27 Marzo 2015

Lettera di Alessandra De Perini

di Alessandra De Perini



Care amiche della Comunità di Storia vivente,

ho letto con molto interesse e curiosità le vostre risposte alle critiche e obiezioni che avete ricevuto nel corso dei numerosi incontri e dibattiti pubblici a cui siete state invitate dopo la pubblicazione del numero 3/2012 della rivista DWF.

Il testo è scritto bene e riesce in poche pagine a toccare moltissime questioni, facendo ulteriore chiarezza sulla vostra pratica, anche se penso che, proprio su questo punto della pratica, continuerete a ricevere domande di chiarimento, perplessità, critiche, resistenze e obiezioni. La pratica, infatti, per essere capita, domanda di essere messa in atto in prima persona in un contesto di relazioni di fiducia. È il passaggio più difficile: non si tratta di capire razionalmente, ma di mettersi in gioco, di sentirsi attraversate/attraversati dal tempo che passa e deposita nel fondo esperienze che domandano di essere nominate, “riscattate” dal silenzio. Si tratta di amare la storia così tanto da rinunciarvi, da volerla liberare dalle spartizioni temporali tradizionali, svincolare dal criterio di oggettività, dallo schema interpretativo dei rapporti di potere, per scegliere e collocare al centro il piano della soggettività relazionale libera, dell’interiorità, dell’esperienza femminile/maschile nei diversi contesti.

Il vostro è un testo molto importante, una sintesi veramente felice che rende conto del punto in cui siete oggi, dopo anni di incontri, ricerche, discussioni, e che può costituire per altre e altri un’occasione di presa di coscienza e messa in discussione del proprio rapporto con la storia, suscitando in colei o colui che scrive storia il desiderio di portare in superficie il “sommerso”, gli aspetti nascosti della propria esperienza, di illuminare eventi che contengono qualcosa di prezioso che “brilla per la sua simbolicità e il suo senso”.

Certo la storia vivente non è per tutti/tutte, la sua pratica non è facilmente trasferibile, perché non tutti/tutte sono disponibili ad assumere se stesse/se stessi come “documento vivente”, a scardinare le ripartizioni dei saperi e dei generi, a porre la trasformazione di sé all’origine del fare storia.

Nel testo dite che volete offrire nuove chiavi di lettura per l’esperienza umana femminile e per la relazione tra i sessi, allargare l’orizzonte della disciplina, orientare l’insegnamento nella scelta e interpretazione degli argomenti che passate al “setaccio” delle vostre esperienze e scoperte. Chiarite la differenza tra “rammentare” e “ricordare”, tra fare storia dei sentimenti ed essere in ascolto di quel “sentire profondo” che non appare nella narrazione storica e che per voi costituisce, invece, il punto di partenza della ricerca storica. Dite che il vostro lavoro è doloroso, un “lavorio lento e difficile”, uno scavo solitario, sostenuto dall’ascolto attento dell’altra. Affermate poi che si sta diffondendo un eccesso di storia personale che rischia di far perdere la “significatività della storia singolare inserita nella grande storia”.

Siete convinte che le vostre scoperte non solo cambiano la visione del passato, ma possono trasformare il modo di agire nel presente. Questo è il punto più politico del vostro testo che va ulteriormente indagato e approfondito.

Avete adottato uno stile che non tiene separati i generi (letteratura, storia, biografia, critica letteraria) e ne spiegate le ragioni. Anche questo punto è molto importante e va ulteriormente approfondito.

Il vostro – dite – è “un nuovo inizio” della storia, non una riproposizione della storia delle donne. Una grandissima pretesa questa, un passaggio fondamentale che corrisponde al passaggio di una politica tra donne a una politica di relazioni di differenza con donne e uomini. Ve lo dice una che per anni ha proposto corsi di storia delle donne rivolti soprattutto a ragazze e ragazzi delle superiori, ma anche a donne di ogni età, donne comuni, vicine di casa, con l’intenzione di favorire una presa di coscienza e di utilizzare quindi la storia delle donne come primo passo dell’azione politica.

A questo punto mi fermo e mi perdo perché sono ancora tantissimi gli spunti di riflessione che proponete nel vostro testo e che andrebbero discussi e meditati parola per parola. Il vostro testo è così ricco di affermazioni e di passaggi simbolici che ho dovuto leggerlo più volte per riuscire a discuterne con altre. E continuo a rileggerlo, torno a riprendere il filo del discorso, perché dimentico ogni volta qualcosa di importante di cui non mi ero accorta o a cui non avevo dato importanza.

Adesso alcune mie osservazioni critiche: forse ci sono troppe citazioni, segno di poca autorizzazione. Credetemi, non avete bisogno di citare continuamente Maria Zambrano, perché voi siete le inventrici e sperimentatrici di una pratica nuova, originale, radicale, che punta a far emergere il simbolico femminile. La vostra è una scrittura senza precedenti che “mostra il simbolico femminile nella storia”. L’autorità di riferimento per la storia vivente per me, più che Maria Zambrano, grandissima pensatrice, è Marirì Martinengo che nel 2005, dopo anni di lavorio e di ricerca, ha scritto La voce del silenzio sulla nonna paterna Maria Massone. Da lì poi il riconoscimento di Maria Milagros Rivera con cui siete in relazione politica e la decisione comune di costituire la Comunità di storia vivente.

Credo che sarebbe anche molto importante far capire di più e meglio come avviene il passaggio dal piano della soggettività che si radica nella storia personale di ognuna/ognuno al piano universale della storia di tutte e tutti.

Ritengo poi che i testi di storia vivente siano veramente ancora troppo pochi e questo vi costringe a fare riferimento sempre agli stessi tre o quattro esempi, con effetto di staticità e ripetitività.

C’è infine un livello internazionale della riflessione storica con cui, secondo me, è necessario mettersi alla prova e interloquire, se si vuole dare seguito alle grandi pretese che avete annunciato, per far capire dov’è il “di più”, qual è la differenza, la forza e l’originalità della storia vivente. Se si vuole trasformare la storia bisogna accettare di mettersi in gioco nel dibattito storiografico attuale e cercare di individuare le posizioni che più si avvicinano al vostro-nostro modo di intendere la storia.

Vi abbraccio tutte

Alessandra De Perini



(www.libreriadelledonne.it, 27 marzo 2015)

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