28 Aprile 2007

La libertà è femmina

Per la pace in medio oriente
Brenda Gazzar (trad. M.G. Di Rienzo), giornalista indipendente, corrispondente per We News, vive a Gerusalemme.

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo [per contatti: sheela59@libero.it] per averci messo a disposizione questa sua traduzione.


ABU DIS, West Bank. “La libertà è femmina”. Questo il messaggio che Nida Awine ha scelto di dipingere, in caratteri arabi, sulla struttura che gli ufficiali israeliani chiamano “cinta di separazione” o “cinta di sicurezza”, e che i palestinesi chiamano “il muro dell’apartheid”. Il messaggio di Awine appare sulla sezione della struttura collocata in questo villaggio della West Bank che confina con Gerusalemme. L’imponente torre di cemento era bianca, prima che Awine ed altre donne la dipingessero con disegni politici, inclusa una porta che reca la scritta: “Da aprire”, ed una sfera di giallo splendente che recita: “Il sole un giorno sorgerà”.
Nida Awine, studentessa universitaria, è una delle 350 donne provenienti da 30 diversi paesi che si sono unite per il pellegrinaggio femminile in bicicletta che si ripete da tre anni, e che tocca Siria, Giordania, Libano e la West Bank. Lo scopo delle organizzatrici è mantenere alta l’attenzione sul conflitto israelo-palestinese e promuovere pace e libertà nella regione. Persino la first lady siriana Asma al-Assad si è unita a loro, percorrendo in bicicletta il proprio paese.
Quest’anno l’iniziativa, che si chiama “Seguite le donne”, è durata 12 giorni ed è terminata il 18 aprile, giusto pochi giorni prima che la nota attivista pacifista Mairead Corrigan, che ha condiviso il premio Nobel per la pace nel 1976 per il suo impegno contro il conflitto nel Nord Irlanda, attirasse ancora maggior attenzione sulla barriera che divide israeliani e palestinesi.
Corrigan è stata infatti ferita da una pallottola di gomma il 20 aprile, assieme ad altri attivisti, mentre protestava contro il muro di separazione nei pressi di Ramallah nella West Bank. Due poliziotti di confine israeliani sono rimasti invece feriti da pietre lanciate dai dimostranti. Gli organizzatori hanno dichiarato nonviolente queste dimostrazioni, che si tengono settimanalmente, ma pare che ci siano quasi sempre dei manifestanti che lanciano pietre con le fionde o tentano di abbattere la barriera, e quasi sempre le forze israeliane rispondono con gas lacrimogeno, granate da stordimento e pallottole di gomma.
“Lo stato del conflitto, attualmente, è ai massimi livelli.”, dice Naomi Chazan, membro della Commissione Internazionale delle Donne per una pace giusta e sostenibile fra Israele e Palestina, “Persino coloro che lottano per la pace risentono di questa situazione.”
Iniziative della società civile e delle donne, in tutto il mondo, stanno diventando sempre più direttamente coinvolte negli sforzi per risolvere il conflitto, mentre lo stato di Israele celebra il 59° anno dalla sua nascita il 24 aprile, e i palestinesi commemorano il “naqba”, o “disastro”, in cui circa mezzo milioni di profughi palestinesi fuggì dalla guerra arabo-israeliana del 1948.
“Non faccio conto sui politici, uomini o donne che siano, per la libertà della Palestina, il mio paese.”, dice la ventenne Nida Awine, la cui sola arma è un pennello e che sogna di diventare scrittrice, “Conto sugli esseri umani, sulle persone, perché le persone hanno il potere, hanno la volontà, e conoscono il valore di vivere come liberi esseri umani.
Dall’inizio della seconda intifada palestinese, nel settembre 2000, circa 4.040 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane, principalmente nei territori occupati, mentre 705 civili e 316 membri delle forze di sicurezza sono stati uccisi da palestinesi: i dati coprono sino al marzo 2007 e provengono da B’Tselem, il Centro di Informazione per i diritti umani che ha base in Gerusalemme.
Più uomini che donne vengono uccisi nel conflitto, ma le donne soffrono in numerosi modi indiretti che possono essere ulteriormente complicati dai costumi culturali, dice Fabrizia Falcione, funzionaria per i diritti umani delle donne di Unifem, il Fondo di sviluppo delle NU per le donne. Per esempio, una donna palestinese che ha perso terra e lavoro a causa del muro di separazione, dei checkpoint dell’esercito o del diniego dei permessi, avrà più difficoltà a trovare un altro impiego rispetto ad un uomo. “Spesso, non avendo lo stesso spettro di opportunità ne’ la stessa libertà di movimento degli uomini, finiscono per lavorare sulle terre di questi ultimi. E’ l’unica possibilità che viene loro offerta.” Falcione aggiunge che la violenza contro le donne sta aumentando nei territori occupati. Il conflitto ha indebolito la forza delle leggi e la capacità delle donne di chiedere e ricevere giustizia, un giudizio che richiama quello del rapporto 2006 di Amnesy International sullo stato delle donne palestinesi.
Sin dall’ottobre 2006, l’ong israeliana “Isha L’Isha – Centro femminista di Haifa” ha tenuto seminari e conferenze per incoraggiare dialoghi sulle donne, sulla pace e la sicurezza, sui costi economici ed emotivi del conflitto. Il gruppo ha anche istruito donne a divenire negoziatrici e mediatrici, rifacendosi alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle NU 1325, che chiede con urgenza agli stati membri di includere donne a tutti i livelli decisionali relativi alla prevenzione, il maneggio e la risoluzione dei conflitti.
Usando un’altra tecnica, la Commissione Internazionale delle Donne, un gruppo composto da prominenti donne israeliane, palestinesi e di altri paesi, tutte impegnate per la costruzione di pace, ha di recente chiamato Israele e la comunità internazionale a normalizzare le relazioni con il governo palestinese.
Quando Hamas, formazione politica islamista, vinse la maggioranza al Consiglio legislativo palestinese nel 2006, e rifiutò di riconoscere lo stato di Israele o di rinunciare alla violenza, gli Usa e molti stati europei tagliarono tutti i fondi all’Autorità nazionale palestinese. In marzo, Hamas e la formazione laica Fatah, che precedentemente era stato il partito di maggioranza per 12 anni, hanno dato vita ad un governo di unità nazionale nello sforzo di far ritirare le sanzioni internazionali. Il Primo Ministro israeliano, Ehud Olmert, ha boicottato il nuovo governo adducendo le stesse ragioni per il rigetto di quello precedente, ma almeno ha accettato una nuova serie di incontri con il Presidente palestinese Mahmoud Abbas e la speranza è che questo possa dar vita ad un processo di pace.
“Noi crediamo che senza negoziati, senza parlare con il governo palestinese, non si muoverà nulla.”, dice Aida Touma-Suleiman, palestinese-israeliana, membro della Commissione Internazione delle Donne. La Commissione, fondata con gli auspici di Unifem per implementare la Risoluzione 1325, terrà la sua prima conferenza locale a Gerusalemme il 13/14 maggio prossimi. La conferenza, spiega Touma-Suleiman, intende trattare due punti chiave: rimettere in moto le negoziazioni di pace ed integrare le donne in tali negoziazioni.

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