13 Gennaio 2009
CORRIERE DELLA SERA

«Oscurate Yonit», la conduttrice tv «filo-palestinese»

Davide Frattini

Yonit Levy presenta ogni sera il telegiornale più seguito del Paese. In questi giorni di guerra, è circondata da generali e analisti militari, politici e soldati della riserva. È accusata di mostrare troppa compassione per le vittime palestinesi e troppo poca per i connazionali bersagliati dai Qassam. «Perché nessuno le tappa la bocca – attacca il manifesto che circola online -, quando si domanda in diretta com’ è possibile che noi abbiamo un solo morto e loro trecento? È inaccettabile che una giornalista televisiva esprima un eccesso di pietà per il nemico e sostenga le sue idee estremiste davanti a tutti. Boicottatela, non guardate il Canale 2». Levy, 32 anni, è criticata anche da parte della sua redazione. Qualche giorno fa sarebbe scoppiata a piangere dopo la diretta, per una discussione con i produttori. «È il simbolo delle news in Israele – la difende Guy Soderi -. Fa le domande che vanno fatte». «La gente le crede, ha fiducia in lei», commenta Ilana Dayan, una delle più famose giornaliste investigative. «Sta pagando il prezzo di essere una donna che parla con voce gentile. È equilibrata, in uno studio dove niente sembra abbastanza nazionalistico», scrive Yehuda Nuriel, critico televisivo del quotidiano Yedioth Ahronoth. Nuriel denuncia la «caccia alle streghe». Che ha colpito anche il poeta Yonatan Geffen. Maariv, il giornale per cui scrive da quarant’ anni, ha accettato di pubblicare un annuncio a pagamento per dirgli «siamo stufi di te» e invitarlo «ad andare a farsi…». Firmato e pagato da Oded Tirah, fino al 2005 presidente della Confindustria israeliana. «Prima di essere sionista, e lo sono, io sono un umanista – replica Geffen, che ha ricevuto minacce di morte -. È giusto partecipare al dramma della popolazione israeliana colpita dai razzi palestinesi, non possiamo certo dimenticare i cadaveri delle vittime civili a Gaza». Il Paese (e i suoi media) avvolti nella bandiera preoccupano un veterano delle guerre e del giornalismo come Nahum Barnea, prima firma di Yedioth. «L’ armonia nazionalista è ammissibile nella gente, non nella stampa, la televisione o i politici. Amira Haas, giornalista di Haaretz, ha detto di essere contenta che i suoi genitori siano morti, perché così non devono assistere ai crimini israeliani nella Striscia. A differenza di lei, io sono dispiaciuto che i miei non ci siano più e a differenza di lei, non credo che Tsahal sia un esercito di criminali di guerra. Ma le immagini da Gaza sono inquietanti. Non c’ è niente di patriottico in un bambino ucciso dall’ artiglieria o in una famiglia seppellita sotto le macerie. Hamas non si preoccupa per loro, noi dovremmo». Gideon Levy, giornalista di Haaretz come Amira Haas, in passato è stato accusato dal ministero degli Esteri di danneggiare l’ immagine di Israele. Nell’ email riceve messaggi come questo: «Va istituito l’ esilio interno, alla russa. Ti devono spedire a Sderot, senza passaporto». Scrive Levy: «Uno spirito malvagio è calato sulla nazione. Un editorialista, cosiddetto illuminato, descrive il fumo nero che si alza da Gaza come uno spettacolo. Questo non è il mio patriottismo. Il mio patriottismo è criticare, fare le domande fondamentali. Questo non è solo il momento dell’ uniforme e della fanfara, ma dell’ umanità e della compassione».

Print Friendly, PDF & Email