25 Gennaio 2008
City

Ho praticato 5mila aborti tutti drammi inevitabili

Davide Casati

Mentre la Lombardia riduce a 22 settimane e 3 giorni il limite per l’aborto terapeutico, il primario di Ginecologia del San Carlo di Milano parla dei 5mila aborti praticati. “Ogni volta è un peso. Ineludibile”.
Mario Ramondini, unico ginecologo del S.Martino di Genova che compie aborti, dice di essere soprannominato “Erode” in corsia.
Lei si sente “Erode”?
No. E rifiuto la definizione di abortista. Io sono un medico che per motivi personali, storici, culturali ha scelto di praticare questa attività in favore delle donne. Consapevole che questo sia un dramma, per tutti.
Come ha cominciato?
Fui assunto alla clinica Mangiagalli di Milano nei primi anni ’70. Il mio primo studio fu un’indagine
sulla mortalità materna: fu così che scoprii che le migliaia di aborti clandestini erano la terza causa di morte.
Perché?
Le mammane, e i medici, li effettuavano con scarsissimo rispetto per sterilità e buone procedure. In clinica arrivavano donne con gli intestini devastati, o infezioni gravissime. Nel Paese il dibattito fu durissimo. E nel ’78 venne varata la 194.
La considera una buona legge?
Un approdo positivo, per quanto lo si possa dire di una realtà di fondo distruttiva. E che resta un peso sulla coscienza.
Da primario potrebbe smettere di praticare aborti. Perché continua?
La mia attività diretta è molto diminuita, ma se occorre partecipo tuttora. Credo sia giusto nei confronti degli altri medici non obiettori, che sono sempre meno. Si dice che sia perché si finisce a fare solo aborti, e non si fa carriera. Qui non è così, e posso solo sperare sia lo stesso altrove. Certo, non è una pratica gratificante. Inoltre, gli specializzandi sono in maggioranza donne: e per una donna praticare un aborto è ancor più problematico. Infine, i giovani non hanno vissuto la situazione pre-194. Che, in parte, c’è ancora.
In che senso?
Il 60% degli aborti, al San Carlo, riguardano le nuove povere, le donne straniere. E nel 2006, in Italia, ci sono stari 20mila aborti clandestini. Specie tra le immigrate, con le mammane o i farmaci antiulcera, il cui potere abortivo è più noto aloro che a molti medici…
Quali ragioni portano, oggi, ad abortire?
Per le straniere, soprattutto ragioni economiche. Per le italiane, il fatto che una gravidanza giunge in un momento in cui viene vista come ostacolo sul lavoro.
La nostra civiltà penalizza tanto le donne da far vedere un bimbo come ostacolo…
La 194, nella parte dedicata alla prevenzione, non è applicata a fondo. Anche per motivi economici: si dovrebbero far funzionare i consultori, educare alla contraccezione, fornire informazioni sulle associazioni di aiuto alla maternità difficile. Investire nella mediazione culturale, perché l’approccio delle donne straniere a questo dramma è diverso: le sudamericane, di cultura cattolica, ricorrono all’aborto come extrema ratio, mentre le donne dei Paesi dell’ateismo di Stato lo vivono in ben altro modo. Ma soprattutto servono politiche reali di sostegno alla famiglia. Escludere, ad esempio, i figli dei “clandestini” dagli asili (come deciso a Milano, ndr.) non va certo in questa direzione… Si discute anche sulla pillola abortiva, accusata di rendere “semplice e irresponsabile” l’aborto. Non credo. La si può usare solo nelle primissime settimane, stanno emergendo controindicazioni, e la procedura non è affetto semplice. È una tecnica relativamente nuova, da valutare. Mal’aborto resta, sempre, un’esperienza lacerante.
Si parla anche del rischio di deriva eugenetica: l’uso, cioè, delle diagnosi prenatali per “rifiutare” bimbi con problemi…
Le diagnosi prenatali si effettuano alla fine del terzo mese, e gli aborti del secondo trimestre sono meno del 3%. Siamo lontani dal rischio eugenetico, in Italia.
Per lei che cos’è un aborto? Ciò che toglie dall’utero è vita umana o cellule?
Dal momento del concepimento si forma una vita: e quella che si interrompe è una vita. Non lo dico da credente: non ho -purtroppo – una fede. Lo dico da medico. Ma non si parli di omicidio: non c’è volontà di far del male, ma la necessità di rispondere a una richiesta drammatica.
Ci sono per lei aborti giusti, o giustificati?
Nella misura in cui una donna arriva a sceglierlo, ogni aborto è giustificato. Perché arriva al termine di un percorso, previsto dalla legge, non breve, nel quale – lo vediamo spesso con gioia – capita che vi siano ripensamenti, Un percorso sempre doloroso. Al termine del quale a decidere deve sempre essere la donna.
Esiste però anche un soggetto terzo, l’embrione. Il filosofo laico Norberto Bobbio parlò di “diritto di nascere”.
È un discorso valido, da approfondire. Ma nel frattempo dobbiamo far fronte a drammi concreti. Che si fa davanti a chi, in lacrime, chiede un’interruzione nel 2° trimestre, per una grave malformazione, quando altri ospedali hanno detto no? Di fronte a queste richieste il medico è solo. Col suo, personale, dramma, ma col dovere di offrire risposte a quell’altro, ben maggiore. Perciò dico: è bene discutere, senza preconcetti. Ma non possiamo accettare che le donne siano ricacciate nella condizione degli anni ’70…

 

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