20 Gennaio 2009
Liberazione

Ha perso tre figlie “Ma io amo Israele”

Francesca Marretta

I giornalisti israeliani lo hanno ribattezzato “il Grossman palestinese”, paragonandolo al celebre scrittore israeliano che due anni fa, durante la guerra tra Israele ed Hezbollah, perse suo figlio Uri, soldato ucciso al fronte, a poche ore dal cessate-il-fuoco.
Il dr. Ezzeldeen Abu al-Aish è il medico palestinese che parla perfettamente ebraico ed inglese, diventato famoso in tutto il mondo per la “morte in diretta” delle sue tre figlie alla televisione israeliana, che lo intervistava ogni giorno.
A Gaza il dr. Esseldeen Abu al-Aih, è conosciuto e rispettato da tutti.
Aveva partecipato alle elezioni del gennaio 2006 correndo come indipendene. Ginecologo, master ad Harvard in management delle strutture sanitarie pubbliche, ex dipendente dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Ezzeleen Abu al-Aish, vedovo, ha lavorato per diversi ospedali israeliani, con i quali ancora collabora a progetti di ricerca sulla fertilità. “Amo i miei amici israeliani. Amo gli esseri umani e questo insegno ai miei figli”, dice il medico, seduto su una panchina nel cortile dello Sheba Medical Centre, il grande e moderno Ospedale di TelHashomer, dove si trova, tenuto in vita dalle macchine, l’ex premier israeliano Ariel Sharon.

 

Un celebre medico di Gaza era al telefono con una tv ebraica quando la bomba ha colpito casa sua
“AMO ISRAELE CHE HA UCCISO TRE FIGLIE MIE”

 

