26 Ottobre 2014

La pratica della storia vivente

Mestre, 26 settembre 2014

Intervento iniziale di Alessandra De Perini


Benvenute e benvenuti tutte e tutti a questo incontro pubblico.

Vedo presenti – e a nome delle Vicine di casa, l’associazione di cui faccio parte, vi ringrazio di essere qui – Grazia Sterlocchi della Settima Stanza di Venezia, Adriana Sbrogiò di Identità e Differenza di Spinea, Loredana Aldegheri della Mag di Verona con alcune amiche e collaboratrici, Luciana Talozzi e Carla Neri di Insieme arte – Amare Chioggia e il suo territorio, Antonella Cunico e altre amiche di Femminile Plurale di Vicenza, le amiche di Trento, Maria Teresa Menotto e Franca Marcomin, presidente e vicepresidente della Consulta delle cittadine, Chiara Puppini, delegata della Municipalità di Mestre Centro, Luisella Conti di Mirano, presidente delle associazioni di volontariato della Provincia di Venezia, Renata Cibin, assessora alla cultura di Mirano, Loredana Mainardi, assessora alla cultura di Spinea, Vittoria Surian della casa editrice Eidos.

Ringrazio il Centro Culturale Candiani che ci mette a disposizione questa bella e ampia sala e l’Assessorato alla Cittadinanza delle donne e Culture delle differenze, in particolare la responsabile del Centro-Donna Gabriela Camozzi e la bibliotecaria del Centro Isabella Stevanato. Nonostante l’assenza di governo politico nella nostra città, queste donne, come altri e soprattutto altre dipendenti comunali con il loro lavoro, il senso di responsabilità e l’impegno fanno funzionare i servizi dell’amministrazione.

Questo incontro si inserisce nel ciclo delle innumerevoli manifestazioni, iniziative culturali e politiche di “Mestre in centro” del Comune di Venezia che ogni anno a settembre e ottobre coinvolgono l’intera città.

Questo è un incontro molto importante. Siamo qui per riflettere sulla pratica della storia vivente, a partire dalla lettura del n. 3 della rivista DWF del 2012. Ne parliamo con le autrici della Comunità di Storia Vivente di Milano, Laura Minguzzi, Luciana Tavernini, Marina Santini che non sono storiche di professione, ma hanno una lunga pratica di insegnamento che si è intrecciata con la ricerca storica e l’impegno in prima persona nella politica della differenza. Introduce l’incontro Tiziana Plebani, storica, scrittrice, della Società Italiana delle Storiche (SIS) e, dopo quindici anni di direzione della Conservazione e Restauro, dal 2009 responsabile dell’ufficio Storico-Didattico della Biblioteca Nazionale Marciana, una donna impegnata politicamente e culturalmente nella nostra città di Venezia-Mestre da più di trent’anni.

Le abbiamo chiesto di leggere il testo per noi e di commentarlo alla luce della sua esperienza di storica.

Questo incontro nasce dal desiderio delle Vicine di casa, donne dell’altro mondo, inattuali, “antichissime”, di tornare a riflettere, sulla storia delle donne che nel nostro percorso di presa di coscienza è stata una mediazione fondamentale per orientarci nel presente e individuare figure e genealogie femminili da cui prendere forza. Credo che sia esperienza comune a molte la delusione di non trovare traccia nel passato delle proprie simili, la mortificazione per l’assenza femminile nei libri di scuola e il desiderio di cambiare le cose. Di qui la ricerca di figure femminili in cui riflettersi e modelli di donne forti, autorevoli a cui ispirarsi e la lettura appassionata delle grandi scrittrici di ieri e di oggi che per molte di noi sono state maestre di vita e di pensiero.

Siamo consapevoli di quanto possa essere inesatto parlare di “storia delle donne”, come se ci fossero due storie, quella della storiografia ufficiale e quella misconosciuta e dimenticata del sesso femminile, fatta emergere dalle recenti ricerche storiografiche. Adesso che, per merito del femminismo, è stato rovesciato il luogo comune che dice che le donne nella storia non ci sono, smascherata la falsa narrazione della storia universale, fondata sui grandi uomini, sui rapporti di forza, sulle guerre e i conflitti di potere, sappiamo che la storia è scritta solo in piccolissima parte e che ci sono ben altre forze a determinare gli eventi di cui tener conto. È stato un grande errore escludere il libero gioco dei rapporti tra donne e tra donne e uomini, rinunciare alla soggettività, ai contesti relazionali del passato, in nome del vincolo della verità fattuale, verificabile dai documenti. Il taglio della differenza ci restituisce il senso vero della storia che è radicata nel sapere della vita, nei rapporti tra i sessi e le generazioni. Al livello attuale degli studi, della ricerca e della consapevolezza raggiunta – affermano Marirì Martinengo e Laura Minguzzi – lo scopo, la scommessa di chi fa ricerca storica, donne e uomini, non è tanto di includere la donna nella storia già esistente, ma di riscrivere la storia.

