7 Maggio 2016
Corriere della sera

Sofia Corradi: «Vent’anni di battaglie. Così ho fatta nascere Erasmus»

di Antonella De Gregorio

Si chiama Sofia Corradi, ha 82 anni e lunedì nel monastero di Yuste a Caceres, in Estremadura (Spagna), riceverà il prestigioso premio Carlo V, riconoscimento assegnato negli anni a personaggi che hanno contribuito alla costruzione europea, da Helmut Kohl a José Barroso, Jacques Delors, Simone Veil. Sofia Corradi ha inventato l’Europa della conoscenza. Il premio per lei sta già tutto in quel soprannome che milioni di ragazzi e professori le han dato: «Mamma Erasmus». È a lei, infatti, alla sua tenacia, alla sua lungimiranza, che si deve la nascita del programma di mobilità tra atenei universitari denominato con l’acronimo di «European Action for the Mobility of University Students», che poi nel tempo è stato facile associare alla figura del filosofo olandese che tra Quattrocento e Cinquecento percorse il Vecchio Continente per conoscere e comprendere le diverse culture che lo popolavano. È questa donna, che fino al 2004 ha insegnato Educazione degli adulti alla facoltà di Scienze della Formazione dell’università di Roma Tre, che ha reso possibile per 4 milioni di studenti, di quattromila atenei, un’esperienza all’estero durante gli anni di studio. Insieme al riconoscimento solenne, Sofia Corradi riceverà anche un premio in denaro di 90mila euro: la metà rimarranno a lei, il resto verrà distribuito tra 12 dottorandi, sotto forma di borse di dottorato da assegnarsi a seguito di concorso europeo.

Com’è nato il programma

Dopo aver compiuto studi e ricerche negli Stati Uniti, all’Aja, alla London School of Economics, all’Unesco, Sofia Corradi si è scontrata contro l’ottusità di una burocrazia che le negava il riconoscimento degli studi (prestigiosissimi) svolti all’estero. Un rifiuto che ha innescato una battaglia durata vent’anni, per convincere i rettori delle università europee ad inserire programmi di scambio universitario nei loro piani di studi. «L’architettura di base mi era chiara fin dall’inizio – dice Corradi -: con il consenso della facoltà di provenienza e in base ad accordi tra le due università coinvolte, lo studente poteva andare a studiare all’estero. Al suo ritorno in Italia, le università si impegnavano a riconoscere gli studi fatti all’estero».

L’inizio

«Un modo per dare a chiunque lo desiderasse la possibilità di fare quello che solo una famiglia ricca poteva permettersi», dice Corradi. «Un programma rivoluzionario, che quando lo illustravo suscitava due tipi di reazioni: da una parte a chi mi diceva che era un’idea balzana, di lasciar perdere, che le nostre università erano sufficientemente buone e non c’era bisogno che i nostri giovani andassero all’estero per correre dietro alle ragazze di altri Paesi. Dall’altra chi, dopo avermi ascoltato solo per venti secondi, subito capiva, si entusiasmava». Un’idea che solo nel 1987 arrivò a realizzarsi. Dopo un’interminabile sequela di riunioni, discussioni, incontri, barriere burocratiche. L’approvazione definitiva, con la ratifica del Consiglio dei ministri nel giugno 1987. In quello stesso anno, 3000 studenti hanno potuto migliorare la loro formazione in un’altra università europea.


(Corriere della sera, 7/5/2016

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