15 Settembre 2017
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L’autorità femminile e le nostre storie

di Anna Turri Vitaliani

 

Intervenire a questo punto mi sembrava superfluo; solo l’incoraggiamento di alcune amiche e la pratica politica del partire da sé mi hanno fatto superare la ritrosia a espormi pubblicamente nel dibattito e a motivare la mia partecipazione e attenzione alla storia delle Comunità di base, dei Gruppi Donne Cdb e, in particolare, per lo scritto di Mira.

La pubblicazione del libro di Mira Furlani (Le donne e il prete, Gabrielli 2016), nel quale narra la sua esperienza all’Isolotto, ha suscitato, sin dalla presentazione che l’autrice ne fece al Convegno Gruppi donne Cdb del novembre 2016, un interessante dibattito, che è poi proseguito in vari ambiti: sul sito delle Cdb, su varie riviste, alla Libreria delle donne di Milano, con l’autorevole presenza di Luisa Muraro, al Centro Donna di Mestre, con un intervento della storica Alessandra De Perini che, ripercorrendo sinteticamente ma molto efficacemente la vicenda, ha evidenziato i motivi per cui l’Autrice si è risolta a narrarla.

Per comprendere le origini del mio interesse per tutto ciò ho dovuto ripercorrere la mia storia, andando a ritroso nel tempo, per cercare negli anfratti della memoria, dei ricordi, a volte nitidi, talora un po’ sfocati, per constatare come essa, a un certo punto si sia intrecciata con la storia delle Comunità cristiane di base italiane.

Tutto ha inizio più di tre decenni fa quando un familiare, a me molto caro, prete diocesano, venne inviato dalla Chiesa veronese, come Fidei Donum, in terre Latinoamericane. Seguendo da vicino la sua esperienza ho iniziato ad avere dei contatti molto intensi con le Comunità di base di quel continente, a quel tempo assai fiorenti, molto attive, ispirate dalla teologia della liberazione e da grandi teologi e ideatori come L. Boff, P. Freire, G. Gutierrez, come pure dai Gesuiti dell’UCA (Università del Centroamerica), questi ultimi purtroppo uccisi, come altri, perché scomodi e invisi a chi era abituato a dominare e non ammetteva che la gente comune desiderasse liberarsi dall’oppressione e dallo sfruttamento.

Sovente mi ero chiesta, nel decennio in cui ho vissuto a stretto contatto con le realtà ecclesiali di base del Continente latinoamericano, se non ci fossero realtà analoghe anche in Italia, ma inizialmente non ne avevo trovato traccia finché, tramite amicizie, venni a sapere dell’esistenza delle Comunità di base italiane e incominciai a interessarmene. Leggevo tutte le notizie che mi arrivavano per conoscerle meglio e, appena possibile, partecipavo alle conferenze di quei preti che erano le figure carismatiche delle rispettive comunità.

Osservai una diversità: mentre in America Latina le Comunità di base cristiane erano composte prevalentemente da laici e il prete era figura importante ma non sempre presente, data l’esiguità numerica di religiosi o di preti in tutto il continente (tanto che un vescovo brasiliano, in visita in Italia e invitato a un incontro di preti veronesi, aveva esclamato stupefatto come in tutto il Brasile non ve ne fossero, neppure lontanamente, tanti quanti quelli della sola Diocesi veronese!), in Italia mi sembrava che le Cdb facessero riferimento prevalentemente a un prete, che ne era l’ispiratore e animatore.

L’incontro con la Teologia della Liberazione mi aveva entusiasmato e fatto scoprire nuovi orizzonti. Avevo imparato, anche con l’aiuto di preti illuminati, che tornavano dall’esperienza latinoamericana, a leggere il Vangelo e a cogliere nella Buona Novella di Gesù di Nazareth il messaggio liberante. Lentamente iniziavo a liberarmi dai molti condizionamenti che avevo ricevuto negli ambiti cattolici parrocchiali, che fino ad allora avevo frequentato. La teologia della liberazione mi aveva aperto nuovi orizzonti e con questo bagaglio ero pronta a incontrare le esperienze delle Cdb italiane; così, poco alla volta, ho iniziato a conoscere le storie di Pinerolo, Verona, Firenze, Roma e le altre e a costruire relazioni con donne e uomini di quelle Comunità.

Nel 1994, grazie alle amicizie femminili che si andavano formando, sono approdata per la prima volta a un Convegno dei Gruppi Donne delle Cdb, nel veronese. Per parecchio tempo di quella prima esperienza con le donne ho avuto un ricordo vago, però ho continuato a frequentare i Convegni successivi, perché mi affascinava il pensiero delle donne, che avvertivo in sintonia con il mio sentire profondo. Sentivo parlare di Pensiero della differenza sessuale, di Autorità femminile, di Libertà femminile; inoltre si rifletteva su come fosse improrogabile per noi rielaborare, sia sul piano filosofico che teologico, il pensiero sul DIVINO, e costruire un simbolico femminile; abbracciavo quelle riflessioni perché comprendevo che quella era la strada che volevo percorrere.