Sono passati due anni dalla pubblicazione della rivista DWF con gli scritti che Laura, Luciana e Marina hanno scritto insieme a Marirì Martinengo, María Milagros Rivera e altre, ma non c’è perdita di attualità.

La storia vivente si presenta come una pratica nuova. Non nasce dal nulla. C’è un percorso che ha inizio alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. In Italia si stava diffondendo il femminismo della differenza che faceva capo alla Libreria delle donne di Milano. Laura Minguzzi, Luciana Tavernini, Marina Santini fanno parte del movimento di Pedagogia della differenza, ideato da Marirì Martinengo che in quegli anni avvierà con altre un seminario di pedagogia della differenza: erano corsi rivolti a insegnanti che si trasformarono ben presto in un contesto allargato in cui, superata la logica della suddivisione per materie e per ordine e grado, si discuteva di come introdurre nelle scuole il linguaggio sessuato. Fu lì che si capì quanto fosse centrale la mediazione femminile nella scuola. A partire da quell’esperienza, alcuni anni dopo si costituisce la “Comunità di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica” che si riunisce intorno all’autorità di Marirì Martinengo con l’intento di dedicare attenzione alla storia, la più politica delle discipline e non solo, e di cambiare la storia insegnata a scuola, introducendovi la ricchezza di studi e di sapere di origine femminile. Sulla base del comune amore per la storia, le donne della Comunità iniziano un cammino che le porta a prendere le distanze dai manuali di storia, a mettere in discussione l’uso del linguaggio neutro, ad abbandonare l’universalismo dei saperi preconfezionati che non rispondono alle domande di senso né di chi insegna né di chi si dispone ad apprendere. Cominciano a sfogliare il passato, vanno a vedere i livelli di resistenza femminili resi opachi dalle interpretazioni storiografiche riduttive e fuorvianti, ragionano sull’assenza dalla storia delle comuni vite quotidiane di donne e uomini, assenza che fa della storia un pianeta deserto, freddo, sterile, nel quale gesticolano dei burattini. Scoprono un filo continuo di libertà femminile che percorre il passato e giunge fino al presente, individuabile in tracce lasciate nel tempo: i saloni di pietra delle trovatore, le corti d’amore feudali, le corti rinascimentali, i salotti delle preziose, i salotti illuministi e risorgimentali e, via via, fino alle riunioni femministe di autocoscienza negli anni Settanta. Riconoscono l’importanza dei contesti relazionali per capire gli avvenimenti del passato, assumono la libertà femminile come categoria storiografica. Portano avanti la ricerca storiografica con finalità educative e politiche: lavorano per un cambio di civiltà. Fare concretamente ricerca le avvicina alle specialiste del settore: le storiche di professione. Si articola uno scambio tra competenze specialistiche da un lato e competenza pedagogica e didattica dall’altro, ma dopo un avvio promettente il dialogo si arena e sarà ripreso solo diversi anni più tardi.

Nel 1996 la pubblicazione di Libere di esistere costituisce un primo punto di arrivo del loro percorso di ricerca storica in relazione. La preferenza per il Medioevo è dovuta al riconoscimento di questa epoca come una radice profonda del nostro essere donne e uomini viventi nell’Occidente europeo, sono i secoli in cui avviene la sintesi tra l’eredità greco-romana, la cultura barbarica e quella cristiana, in cui la lingua materna diventava in Europa lingua comune. I secoli XII e XIII, in particolare, si rivelano tempi di libertà e autorità femminile nei quali le voci di alcune donne (sante, visionarie, mistiche, badesse) erano ascoltate e avevano credito.

Nel 2001, preceduto da una serie di incontri in Libreria chiamati “Tè, storia e pasticcini”, la Comunità organizza il convegno “Cambia il mondo cambia la storia – La differenza sessuale nella ricerca storica e nell’insegnamento” (2001). Gli atti sono curati nel 2002 da Marina Santini.

Seguono due Quaderni preziosissimi, editi dalla Libreria delle donne di Milano, di Marirì Martinengo sulle Trovatore.

Infine del 2005, dopo anni di ricerche sulla nonna paterna Maria Massone, donna “sottratta”, come lei la definisce, Marirì Martinengo pubblica La voce del silenzio. Nasce la storia vivente.

Nel 2006, al XII Simposio internazionale delle filosofe a Roma, María Milagros Rivera riconosce nella ricerca di Marirì sulla nonna una proposta innovativa di fare storia e parla per la prima volta pubblicamente di “Storia vivente”.

Fu una svolta. Dopo quel riconoscimento Marirì propone alle componenti della Comunità di chiamare “Storia vivente” la pratica che già avevano messo in atto da tempo tra loro e che consiste nell’assumere l’indagine interiore dei nodi irrisolti come motore di un modo, non l’unico, di scrivere la storia da parte di donne.

Di questo parleranno meglio e più approfonditamente le autrici.

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