1 Giugno 2007

Un giro di valzer

Intervento al Convegno di Identità e Differenza

Sara Gandini

Nell’invito di “Identità e differenza” c’è scritto: “Il luogo privilegiato per acquisire, riconoscere e significare la nuova autorità che fa ordine nel mondo resta la relazione di differenza, dove si sperimenta la capacità di essere se stessi mediando il conflitto con la diversità dell’altra.”

 

Ma come si sperimenta la capacità di essere sé stessi in questo tipo di relazione? Come si significa la nuova autorita’?

 

Ho comiciato ad immaginare questa fantomatica relazione di differenza e nella mia mente si sono materializzate bellissime fantasie di relazioni tra donne e uomini in cui in modo eroico ci si giocava se stessi, con grande sincerità e coraggio. Mi dicevo che bisognava puntare alto e che solo questa tensione verso l’alto avrebbe potuto modificare la politica e il mondo in cui vivo.

 

Ma queste belle fantasie si sono scontrate con l’esperienza concreta. In realtà’ io non ho grandi esempi di pratica di relazione fra donne e uomini in cui si riesca davvero a giocare la propria verità, la propria differenza, senza appiattirsi sulle posizioni altrui, in cui ci siano conflitti fecondi…
I confronti immediati che mi venivano con le relazioni complesse, ma vive con le donne, questi scambi intensi e gli spostamenti di prospettiva che avevo vissuto con il femminsimo della differenza, mi portavano ad una posizione depressiva. E’ possibile una relazione altrettanto densa di senso con gli uomini?

 

Io conosco il desiderio di sporgersi sull’altro, un’attrazione legata al piacere nello scambio con gli uomini. Però si tratta più che altro di istanti, di intuizioni. Non ho esperienza di una pratica di relazione.

 

D’altra parte gli uomini come si dice anche nell’ultimo Via dogana sono in larga parte in una crisi paralizzante.
Mi è capitato di rileggere la leggenda di Orfeo ed Euridice. Orfeo è un poeta, maestro nell’usare le parole, tanto che commuoveva coi suoi canti persino alberi e animali. Orfeo aveva perduto la sua amante, Euridice, e gli dèi, turbati dal suo dolore, gli avevano concesso di discendere nel regno dei morti per ricondurla sulla terra.
La condizione era che l’accompagnasse senza mai guardarla e che attendesse di essere fra i viventi per rivedere il suo volto.
Ma Orfeo si girò e fu privato della sua amata e finì divorato dalle Baccanti.
E così io mi chiedo: perché un poeta, non riesce a trovare le parole per entrare in contatto con la sua amata senza voltarsi, ma ha sentito invece il bisogno di vederla?
Non può rinunciare a vederla, quasi non si fidasse del piano simbolico, della parola, per entrare in contatto con lei, tanto da aggrapparsi al piano immaginario come unico possibile.
O forse era esitante a riprendere con sé una donna sulla quale per un periodo non aveva avuto il controllo, una donna che aveva perso di vista? Forse non poteva credere che qualcosa di più di un corpo di donna potesse seguirlo.
Rainer Maria Rilke nella poesia di Orfeo Euridice Ermes dice:
Ella era in una verginità nuova
ed intangibile. Il suo sesso chiuso
come un giovane fiore sulla sera,
[…]
E non era più lei la bionda donna
che echeggiava talvolta nei canti del poeta,
isola profumata in mezzo all’ampio letto;
né più gli apparteneva.
[…]
E quando il dio bruscamente
fermatala, con voce di dolore
esclamò: Si è voltato -,
lei non capì e in un soffio chiese: Chi?
La nuova verginità di Euridice, che si riscopre non più appartenente ad Orfeo, mi pare una bella metafora della forza simbolica che le donne hanno acquisito e della morte del patriarcato. Forse lui, di fronte a questa indipendenza simbolica, si spaventa e rinuncia.
Ma come stiamo noi di fronte a questa crisi?

 

Parlando con un’amica che spesso sa spostare il mio sguardo, mi sono resa conto che lo sporgersi verso l’altro paradossalmente può consistere nel fare un passo indietro, che i confronti con la relazione ricca a viva con le donne fanno un tutto pieno che non lascia spazio per i tempi altrui, per far accadere qualcosa di nuovo. Avevo, o forse dovrei dire ho, nei cofronti degli uomini pretese che non fanno i conti con la differenza. Però io sono in difficoltà. Mi mancano le loro parole.

 

Ho trovato riflessioni illuminanti sulle relazioni fra i sessi in un romanzo di Camille Laurens di cui si è parlato sul VD ‘Parla con lui’.

 

Ecco uno stralcio. La personaggia principale parla con il suo analista di tutti gli uomini della sua vita:

 

“Ciò che voglio dire è che la nozione stessa di coppia è incurabile. In “coniugale” c’è “giogo”. E mettere insieme, sotto il giogo, come buoi all’aratro, un uomo e una donna, è come tentare di accoppiare un topo e una tigre, anzi, no, niente differenze di misura, un topo e una lucertola – le lascio indovinare chi dei due sia la lucertola.
Insomma, non c’è relazione, non vedo la relazione. Faccia finta allora di essere il primo a saperlo: nessuna relazione.
Tutt’al più c’è la speranza di stabilire degli avvicinamenti. Avvicinarmi all’uomo, ecco l’obiettivo. Ma non al punto di sperare di afferrarlo o di raggiungerlo. Al massimo un ballo. Un giro di valzer, lasciando un po’ di luce tra i corpi. Un topo e una lucertola nello stesso raggio di sole, per un istante.”

 

Ecco, questo forse è possibile: un giro di valzer.
Forse bisogna fare i conti con questo: l’incontro dei corpi che si affidano l’un l’altro per un istante.
Una dimensione che appartiene più all’immaginario che al simbolico.
Forse in questo momento il linguaggio, le parole, il simbolico non aiutano. Forse lo scambio tra uomini e donne è possibile così. Due corpi che si incontrano e si affidano l’un l’altro. Tenere nella mente il piacere di questo incontro e dargli delle possibilità.

 

Al momento a me rimane questo, il ricordo di un valzer e la capacità di dare valore a questi istanti.

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