In quel contesto ho iniziato a conoscere Mira, il suo modo di esprimersi schietto, lucido, la sua fermezza nel sostenere le proprie posizioni. Avevo seguito un po’ la storia dell’Isolotto e del suo Parroco don Enzo Mazzi, avendo letto qualche suo scritto; la figura era carismatica e interessante. Frequentando i Convegni dei Gruppi donne e i coordinamenti sentivo narrare qualche episodio della vita dell’Isolotto, ma erano sempre racconti isolati, parziali. Non riuscivo ad avere un quadro completo della storia; dall’insieme di quelle testimonianze avevo la sensazione che mi mancasse sempre qualcosa.

Quando Mira ci informò che stava scrivendo la “narrazione” della sua esperienza vissuta in quella Comunità, ne fui contenta. Compresi ciò che mi mancava: era la voce femminile di chi, di quelle vicende, era stata una protagonista. Non entro nel merito di quelle vicende. Non le ho vissute direttamente e non potrei farlo. Vorrei però mettere in evidenza un aspetto che mi sta a cuore: che la voce delle donne prenda corpo, e assuma una dimensione pubblica, politica. Troppe volte l’esperienza delle donne è caduta nel silenzio, se non nell’oblio.

Mira ha atteso a lungo prima di scrivere: la bloccava il timore di non essere compresa, di essere giudicata, come ha scritto nel suo libro. Solo l’incoraggiamento di alcune amiche, tra le quali la filosofa Luisa Muraro, che le hanno riconosciuto AUTORITÀ, ha fatto cadere le sue esitazioni. Nel libro Mira affronta alcuni nodi cruciali, uno dei quali è il mancato riconoscimento dell’Autorità femminile da parte maschile, ma anche da parte di molte donne che hanno come punto di riferimento il simbolico maschile.

L’incoraggiamento delle amiche l’ha autorizzata a scrivere, aiutandola a superare la soglia del silenzio. Così è venuto alla luce il suo libro, un testo che in un modo o nell’altro riguarda tutte noi, perché parla del rapporto pubblico/privato, di libertà femminile e di simbolico materno, partendo dalla propria verità soggettiva. Scrive Doranna Lupi nel suo bel “Primo Piano” del 16 maggio 2017: «Solo il superamento della dicotomia pubblico/privato ci ha permesso di riconoscere la politicità della vita personale. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non fossimo partite dal dare valore alla verità soggettiva femminile. Oggi sono proprio le donne che si sentono parte attiva di questa storica evoluzione, donne che rispondono positivamente, e colgono appieno il senso di rivolta che il testo di Mira ha voluto trasmettere contro la cancellazione dalla storia dell’esperienza femminile».

Facendo appello, aggiungo io, a quel senso di libertà irrinunciabile, che permette di attuare le proprie scelte quando non temiamo i conflitti. Sappiamo che i conflitti fanno paura ma sono occasioni. Sono proprio questi gli aspetti per cui ritengo sia stato importante per tutte noi la pubblicazione del testo di Mira.

Più avanti, sempre nello stesso “Primo Piano”, Doranna ricorda le parole che la filosofa Chiara Zamboni ha pronunciato in occasione del Convegno Gruppi Donne Cdb e altri gruppi del novembre 2016 a Verona: «Siamo noi con la nostra scommessa simbolica a mostrare come il significato di avvenimenti, apparentemente secondari o visionari che ci hanno toccato, hanno un valore che occorre condividere con altri, sia donne che uomini. Si tratta di avere fedeltà nei segni che ci coinvolgono ma, in più, avere fiducia che con le nostre parole rendiamo condivisibile il significato di ciò che ci ha messo in movimento, perché lì c’è una verità implicita. Non importa se a prima vista questo ad altri possa sembrare di poca importanza o se il simbolico dominante non lo veda del tutto o lo consideri marginale o lo interpreti in maniera per noi stridente, inadeguata. Assumere autorità è sentire l’importanza di questo lavoro simbolico».

È da queste parole di Chiara Zamboni che il mio pensiero trova il coraggio di esprimersi pubblicamente. Per troppo tempo le parole di molte donne e i loro vissuti sono rimasti racchiusi «come in un bozzolo di silenzio». È tempo che vedano la luce, dispieghino le ali e prendano il volo, consapevoli dei rischi che il volo comporta, ma consapevoli pure di poter respirare in tal modo profumo di libertà.

(www.cdbitalia.it, sito delle Comunità Cristiane di Base, “Primo Piano”, agosto 2017)

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