18 Maggio 2013

Presentazione e discussione del numero 3 (2012) di DWF


Incontro del 18 maggio 2013 – Libreria delle donne-Circolo della rosa- Milano-

Questa sera festeggiamo l’uscita della rivista DWF dedicata alla Storia vivente. Attorno a questo tavolo, Marirì Martinengo, Laura Minguzzi, Luciana Tavernini ed io -Marina Santini- racconteremo il nostro percorso e apriremo alla discussione sui nodi della Storia vivente.


DWF: che cos’è?

Innanzitutto per rispondere a distanza al giornalista che ci ha detto di non sapere cosa fosse DWF due parole sulla rivista che affonda le sue radici nel 1975; da allora ha seguito il dibattito del movimento delle donne, vuole essere ed è stata un riferimento essenziale per chiunque si occupi del pensiero politico e della cultura delle donne in Italia e nel mondo: è insomma una rivista di ricerca, approfondimento, memoria e storia di ciò che le donne producono.


Questo numero è dedicato a “La pratica della storia vivente”.

Con questa pubblicazione si concretizza il desiderio di far conoscere, anche in Italia, il lavoro che come Comunità abbiamo iniziato nel 2006. Dico anche in Italia, perché alcuni testi erano usciti, sollecitati dalla storica Milagros Rivera, sulla rivista spagnola DUODA (Università di Barcellona). Marirì e Laura qualche tempo fa, si mettono in contatto con Federica Giardini, allora nella redazione di DWF, le propongono la traduzione di questi testi e di dedicare un numero alla storia vivente. La richiesta è subito accolta, i testi sono accettati dalla redazione.  Le difficoltà ci sono state invece nelle relazioni che avremmo preferito fossero più strette, soprattutto con la nuova redazione composta di giovani ricercatrici precarie. Noi avremmo sperato in maggiori scambi.


Chi siamo

Lavoriamo sulla storia dal 1988 come Comunità di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica: abbiamo fatto insieme un lavoro politico di storia, fondato su relazioni di affidamento e di disparità, abbiamo sempre seguito la pratica di pensare, progettare, scrivere in relazione. Sono gli anni in cui, sulla spinta del desiderio di Marirì Martinengo, abbiamo studiato le badesse nei monasteri medievali, individuando la libertà femminile e il contesto relazionale come categorie della storia; abbiamo scoperto che attraverso lo studio del contesto, creato da una figura femminile che gode di autorità e centrato sulle relazioni tra donne e tra donne e uomini, potevamo comprendere e rinnovare la storia.

Nel 2005 Marirì scrive La voce del silenzio in cui afferma che “C’è una storia vivente annidata in ciascuna/o di noi”.

E da qui (fine 2006) si è verificata una svolta nel nostro lavoro di gruppo: Marirì propone la pratica della storia vivente, cioè l’indagine interiore come motore di un modo di scrivere la storia da parte di donne. Avvertiamo che con questo cambiamento di prospettiva anche il nome della nostra Comunità deve modificarsi. Nasciamo come Comunità di pratica della storia vivente.

Marirì ha quindi avuto l’idea e ha dato origine a questa pratica, Milagros Rivera la storica spagnola ne ha riconosciuto l’originalità e ne ha sottolineato pubblicamente la novità in un convegno a Roma e così l’ha rilanciata come invenzione politica per fare ricerca storica.

Come spesso accade, ci ha fatto capire Clara Jourdan in un articolo di VD, è l’altra che ti fa vedere il salto che hai fatto, che coglie la novità del tuo pensiero. Ed è stata sempre Milagros Rivera colei che ci ha fatto fare il passo verso la scrittura.

Fino alla pubblicazione su Duoda avevamo solo raccolto articoli e saggi, scritti da altre in cui noi sentivamo essere presente un’affinità e contenere alcuni elementi riconducibili alla pratica della storia vivente (la storia delle viscere di Maria Zambrano ad es.) e li inserivamo nel sito Donne e conoscenza storica di Donatella Massara.

Ora il materiale via via sempre più ricco, lo abbiamo messo a disposizione in una stanza dedicata alla Pratica della storia vivente nel sito della libreria delle donne.

Dal settembre 2011 la Comunità si è aperta all’incontro con altre, Graziella Bernabò, Gemma De Magistris, Laura Modini, Giovanna Palmeto, che avevano più volte espresso il desiderio di sperimentare questa pratica.


