1 Ottobre 2006

“Senza giudizio” e “Felinosofia”

Dopo una lunga pausa, senza che io lo abbia propriamente deciso, riprende il mio gioco con il linguaggio. E così mi viene un dubbio: sono io che gioco con il linguaggio o è il linguaggio che gioca con me? Ad ogni modo si tratta di un gioco serio, come quello dei bambini e delle bambine, che sono coinvolti anima e corpo in quello che fanno, pur senza identificarvisi completamente.

Giacomo Mambriani


Senza giudizio. C’è più spazio e meno strazio. Una vera delizia, come un inizio. Adesso Caio non è peggio di Tizio. Rivalutazione improvvisa dell’ozio. Scatta l’armistizio, ognuno è libero di volteggiare sul trapezio. Le classifiche restano solo un gioco, oppure un brutto vizio. Cambia la legge di gravitazione, ora è possibile fluttuare sopra i precipizi. Si smette di pagar dazio alla ragionevolezza. Il rigore va nell’immondizia (per l’odio c’è la raccolta differenziata). L’ambizione diviene sospetta. Salgono le quotazioni delle relazioni. Più preziose delle pietre preziose; altro che topazio! Sull’onda dell’entusiasmo, zio Paperone dimentica l’avarizia, moltiplica le donazioni e scopre i tesori dell’amicizia (all’orizzonte le nozze con Brigitta?).
Addio alla preoccupazione per la disoccupazione. Basta con i pozzi e le trivellazioni: l’oro nero non è il petrolio, bensì la liquirizia! Drastica riduzione della violenza, sopravvivono gli screzi e le arti marziali ma non troppo. Gli extraterrestri atterrano con razzi azzurri e investono in seconde case: sulle coste è boom delle presenze marziane. Le persone anziane, non essendo più senza speranza, escono arzille dagli ospizi. Scompaiono i comizi, mentre è tutto un fiorire di pazzie, primizie, frizzi e lazzi. Gli uomini accettano la loro parzialità, le donne dicono grazie e danzano aggraziate, componendo canzoni.
Chi ha le grinze non deve più ricorrere alle pinze. Chi dava il prezzo ad ogni cosa, preso da stanchezza, si siede a sorseggiare una gazzosa. Gli animali dello zoo si tolgono lo sfizio della libertà: zebre e struzzi, all’imbrunire, gozzovigliano in città. Nell’aria si avverte che la vita è un azzardo, come un calcio di sei sponde in una sfida di biliardo. Nasce un abbozzo di consapevolezza: a forza di prevenzione del rischio, ogni azione tende alla finzione, ogni grazia alla disgrazia.
Per concludere, un piccolo quiz: indovina quante sono in questo testo le proposizioni scherzose. Sappi che non sono a bizzeffe. Anzi.

Felinosofia
La gatta fa le fusa. È grande e grossa, ma gioca affusolata. Invita al contatto, alla fusione. Fusione proprio adesso, in un luogo sulla terra, non importa il fuso orario. La gatta si avvita su se stessa, fusillo di pelo. Pelodiffusione. Filodiffusione di suono caldo e sensuale.
Sono confuso, ho pensieri alla rinfusa, mi farei volentieri un infuso. E mi sento stranamente offeso, come se fossi, d’un tratto, indifeso.
Sdraiata sul tappeto, la gatta si muove a fisarmonica, poi mi guarda negli occhi. Fase di studio. Afasia, naturalmente mia. Finalmente, la scoperta: ho un bisogno fisiologico di relazione. Miracolo di filosofia animale. Trasfusione di vita.
Ieri ero in volo, lontano da ogni cosa, chiuso in luccicante fusoliera. Un ufo. Oggi sono diffuso. Sulle bancarelle mi vendo sfuso. Uso fantasie in passato confiscate. Osanna, fanciullo! È l’ora di educazione fisica, mi dispongo a soffi, baruffe e graffi.
La storia è una lama affilata, raramente affabile. Uffa! Case come formicai, riposo tendenzialmente mai. Esistenze soffocate, affannate, infibulate. Rose ferite. Dosi fatali. Folle invasate e inferocite.
Ma la gatta spande affetto, senza fretta. Se frano lei mi afferra, se freno lei aspetta. Presenza soffice, elastica, morbida. Lei vibra e respira, se ne fa un baffo, soavemente perfetta. Perfezione benedetta e miagolante, che di tanto in tanto fa pipì. Raffinata e indifferente, ma capace di offrirsi e di soffrire. Si struscia e si sfrega, di ciò ch’è conveniente se ne frega. Si affida, poi diffida, il suo muso felino mi sfida.
Brividi a raffica. Se io fossi una gatta, questa sarebbe un’esperienza saffica? Sarò buffo, forse goffo, ma mi tuffo, e una cosa mi sorprende: non affondo. Sono diafano, sospeso sullo sfondo. E lo sfondo è l’esistenza, l’amore, la danza. Dolcemente con lo sfondo mi confondo.

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