2 Dicembre 2002
Radio Popolare

Intervista a Odile Sankarà

Silvia Giacomini

Odile Sankarà ha costituito, assieme alle sue compagne, nel Burkina Faso, l’associazione Talents de femmes, nata allo scopo di promuovere il talento e la creatività femminile. Tale associazione si propone di interessare le ragazze alla scrittura, di contribuire all’emergere della loro espressività artistica, di far nascere quindi nuove scrittrici promuovendo così l’eccellenza femminile.
Odile Sankarà, sorella minore del presidente del Burkina Faso, Thomas Sankarà, grande riformatore tragicamente ucciso, è stata ospite a Milano della Libreria delle Donne e una dissertazione a proposito del suo progetto è presente sul numero 61 di Via Dogana.
Dato il suo forte legame con il suo Paese, l’intervista è fatta precedere da una scheda del Burkina Faso realizzata da Raffaele Masto.

 

Burkina Faso
di Raffaele Masto

 

Il Burkina Faso divenne indipendente nel 1960 e le motivazioni di questo evento vanno ricercate all’interno della strategia neocoloniale francese di quegli anni. Parigi infatti era la grande madre patria di gran parte dell’Africa Occidentale all’interno della quale si colloca il Burkina.
Dagli anni 60 fino al 1980 la storia di questo paese è una vicenda di colpe militari, di appuntamenti elettorali fraudolenti e di progressivo degrado dell’economia della società e della cultura. Furono anni in cui aumentò la fame, le riserve di bestiame si decimarono e l’emigrazione verso i paesi vicini veniva calcolata in ben un quarto della popolazione.
I primi anni ottanta portarono però un germe di speranza e questo paese poverissimo e privo di grandi ricchezze naturali divenne una speranza per tutta l’Africa, un simbolo che riscattava l’intero continente.
Nel 1982 un giovane ufficiale con un colpo militare, scalzava dal potere il giovane Jean-Baptiste Ouedraogo.
Quel giovane ufficiale si chiamava Thomas Sankarà, uno strano e anomalo militare, molto popolare tra i suoi uomini e tra i contadini che aveva costituto una sorta di alleanza naturale tra i suoi soldati e la popolazione che poteva vivere solo di quanto produceva la terra arida del posto. La popolarità di Sankarà era anche dovuta al fatto che aveva dimostrato di avere una grande esperienza organizzativa per assistere le vittime della siccità, flagello contro cui faceva lavorare i suoi uomini e ancora al suo grande impegno contro la corruzione.
I primi anni di governo di Sankarà furono una vera e propria svolta. Cambiò significativamente nome al paese in Burkina Faso cioè terra degli uomini onesti. L’inno nazionale cominciò ad essere cantato in lingua africana e venne avviata una profonda riforma agraria. Vennero formati tribunali popolari di giustizia e istituzioni politiche democratiche. Sankarà si pose alla guida di un consiglio nazionale rivoluzionario e si prefisse di dare due pasti e dieci litri di acqua al giorno per ogni abitante, obiettivo questo che dichiarò come assolutamente prioritario. Raggiungerli questi obiettivi costituiva una grande sfida in questo paese con l’82% di adulti analfabeti e un estrema povertà. Dati di fatto questi che si sommavano al fatto che ogni anno e ancora adesso in Burkina Faso vengono utilizzati da cinquanta a centomila ettari di bosco come unica fonte di energia in una situazione in cui la siccità del luogo aggrava la scarsità di legna.
Sankarà prese anche molti provvedimenti simbolici con lo scopo di educare la popolazione e soprattutto per avvicinarla al potere perché sentisse “proprio” il paese e si costruisse una coscienza nazionale. Per esempio sostituì tutto il parco macchine governativo e ministeriale costituito da costose Limousine con delle semplici ‘due cavalli’. Più che nei palazzi del potere Sankarà stava in mezzo alla gente, era continuamente in visita nelle campagne e nelle baracopoli della città. Faceva poche visite all’estero e la sua agenda più che da impegni diplomatici era zeppa di incontri con la popolazione e riunioni con i suoi collaboratori per pianificare il percorso attraverso il quale voleva affrancare il suo popolo dalla povertà.
Un sogno, un’autentica speranza, una luce per quello che già allora era il continente più povero del pianeta. Un sogno che durò poco: il 15 ottobre 1987 Sankarà venne spodestato, processato per direttissima e quindi decapitato insieme a dodici dei suoi collaboratori. L’autore di quel colpo di stato che pose fine alle speranze fu un certo Blaise Compaoré, un suo compagno, forse il migliore dei suoi compagni, l’uomo che Sankarà aveva voluto come suo vice e che l’aveva affiancato in quei cinque anni di potere, l’uomo che Sankarà si fidava di inviare all’estero quando lui preferiva occuparsi organizzativamente e praticamente come sviluppare il suo paese. Fu forse in uno di quei viaggi all’estero che Blaise Compaoré ricevette promesse e indicazioni su come procedere a cancellare quel sogno.
Si dice, ma le prove ovviamente non ci sono, che fu un viaggio in Francia. Parigi non poteva sopportare che nella grande Africa orientale francese si coltivasse un sogno che prima o poi avrebbe potuto mettere da parte gli interessi francesi a vantaggio di quelli delle popolazioni locali. Oggi Blaise Compaoré è ancora al potere. I primi provvedimenti dopo il suo colpo furono quelli di far costruire un palazzo del governo e l’acquisto di un aereo presidenziale. Poi annunciò la politica economica: apertura all’iniziativa privata e ai capitali stranieri, privatizzazioni in accordo con le direttive degli organismi finanziari internazionali. Niente di nuovo sotto il sole. Ancora una volta.