Ha spesso la forza di sorridere, anche se gli trema la voce il dr. Esseldeen Abu al-Aih. E’ circondato da un cordone di amici israeliani, molti sono medici.
Gli amici gli chiedono se se la sente ancora di raccontare.
Dice:”Voglio parlarvi, ma voi avrete poi la responsabilità di dire la verità.
“Ero tornato a Gaza il 25 dicembre. Ero impegnato in Israele con i miei progetti di ricerca. Il sabato è cominciata l’operazione militare israeliana e non ci siamo potuti spostare.
La mia casa si trova a Jabalya, a pochi chilometri dal valico di Eretz. Non potevamo uscire. Avevamo scorte di cibo, ma tutto quello che avevamo nel congelatore era andato a male ed abbiamo usato le scorte di scatolame.
Mia figlia Shana, che ha diciassette anni ed ora è qui all’ospedale, aveva molte batterie, così siamo riusciti a ricaricare i cellulari. Mi ero consultato con i figli prima di decidere di restare quando avremmo potuto andare in una scuola, ma le mie figlie sapevano che nei rifugi non ci si può lavare, non ci sono bagni. E’ umiliante. Anche per questo siamo rimasti, ma soprattutto perchè ci sentivamo sicuri per il fatto che io ero diventato il corrispondente di guerra di radio e televisioni israeliane.
Pensi che due giorni prima della tragedia, si erano avvicinati a casa mia due carri armati. Ci eravamo spaventati. Ho chiamato i miei amici alla televisione e la radio israeliana. Gabi Gabitz è un presentatore molto famoso. Ha interrotto la trasmissione per aiutarmi. Ho chiamato anche un colonnello dell’esercito israeliano che era ad Eretz. Mi hanno detto: non preoccuparti, dacci le coordinate esatte di casa tua, descrivi l’edificio e il colore. Io ho detto: siamo in Salah al-Din, è il palazzo con la pietra bianca come quella di Gerusalemme con portone e finestre rossi.
Dopo poco abbiamo visto i tank indietreggiare ed abbiamo pensato: nessuno ci toccherà mai in questa casa. Mio fratello che avevo convinto a venire da me con la moglie ed i figli, mi ha detto che eravamo salvi.
Poi, il venerdì alle cinque, la tragedia. Quattro delle mie figlie, Bisan di vent’anni, Shan, diciassette, Mayar, quindici, Aya, tredici, e le mie due nipoti, Gaida e Nur, erano nella stessa stanza quando quattro di loro sono state uccise. I carri armati non c’erano, ma sapevamo che era fuoco israeliano. Lo stesso tipo di missili che hanno colpito tante altre case. Il colpo ha centrato la finestra. Sono entrato nella stanza, ho visto le mie figlie fatte a pezzi. Ho urlato, come un pazzo. Sono accorsi quelli che c’erano. Ho chiamato i miei amici alla televisione. Vi prego fate venire le ambulanze a salvarci. Loro mi hano risposto mentre erano in diretta, hanno capito che qualcosa non andava perchè li chiamavo incessantemente.
Così mia figlia Shada, mia nipote Nur e mio fratello Nasser, si sono salvati. Ci sono volute almeno tre ore per l’arrivo delle ambulanze con cui abbiamo raggiunto Israele. I primi soccorsi li abbiamo avuti a Gaza, all’ospedale Kamal Adwan, che non è attrezzato per le emergenze. Quando sono andato via, uno dei miei figli mi ha trattenuto e mi ha detto, ti prego papà, non andare, resta per noi Ti uccideranno. Sono in debito con tutti i miei amici israeliani per la vita di mia figlia, di mio fratello e mia nipote”.
Fa una pausa, il dr. Esseldeen Abu al-Aih. Tira il fiato. Poi ricorda le ore che hanno preceduto la morte tragica delle figlie.
“Il giorno in cui la cannonata ha ammazzato le mie figlie avevamo passato, nonostante tutto, una bella giornata. Avevamo fatto una torta. Io stavo giocando con mio figlio Abdallah quando mia figlia Bassam, la maggiore, è venuta da me e mi ha detto, papà fai le congratulazioni ad Aya (13 anni, morte entrambe nell’attacco israeliano, ndr.), ha avuto il ciclo.
Essendo ginecologo abbiamo riso, le ho chiesto dove se ne fosse accorta, se aveva avvertito dolore. Quello stesso giorno era arrivata, prendendosi un grosso rischio, una delle figlie di mio fatello che nei giorni precedenti era rimasta rifugiata in una moschea. L’abbiamo rimproverata per aver camminato fino a casa. E’ tornata come se fosse stata chiamata al suo destino (la giovane è morta nell’attacco assieme alle figlie del medico, ndr). Quel giorno con le mie figlie avevamo parlato anche del futuro. Dell’offerta pervenutami dalla Toronto University.Anche mia figlia Bassam aveva avuto un’offerta di borsa di studio dalla stessa Università. A Gaza era la prima studentessa universitaria ad aver finito in tre anni la laurea in business management alla Islamic University, che avrebbe conseguito a giugno. Avevamo anche parlato al telefono con l’unica mia figlia che non era a casa, rimasta con la zia dall’inizio della guerra. Ci abbiamo messo almeno 15 minuti per prendere la linea. Le ragazze avevano insistito per parlarle. Come se sapessero che sarebbe stata l’ultima volta. Da quando mia moglie è morta, coi miei ragazzi non siamo solo padre e figli, ma anche amici.
Bisan, avrebbe potuto già trasferirsi in Canada. Era rimasta perchè i miei figli sono molto legati. Mi aveva detto, ci andiamo tutti insieme. Era bravissima. Tutti i miei figli sono bravi, intelligenti. Il più piccolo, Abdallah, è così divertente. Le mie figliei lo coccolano sempre, per non fargli mancare la mamma. Il giorno in cui le mie figlie sono state uccise avevamo parlato anche del cessate-il-fuoco. Ho tirato fuori le foto fatte con Ehud Barak quando era primo Ministro. Venne con sua moglie all’ospedale di Beersheva dove lavoravo. Non avrebbe mai pensato di incontrare un medico palestinese di Gaza tra lo staff.
Disse che il mio lavoro all’ospedale era un bellissimo esempio di convivenza.
Io ci voglio ancora credere, ma per poterlo fare è necessario fare chiarezza su quello che è accaduto a Gaza. I governanti israeliani devono dire la verità. I soldati israeliani hanno detto che da casa mia sparavano dei cecchini. Questa cosa mi fa male, mi fa arrabbiare. Non è vero. Se ci fossero stati cecchini a sparare avrei capito, avrei accettato parte della responsabilità. Ma a casa mia non c’era nessun cecchino. Se pure ci fosse stato perchè non hanno ucciso lui? Non voglio sentire false scuse. Io chiedo che il governo israeliano, in cui ho fiducia, dica: scusate, abbiamo sbagliato. E che si sappia che a Gaza i morti civili di questa guerra sono il 90%. Poi si deve lavorare per tornare a convivere. Altrimenti altri padri, israeliani e palestinesi soffriranno quello che sto soffrendo io. Spero che il sangue versato dalle mie figlie non sia stato versato invano. La morte delle mie fiiglie ha rafforzato in me la convinzione che non c’è altra via che la ricerca della pace. E’ l’unica soluzione. Continuerò a crescere i miei figli insegnandogli questo.
La mia tragedia è entrata in ogni casa. E io mi auguro che questo serva ad aprire il cuore della gente. Lo sa che al funerale delle mie figlie a Jabalya ci sono andate quarantamila persone? E crede siano tutti terroristi? Era gente come noi Gente di Gaza. Io sono medico. Un medico palestinese che lavora in Israele. Qui, dove mia figlia ferita è stata portata e grazie alle cui cure sopravviverà, conosco tutti. Abbiamo un progetto sulla fertilità a cui, io come ginecologo con esperienza internazionale, contribuisco. In questo ospedale ci sono anche tanti bambini palestinesi. Se possiamo convivere qui, perchè non possiamo vivere insieme in altri posti? Per conoscerci, dobbiamo avere rapporti umani. Solo così si costruisce un futuro di vita e non di morte”.
Dalla porta a vetri del reparto esce una collega medico israeliana. Abbraccia il medico palestinese, che si scioglie in un pianto disperato.

Print Friendly, PDF & Email