ci sono altri; basta con le rimozioni, basta con l’idea che dobbiamo tutelare i deboli, basta con la semplice strategia dei diritti applicata a persone che neanche chiedono quei diritti, che pensano alla realtà in maniera diversa. Io non credo alla effettività di queste politiche, non mi sembra che funzionino; io su questo, siamo nella CGIL mi rendo conto qui di essere fortemente provocatorio, però anche questo è un luogo di ragionamento perché noi non possiamo applicare al bambino la nozione di… un compagno parlava di privatizzazione dei rapporti all’interno della famiglia, deprivatizziamo questi rapporti e dall’altra parte però parlava di diritti dei bambini.
Queste sono due logiche che riducono un soggetto a una cosa astratta e in realtà poi priva di autonomia, cioè un delirio liberale addirittura sui bambini, ed è questo delirio liberale che ha portato a soggetti astratti, a rapporti proprietari, a fingere che sia possibile desessualizzare la politica e i luoghi delle relazioni sociali, a fingere che ci sia un soggetto neutro che ha bisogno non solo di garanzie e diritti ma che chiede parità, che chiede tutele e così via, e io in questa logica non mi ci ritrovo per la semplice ragione che, non è che non voglia i diritti: io non li vedo, io non la sento questa domanda, non guardo i bisogni, il disagio sociale, il malessere e non guardo neanche quando il malessere si incarna nelle esperienze della singola persona, non vedo quella domanda, io vedo un’altra domanda, domanda di interrogare in maniera diversa il bisogno che c’è dentro; e a nessuno di noi è venuto stasera spontaneo di interrogare la posizione dei bambini in questa cosa perché è un’operazione difficilissima da fare, non spontanea. Esaminare i comportamenti o le intenzioni. – mi rifacevo al tuo esempio che forse ripete un po’ le cose che aveva detto Stefano – Se io ho l’intenzione di stuprare una donna e se la soluzione è quella del: “Claudio non lo puoi fare perché le convenzioni sociali che ti stanno intorno non te lo permettono, o perché è male”, noi non abbiamo risolto niente perché questa cosa comunque io me la porto dentro; poi tutta la mia vita non stuprerò, ma il mio corpo continua ad agire con quella logica, non solo, ma se io non ragiono sul nesso che c’è tra le due cose, non scopro l’idea che ho di me stesso, del mio corpo, cioè non scopro tutte le potenzialità positive di me cioè perché io penso che è spontaneo per un uomo avere una sessualità violenta, e non posso lavorare sul contrario e che l’unico problema è quello del castrare, del ridurre, del fare un passo più in là perché l’altro soggetto non può essere violato.
Io devo modificare l’idea che ho di me stesso. Ecco il nesso che c’è fra discutere della singola questione e del maschile in senso anche astratto o in senso generale perché finché gli uomini dentro non sentono il bisogno di modificare la percezione che hanno di se stessi, aivoglia a parlare di quello, di quello e di quello! Allora gli uomini che fanno? Stanno nel sindacato, stanno nei partiti politici, stanno nelle associazioni di volontariato e non fanno altro che attivare una serie di strategie di tutela ma senza cambiare il soggetto che produce la violenza che sono loro stessi. Per me questo non serve. Volevo chiudere con una sola piccola cosa. Occidente non occidente. Non c’è bisogno di guardare fuori dell’occidente perché una persona deve con il relativismo coprirsi le spalle e dire si può far tutto e il contrario di tutto, non è questo e né, tra parentesi, la storia dell’occidente è la storia dell’occidente isolata dalle altre storie. Io penso, però, che non dobbiamo avere una visione statica della nostra storia è nella nostra storia, è nella storia dei nostri corpi che ci sono mille altre storie, mille altre vicende possibili e non risalendo all’antichità ma risalendo all’altro ieri. L’occidente è un sistema molto complesso che non vive, nasce e si sviluppa per conto proprio e poi improvvisamente entra in comunicazione; quest’idea dello sviluppo storico non funziona, ormai è anche sicuramente abbandonata, recuperiamo una ricchezza della nostra storia, interroghiamo le cose e non guardiamo tutto in termini di violenza, c’è anche una storia di relazioni nella storia occidentale che è anche positiva. La storia delle donne, che è una storia di relazioni non istituzionalizzate, è una storia di valori che insegnano tante cose ed è una storia che ci insegna a stare sul terreno della relazione. La scommessa degli uomini è: non ricorriamo alla legge per difenderci da noi stessi, proviamo a vedere se nella relazione ci conviene essere in un modo o ci conviene essere in un altro. Punto e basta. Poi, se nella relazione qualcuno “sgarra”, nella relazione si paga e nella relazione si costruiscono insieme le regole per punire lo “sgarro”; ma non appendiamoci a qualcosa di esterno a noi perché altrimenti gli uomini troveranno sempre la scusa di rimuovere ciò con cui devono fare i conti.

 

APPENDICE

MARIA GIGLIOLA TONIOLLO 3
CGIL Nazionale – Ufficio Nuovi Diritti
CLAUDIO VEDOVATI 5
Ricercatore Centro Riforma dello Stato
MARIELLA COMERCI 19
CGIL Nazionale – Dipartimento Settori Pubblici
MARGHERITA GIONNI 21
Centro Donna – Camera del Lavoro di Novara
DARIO MISSAGLIA 26
Federazione Nazionale Formazione e Ricerca CGIL
LUIGI AGOSTINI 30
CGIL Nazionale – Dipartimento Diritti di Cittadinanza
STEFANO ORIANO 33
CGIL Nazionale – Ufficio Giuridico
FRANÇOISE BERNER 36
ECPAT Italia – Rapporti Internazionali
STEFANO SPADAFORA 39
CGIL Varese – Camera del Lavoro
STEFANO CICCONE 41
Ricercatore
ENZO MINERVINI 46
Rifondazione Comunista – Federazione di Milano Commissione Cultura
PIERO SOLDINI 47
CGIL Nazionale – Dipartimento Diritti
CLAUDIO VEDOVATI 49
Ricercatore CRS
APPENDICE 55

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