16 Marzo 2015
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Tre cose che possiamo imparare dalla migliore insegnante del mondo

di Annalisa Monfreda

 

Ieri è stato assegnato il cosiddetto Nobel per l’insegnamento.

È un premio tutto nuovo, che si chiama Global Teacher Prize, e che nasce con l’intento di focalizzare l’attenzione su uno dei mestieri meno pagati ma più importanti del mondo, quello di maestro.

Gli ingredienti per riuscire nell’impresa ci sono tutti. A dare il premio (di ben un milione di dollari) è la Varkey Gems Foundation, presieduta da Bill Clinton. In giuria, tra gli altri, l’attore Kevin Spacey e Bill Gates, che ha detto:

«Sarà un caso, ma pure papa Francesco due giorni fa si è espresso in materia di insegnamento, andando dritto al punto come suo solito: “Insegnare è un lavoro bellissimo, peccato che gli insegnanti siano malpagati: è un’ingiustizia”

Di questo premio abbiamo tanto sentito parlare soprattutto perché c’erano due candidati italiani: Daniela Boscolo dell’ITSE C. Colombo di Porto Viro e Daniele Manni dell’Istituto Galilei Costa di Lecce. Non hanno vinto. Ma non foss’altro, il premio ci ha permesso di conoscere le loro eccezionali storie.

Mentre ieri seguivo la cronaca della premiazione via Twitter, ho fatto 2-3 considerazioni che mi piacerebbe condividere con voi.

 

Pensiero # 1

 

Ad aver vinto è un’insegnante con gli occhi azzurri e una cascata di capelli bianchi.

Si chiama Nancie Atwell e ha la faccia della tipica signora maestra. Quella che ciascuno di noi ha incontrato almeno una volta nella vita.

Ha vinto per il suo innovativo metodo di insegnamento della lingua inglese. Per la sua capacità di far leggere agli allievi almeno quaranta libri all’anno. E di farli appassionare alla scrittura.

Nancie non è una nativa digitale, questo è chiaro. E la tecnologia non è al centro della sua innovazione, ma uno strumento al servizio della stessa, come è giusto che sia.

La sua storia dimostra che si è innovatori (in tutti gli ambiti, non solo nella scuola) non per gli strumenti di cui si dispone ma per l’amore che si prova per ciò che si fa.

È questo amore che fa superare le barriere dei finanziamenti che non ci sono, dei computer che non arrivano, della rete che va a manovella e della carta igienica fornita dai genitori.

A chi si nasconde dietro l’alibi di una scuola sempre più povera, consiglio di leggere le storie dei finalisti di questo premio.

Tutti maestri di frontiera. Che hanno cambiato le vite dei loro ragazzi pur operando in condizioni difficilissime.

 

Pensiero # 2

 

Nel suo discorso di premiazione Nancie ha detto: «È un privilegio sviluppare relazioni con i ragazzi».

È una frase che si commenta da sola.

Il grande maestro si riconosce proprio da questo: dallo straordinario rispetto che ha verso i suoi allievi e dalla predisposizione all’ascolto

Il grande maestro è colui che varca ogni giorno il portone della scuola chiedendosi cosa imparerà non solo cosa insegnerà.

 

Pensiero # 3

 

Andreas Schleicher, responsabile della sezione istruzione dell’Ocse, ha detto che «i risultati dell’insegnamento sono migliori là dove gli insegnanti sentono che la società dà valore al loro lavoro». In Asia, per esempio.

Non si tratta solo di quanto si è pagati, dunque, ma della considerazione che i genitori e la società hanno degli insegnanti.

È una cosa a cui penso tutte le volte che arrivo trafelata a una festa scolastica o ai colloqui con le maestre: mi accorgo che loro hanno prestato particolare attenzione all’abbigliamento. Forse hanno osato un velo di trucco e hanno fatto la messa in piega.

Per le maestre, l’incontro con i genitori è un momento speciale. È importante che sia altrettanto per noi ed è importante trovare un modo, qualunque esso sia, per dimostrarglielo.

Non solo. Anche i compiti a casa contribuiscono al riconoscimento sociale del valore degli insegnanti. C’è un grande movimento di pensiero per abolirli. Io invece credo che siano sacrosanti.

Me lo ha fatto capire mia figlia Sara, che dopo innumerevoli mesi di compiti in solitaria l’altro giorno mi ha chiesto: «Mamma, ti siedi vicino a me mentre li faccio?».

Non voleva aiuto. Voleva solo che io assistessi allo straordinario spettacolo del suo apprendimento.

Ed è la stessa cosa che ci chiedono i bravi maestri. Di essere testimoni del loro miracolo quotidiano.

Più che un buono stipendio è questo che li fa lavorare bene.

 

 (www.giornimoderni.donnamoderna.com, 16 marzo 2015)

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