19 Gennaio 2013

“La città che voglio”: intervento di Sandra Bonfiglioli

Libreria delle Donne di Milano – Circolo della rosa.

Intervento di Sandra Bonfiglioli del 19 gennaio 2013 alla discussione su “La città che vogliamo”

La città che voglio

 

Care amiche, dico subito da che punto di vista e a partire da quali esperienze mi sento di parlare.  Bianca Bottero ed io siamo colleghe al Politecnico di Milano, entrambe professore ordinarie di architettura e di urbanistica. Siamo pertanto “tecniche di alto profilo”. Ma questa sera, entrambe, ragioniamo non secondo gli schemi della conoscenza accademica, bensì secondo l’esperienza acquisita sul terreno, come dicono i francesi, nel campo del cambiamento della città. Lì dove, Bianca sostiene, il tema è “cambiare dal basso la città di oggi”. E dove le pratica politica delle donne sta in prima fila da alcuni decenni. Infatti le donne, in tutta Europa, hanno messo a problema la città, cioè l’habitat delle nostre pratiche di vita. Di noi donne, e di tutti noi abitanti. Questa è la premessa.

Il taglio del mio discorso tiene conto della presenza di alcune assessore, cioè di donne impegnate in politica nel ruolo di decisore pubblico. Desidero fare un discorso di natura politica.

 

Pongo alla riflessione quattro domande alle quali risponderò sì e dirò perché.

1) La pratica politica delle donne per cambiare la città ci lascia sperare che siamo pronte a immaginare la città che vogliamo?

2) Esiste veramente lo spazio politico capace di ospitare il nostro progetto urbano? dove nostro non significa “per noi donne” ma significa “espressione di un progetto per tutti, ma sensibile al nostro simbolico finalmente libero di esprimersi”.

3) Se questo spazio politico esiste, sappiamo anche come fare? perché mettere mano alla città comporta di disporre di competenze tecniche dure, difficili e chiuse al lessico quotidiano con il quale vogliamo peraltro esprimere il nostro desiderio.

4) Perché dobbiamo fare tanta fatica per trasformare quel molosso di pietre e di tempi che è la città, avendo urgenti problemi politici di fronte a noi, tra cui la crisi?

 

Per trovare le risposte da che punto di vista guardo ai problemi posti? Ho partecipato al movimento  Le donne cambiano i tempi della città iniziato alla fine degli anni ’80. Questo movimento è ancora attivo, diffuso in tutta Europa, e ha attuato leggi, centri di ricerca e di formazione, politiche e progetti urbani. E soprattutto ha mobilitato migliaia di donne nel movimento e nelle istituzioni. Oltre a questa esperienza, con Ida Faré, Gisella Bassanini e Marisa Bressan abbiamo fondato un collettivo femminista alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano che ha lavorato sull’abitare femminile e il tempo delle donne (gruppo Vanda). È stato per me un nutrimento importante di pensiero femminista. Ho visto, so, che le donne hanno imparato ad agire efficacemente nel campo del progetto urbano. Cosa hanno fatto di straordinario e anche profondamente innovativo rispetto ad analoghe pratiche fatte da altri “portatori d’interessi”?

 

Hanno agito così. Hanno costruito reti di relazioni con altre donne operanti nell’arcipelago di istituzioni che sono necessarie per agire sulla città (permessi, apparati tecnici, sistema decisionale, strumentazione cartografica e così via). Le istanze di cambiamento provengono di solito non da apparati tecnici ma dal movimento dove le questioni vengono espresse in linguaggio comune, lontano dal lessico progettuale e tecnico. In ciascuna istituzione la perspicacia tattica delle donne ha cercato e di solito trovato non solo la persona disposta ad ascoltare ma disponibile a tradurre il lessico d’ingresso in una narrazione comprensibile alla comunità dell’istituzione. In questo modo il problema posto si trasforma e può essere trattato dalle diverse competenze tecniche. Cos’ha di nuovo questa pratica rispetto alle pratiche partecipative ormai comuni ma spesso inefficaci? Non è una logica di tipo sindacale basata sullo spostare un equilibrio politico dentro ad una istituzione e fare passare un provvedimento atteso obtorto collo. È invece un’impronta che viene lasciata nel lessico e l’impronta continua ad agire anche dopo la decisione. Inoltre non c’é delega all’apparato tecnico. I tecnici sono invitati a cambiare il necessario, anche poco. Alla fine gli schemi tecnici che garantiscono le istituzioni sono in qualche modo, traduzione dopo traduzione, scivolati verso nuove possibilità. Il lessico del movimento non è più isolato nella sua comunità di intenti.

Le politiche dei tempi della città che hanno coinvolto migliaia di donne nelle istituzioni e donne presenti nel movimento hanno fornito una mole enorme di esperienza di dialogo interdisciplinare.

 

La risposta alla prima domanda è sì. Cosa abbiamo trovato di portata strategica, noi donne, attraverso piccoli esercizi di progetto? Abbiamo trovato ed esplorato due grandi principi, da fare agire assieme, per il nuovo progetto della città contemporanea: prossimità e tempi per una città amica. Tutti i progetti di cambiamento fatti dal basso e promossi dalle donne in questi anni  annunciano che l’immaginario femminile ribadisce e rivalorizza l’antico tema della prossimità.                Le donne de L’Aquila lo hanno ribadito con fervore. Cosa significa prossimità oggi di fronte alla rivoluzione spaziale e temporale operata dalle tecnologie telematiche lo scoprirà una stagione di ricerca progettuale. Assumere a problema il tema della prossimità significa occuparsi del disegno della città come grammatica tra spazio pubblico e privato.

 

Il principio della città amica è uscito da decenni di progetti sugli spazi-e-tempi della città in tutta Europa. Città amica fu lo slogan del Piano dei Tempi della città di Milano (1992) che aprì una generazione di progetti. Oggi la ricerca può utilizzare la recente riflessione di Paestum 2013 nell’orizzonte di primum vivere e del doppio sì che rimette in forma il vecchio e abusato tema della conciliazione dei tempi di vita e degli orari di lavoro.

 

Il primo passo politico che possiamo fare è di mettere nell’agenda pubblica internazionale i due principi di progetto urbano amati dalle donne. Le donne che entreranno in parlamento  se ne possono fare carico assieme a noi. Siamo legittimate a chiederlo.

Questo primo passo genererà una stagione di ricerca progettuale visibile e influente. Il movimento può mantenere le necessarie distanze ed essere determinante. Si tratta di aprire uno spazio politico adeguato. Ed è possibile farlo.

 

Perché dobbiamo fare tanta fatica per mettere le mani in questo problema quando abbiamo enormi problemi politici tra cui sopravvivere a questa crisi? La risposta è semplice. Dobbiamo avere i luoghi dove esprimere una nuova libertà che abbiamo già intravisto. Così è sempre andata nei grandi cambiamenti della storia.

 

Siamo pronte? Certamente sì.

 

 

 

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