 


Intervista

 

Silvia Gacomini: da quando fai teatro?
Odile Sankarà: da dodici anni.

 

E quanti anni hai?
Sono nata nel 64 anche se a guardarmi in faccia non si direbbe, non mi danno mai la mia età…

 

Perché hai deciso di fare teatro in Burkina Faso?
E’ una storia lunga, ma la ragione principale è che il teatro è un mezzo di espressione, soprattutto per me che vivo in un paese dove sono sempre gli uomini a comandare e le donne spesso non hanno diritto di parola, insomma vengo da una società patriarcale e molto feudale. Così mi sono detta: il teatro è un mezzo di espressione con il teatro posso dire delle cose, recitare sulla scena e dire delle cose liberamente.

 

Che genere di teatro fai e con chi?
Faccio parte di una compagnia teatrale professionista, la sola per il momento in Burkina. Lavoriamo molto con i racconti, i racconti locali, lavoriamo molto con il pubblico giovane e con spettacoli in grosse sale sempre e soprattutto sui racconti.

 

Quindi voi usate la tradizione per fare teatro?
Assolutamente. Per noi è molto importante perché sono valori che stanno scomparendo. Il nostro paese comprende 60 etnie e quindi è culturalmente molto ricco, ci sono i racconti della tradizione orale ma anche altri elementi che noi utilizziamo nel teatro. Così noi siamo un gruppo teatrale polivalente, ci sono dei raccontatori, dei percussionisti inoltre balliamo le danze africane, cantiamo le canzoni popolari e tradizionali che oggi i bambini di città non conoscono più.

 

E funziona con i giovani e i bambini? Credo sia difficile…
Con i bambini funziona ma con i giovani meno: bisogna andarli a cercare perché, come in Europa, a loro piace la musica europea o americana. Quindi andiamo nelle scuole in complicità con gli insegnanti, cerchiamo di interessarli e, anche se sono una minoranza, qualcosa si è riusciti a guadagnare.

 

Prima dicevi che è una motivazione quasi politica che ti ha spinto a fare teatro. Che cosa pensi si possa cambiare con il teatro?
A seconda del soggetto e del contenuto di cui si tratta, l’uomo politico sa se sono rivolti a lui oppure no, magari non verrà a teatro ma a poco a poco la gente comincia a riflettere. Poi realizziamo delle trasmissione radiofoniche che ci permettono di raggiungere una vasta parte di popolazione, popolazione che magari non viene a teatro ma che ascolta la radio e può dare il suo punto di vista. Così a poco a poco c’è un’apertura nel paese nelle città in cui lavoriamo questo fa sì che il politico non possa restare indifferente. Tutto dipende dai temi che si affrontano e io non faccio teatro solo per il gusto di recitare, ma perché lo spettacolo che faccio è importante, così posso parlare e far arrivare un messaggio alla gente. Non faccio teatro solo perché so farlo. Il messaggio per me conta molto.

 

Leggevo ieri una breve biografia di tuo fratello e pensavo che lui è stato un precursore del movimento sociale che oggi è così importante. Diceva delle cose che adesso la gente va a dire in piazza durante le manifestazioni. Tu adesso le stesse cose, dici dobbiamo agire per cambiare la politica.
Vi ringrazio perché vi occupate del Burkina e perché parlate di Thomas Sankarà. Non tutti lo conoscono è stato un grande uomo che ha attraversato le frontiere del Burkina e direi addirittura internazionali. La gioventù si rifà ai suoi ideali è vero è stato un precursore, mi chiedo se fosse stato capito a suo tempo. Io non credo così come succede in genere a tutti i precursori, li si capisce sempre dopo. Io ritengo che si pensi sempre alla tradizione come qualcosa fuori moda e invece se Thomas Sankarà vedeva le cose in quel modo e pensava quelle cose è perché lui è nato nella tradizione. Noi non siamo della città, siamo cresciuti nel rispetto e nella conoscenza della tradizione. Ci sono dei valori molto forti nella tradizione, mentre i ragazzi della città adesso ne sono lontani e vogliono cercare altri valori mentre nella tradizione ci sono tutti i valori. Si tratta di cultura orale, non scritta, non scolarizzata, tuttavia piena di valori molto interessanti e oggi la politica dovrebbe tornare al concetto di valore così come da anni questo è espresso nella nostra tradizione.
Se la politica cerca nei valori tradizionali troverà delle cose a cui appoggiarsi per armonizzare la società moderna.