Contenuti della rivista.


Nodi irrisolti

Nel corso di questi anni, come emerge dai testi qui pubblicati, abbiamo indagato alcune possibili cause della difficoltà di parola pubblica femminile; ci siamo interrogate, partendo da forme di resistenza femminile -anche estreme-, a ciò che è considerato ‘sviluppo’, in relazione alla trasformazione dell’Italia da paese agricolo a industriale; abbiamo messo in luce modelli di autorità femminile come quello delle ‘salvatrici delle situazioni impossibili’; abbiamo analizzato la differenza tra munificenza e ricchezza e l’ambiguità della preferenza.

Il testo di Marirì Martinengo La voce del silenzio. Mi ha chiamata da sempre è parte del libro, del 2005, intitolato La voce del silenzio. Memoria e storia di Maria Massone, donna “sottratta”. Qui è riportata la frase che ha dato inizio alla nostra pratica “C’è una storia vivente annidata in ciascuna e ciascuno di noi, costituita di memorie, di affetti, di segni nell’inconscio; Io racconto una storia vivente che non respinge l’immaginazione, un’immaginazione che affonda le sue radici nell’esperienza personale, storia più vera perché non cancella le ragioni dell’amore, non respinge le relazioni, dal suo progetto cognitivo”. La sua storia vivente era la memoria di sua nonna, Maria Massone, rinchiusa in una casa di cura poco dopo aver partorito il suo quinto figlio fino alla sua morte, molti anni dopo. Questo si può chiamare “liberazione dell’oggettività”. Non solo senza rinunciare alla verità ma mostrandola o, meglio, osando “abbracciare il vero”.

La storia respinta, storia come vita significante, nel suo testo Laura Minguzzi lavora il nodo, forse il più difficile della vita di una donna, che è la morte violenta della madre, quando la figlia è una ragazza giovane. E riesce a mettere in luce, attraverso l’osservazione dei sintomi di questo nodo, la storia del processo si trasformazione da rurale a industriale di una zona del Nord d’Italia, nella seconda metà del XX secolo. Dopo la lettura di quanto scrive Laura sarà difficile leggere il processo di industrializzazione come l’abbiamo sempre fatto.

Il volto ambiguo della preferenza. Marina Santini, partendo da un’esperienza infantile, indaga il rapporto problematico tra giudizio, uguaglianza, e preferenza femminile, vista nella valenza ambigua di valorizzazione ed esclusione, inserito nel passaggio dalla scuola elitaria alla scuola di massa degli anni Sessanta.

Luciana Tavernini inserisce già nel titolo stesso il nodo: I grumi oscuri del disordine simbolico. S’interroga sull’origine della difficoltà della parola pubblica, prendere la parola per dire ciò che è, e la rintraccia in esperienze legate alla sessualità. Parla partendo da sé, delle conseguenze che può avere la difficoltà di una madre nel trovare le parole per raccontare a sua figlia il concepimento e la nascita.

  • Ultimo in questa sezione è l’articolo di Milagros Rivera La storia vivente, una storia più vera in cui l’autrice parla proprio di Storia vivente v. p. cinquantatré.

La pratica della storia vivente ha un effetto di veridicità sulla scrittura della storia. L’effetto di veridicità consiste nel legare la scrittrice (senza escludere lo scrittore) e la scrittura, legare corpo e parola intimamente, trasparentemente, luminosamente: senza separazioni tra soggetto e oggetto, senza sintesi, senza idealizzazione, senza menzogne, senza strumentalizzazioni della storia, senza nascondere ambizioni di potere; con negativi, con paradossi, con impotenza, con autocritica, con epifania di realtà, con amore, con povertà scelta.

  • Segue poi una sezione in cui abbiamo raccolto due saggi.

L’intervento di Graziella Bernabò su Scrivere biografie di donne (GB è autrice di due bellissimi libri su Antonia Pozzi ed Elsa Morante) e di Marirì Martinengo Una storia personale. Omaggio alla memoria, madre del percorso storiografico in cui si puntualizza la differenza tra storia personale, biografia e autobiografia. (storia personale, cioè la narrazione, a partire da sé, di un breve periodo di vita). La storia personale è legittima al pari della storia oggettiva, per cui, entrando a pieno diritto in ambito storiografico, rompe la barriera fra privato e pubblico, con l’affermazione sottesa, che anche la testimonianza personale fa parte della nostra storia.