 

Quali sono secondo te i valori più importanti che la tradizione insegna?
Uno dei valori più semplici, più primari, più fondamentali è il rispetto dell’altro, perché oggi l’altro non esiste più. Credo che anche a casa i genitori debbano insegnarlo ai bambini. Io vedo in Francia la gente che si incontra e si saluta da lontano perché sono stati educati che il rispetto è dire buongiorno quindi dicono buongiorno a distanza, tuttavia si tratta di un buongiorno di cortesia, non c’è alcun rapporto che sia davanti. Ci si comporta così perché lo si è imparato ma senza calore. Io penso davvero che il rispetto sia il valore principale, rispettare l’altro, se c’è rispetto c’è anche armonia sociale perché nei rapporti tra le persone c’è umanità quindi questa è la base per tutti gli altri valori, tutto passa da lì, per esempio rispettare il cibo che si mangia, sapere che quello che ho da mangiare non è arrivato lì per caso ma ha dietro una storia e un lavoro, il rispetto per quello che si ha, vedo oggi dei bambini e dei ragazzi che vogliono tutto, vogliono fare tutto, sono re a casa loro, vogliono tutto ma non vedono più il valore di quello che hanno. Un’altra cosa: secondo me abbiamo dato troppi diritti ai figli senza spiegare loro perché ci siano questi diritti e a che doveri corrispondono.

 

Ma quindi anche in Africa il problema è così sentito. Noi europei pensiamo a quella africana come una società dove ancora il rispetto dell’altro esiste, dove l’ospitalità è la cosa più importante. Com’è nel tuo paese?
E’vero, stiamo lottando per tutelare questo ma nei grossi centri urbani africani si cerca di occidentalizzarsi, si vuole vivere come gli occidentali a partire dall’architettura. E’ cambiato tutto: il rapporto con gli altri, il cibo, i comportamenti, tendiamo a copiare l’occidente.
Ho incontrato dei bambini africani nelle scuole francesi che sono peggio dei bambini francesi. Io ho tenuto dei seminari nelle scuole francesi nella capitale del Burkina e ho visto i figli di funzionari internazionali o dei grossi commercianti della zona e mi hanno colpito profondamente: non sapevo che nel mio paese ci fossero dei bambini così. Sono stata forse troppo dura con loro più che con i piccoli francesi, perché mi dico i francesi sono così ma un padre africano non può non aver passato al suo bambino certi valori. Non è possibile che quel bambino si comporti peggio di un bambino europeo. Questo significa che i valori stanno scomparendo anche da noi. Per questo noi al teatro cerchiamo di lavorare sulla tradizione, cerchiamo di raccogliere i vari pezzi di questa e di riutilizzarli in modo che i giovani la possano conoscere e capiscano che ci sono dei valori che bisogna avere.

 

Il ruolo della donna: ne parlavi all’inizio dell’intervista. Sta cambiando nella società del Burkina Faso?
Sì, sta cambiando, fortunatamente. Abbiamo conosciuto un periodo rivoluzionario con mio fratello dall’83 all’87 in cui si è molto lottato per la causa delle donne, dei bambini e dei contadini. Ci sono molte associazioni di donne, anche di donne dei villaggi di cooperative di donne dei villaggi. C’è stato un vero e proprio movimento che è continuato anche dopo. Di colpo le donne hanno capito che possono avere un ruolo anche loro e possono fare delle cose come gli uomini, che possono stare allo stesso livello degli uomini, essere economicamente produttive e produttrici allo stesso livello degli uomini. Io stessa faccio parte di un’associazione ed è per questo che sono venuta a Milano e ho conosciuto la Libreria delle Donne. Cerchiamo di prendere in mano il nostro destino. Ci sono alcune donne che non l’hanno capito durante la rivoluzione, che credono che la parola emancipazione significhi solo portare i pantaloni. Ci sono delle donne che non hanno capito e all’epoca la cosa ha creato terremoti ci sono stati divorzi, gli uomini non hanno accettato questo cambiamento radicale, poi si è capito che non significava portare i pantaloni ma battersi avere delle idee, difenderle, lavorare, occupare dei posti, riflettere, condividere impegnarsi anche politicamente perché si pensava che tutto fosse riservato agli uomini.

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