 

PRATICA DELLA STORIA VIVENTE

L’originalità della nostra pratica è che ognuna pesca dentro di sé. Un partire da sé ma non pensare solo a sé. Adottiamo un tempo dilatato, fluido in modo tale che ciascuna abbia agio di scendere nella propria interiorità, di risalirne e di riannodare l’antico al presente mettendo tutto in parola, con un via vai che prefigura quello che pensiamo possa essere il tempo della storia. Ci diamo il tempo largo del racconto e dell’ascolto. Il racconto è inizialmente della singola, esso però diventa a più voci, nel momento in cui l’una o l’altra, sentendolo risuonare dentro di sé, in analogia o per contrasto, lo collega al proprio vissuto del passato e/o del presente. Qui sono importanti la presa di parola di ognuna, l’oralità e l’ascolto reciproco. Anche se non si tratta di autocoscienza perché questa ripresa nel ricordo fa vedere davvero ciò che è accaduto. Le altre fanno da specchio e da limite. I temi emersi nella riunione precedente sono ripresi e filtrati, di nuovo interpretati collettivamente. Un avanti e indietro che riflette anche il nostro differente concetto di tempo. Questo procedere infonde forza e dà a tutte un guadagno simbolico, riconoscibile in altre situazioni, dove ognuna di noi lavora, vive o è impegnata politicamente. La pratica della storia vivente è una figura dello scambio, come dice Laura Ming., che dà forza nell’arena pubblica (una sorta di Agorà della storia), per avere voce ascoltata e ripresa nella nostra battaglia simbolica per iscrivere la differenza sessuale nella storicità. Per non stare incollate al contesto, al fare, ma pensare, produrre parole, risignificare i fatti che accadono e che sono accaduti. Questi racconti spogliati del superfluo, raffinati e portati a un livello tale da renderli validi per tutte e tutti li chiamiamo storia e costituiscono un frammento di simbolico per scrivere la storia.

Con l’invenzione di questo luogo spazio-temporale della pratica della storia vivente ci siamo incontrate periodicamente per arrivare alla scrittura femminile della storia.

Non consideriamo la pratica della storia vivente, l’unico modo di fare storia, tanto è vero che ciascuna di noi scrive altre forme di storia ad esempio Marirì con La signora del Monte (Martinengo 2011) ha scritto storia personale; Luciana e Marina si stanno occupando di storia contemporanea del movimento delle donne, basandosi su documenti e raccogliendo testimonianze.

Insomma la storia vivente – diciamo nell’introduzione – nasce dalle profondità dell’essere di colei (o colui) che scrive, è frutto dello scavo intorno e dentro il grumo oscuro che portiamo al nostro interno, di solito ignoto o ininterrogato. Si tratta quindi di un partire da sé radicale che evidenzia, fra le altre cose, l’origine della passione del nostro fare storia.

Un’operazione coraggiosa: attraversare la sofferenza, la perdita dolorosa riguarda anche la storia di un paese. Sia per gli individui, che per il paese attraversare un dolore è la possibilità di aprire una via e realizzare desideri che erano rimasti bloccati.

Attraversare il dolore libera energie dentro di noi e permette come dice Milagros Rivera di redimere il passato. Il dolore che raccontiamo, il nodo irrisolto che cerchiamo di mettere in luce ha radici sociali nella nostra epoca. La storia vivente intacca le strutture simboliche della scrittura della storia.

Sembra che quello che nasce dentro non sia storia, Milagros invece ha riconosciuto valore un modo nuovo di fare storia, trova parole e un simbolico nuovo per scrivere la storia delle donne. Rifonda la storia, rinnova partendo da quello che lei stessa ha dentro. A lei ha permesso di riattraversare, rileggere la dolorosa guerra civile spagnola, redimere vincitori e vinti. Far sì che chi fa storia entri nella scrittura è un modo nuovo di fare storia.

Altra cosa è dedicarsi alla stesura della biografia di un’altra donna.

Altra cosa ancora sono l’autobiografia racconto della propria vita o di gran parte di essa e la storia personale che ne mette in scena alcuni sprazzi, dove le emozioni, l’esperienza propria, i ricordi giocano un ruolo di primo piano e l’assunzione in proprio diventa materia stessa del narrare.

www.libreriadelledonne.it/category/approfondimenti/storia_vivente/

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