24 Marzo 2007

Via Dogana parla con lui

Roma

Contributo di Clara Jourdan al progetto “La vita segreta delle parole” (20 febbraio-25 maggio 2007) promosso da Biblioteche di Roma (a cura di Pia Mazziotti), per l’incontro: Parla con lui. La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini
con Stefano Ciccone, Clara Jourdan, Claudio Vedovati
Università Roma Tre – Facoltà Lettere e Filosofia. Nell’ambito dell’iniziativa: l’Università della notte

 

Lo straordinario film di Isabel Coixet che è stato scelto come filo conduttore per questo ciclo di incontri, La vita segreta delle parole, mi ha fatto riflettere su Via Dogana come rivista, oltre che sul tema del numero 79, “Parla con lui”. Rispetto al parlare con lui, non voglio entrare nei dettagli del film, dato che verrà proiettato al termine della serata, richiamo solo l’attenzione di chi lo vedrà sulla relazione tra una donna e un uomo che il film presenta. Qui desidero dire la chiave di lettura che il film mi ha offerto per la rivista, collegandomi al titolo, La vita segreta delle parole, a quello che suggerisce e che viene richiamato all’inizio: “Ci sono ben poche cose: il silenzio e le parole”, dice la voce di bambina che apre il film. È proprio sui passaggi tra silenzio e parole che lavora Via Dogana, la rivista della Libreria delle donne di Milano, che ha ripreso le pubblicazioni nel 1991 precisamente per “offrire uno specchio adeguato della realtà che cambia per l’amore femminile della libertà”.
Il cambiare della realtà, infatti, avviene molto nel silenzio – “rivoluzione silenziosa” è stata chiamata quelle delle donne del Novecento – ma ha bisogno di parole per non essere frainteso o cancellato, e perdersi. Per fare un esempio che non è solo un esempio: ciò che è accaduto negli ultimi quarant’anni, che ha rivoluzionato i rapporti tra i sessi, viene spesso inteso dai mass media e dal senso comune come raggiungimento della parità delle donne con gli uomini, mentre nell’esperienza mia e di moltissime donne è stato ed è ricerca e pratica di possibilità di esistenza libera, attraverso la presa di coscienza e le relazioni tra donne. Nominare la realtà in un modo o in un altro non è senza conseguenze, anzi, lo sperimentiamo ogni giorno con l’effetto che ci provoca ciò che ascoltiamo e ciò che pensiamo: ne va del senso del nostro stare al mondo, ne va del nostro modo di agire e di metterci in relazione. Perciò le parole sono tanto importanti.
Per sapere cosa è capitato di grande e di vivo, le parole vengono più dal silenzio che dal già detto. È questo il legame delle parole con il silenzio. Il silenzio non è solo non parola, “silenzio” è una parola che rimanda alla vita segreta delle altre parole, e ci ricorda che le parole hanno una vita che che segue suoi percorsi, a volte necessariamente lontani dalle nostre orecchie prima di arrivare a farsi sentire. Lo si vede con grande emozione nel film di Isabel Coixet, dove il silenzio è molto importante, è una presenza, e la presenza del silenzio è necessaria anche quando si trovano le parole. Questa è per me una chiave importante per Via Dogana: una rivista che parla facendo attenzione a che la parola non perda il suo legame con il silenzio.
Nel fare una rivista, il silenzio è forse la cosa più difficile da accettare della vita segreta della parola. Più del balbettio, più degli errori. Perciò quando viene meno si sente un sollievo, una gioia, una voglia di saltare… “Salti di gioia” hanno accompagnato infatti su Via Dogana, nel 1995, l’annuncio della fine del patriarcato. E qualcosa del genere ho provato, abbiamo provato nel 2006, leggendo l’appello firmato da alcuni uomini italiani La violenza contro le donne ci riguarda: finalmente! Finalmente una risposta maschile pubblica che permette di rilanciare la proposta di relazione tra donne e uomini che Via Dogana intenta da tempo. Così è nato il numero “Parla con lui” (Via Dogana n. 79, dicembre 2006), dedicato all’ascolto di uomini che dicono di sé e degli altri uomini: un dire che parte dalle loro relazioni con donne, con le donne, con la differenza femminile, diverso dunque dal tradizionale e assordante parlare maschile-universale dei millenni di storia umana conosciuta e tramandata. Si può pensare allora che ci sia stato bisogno di silenzio maschile durante i decenni di movimento delle donne, perché gli uomini potessero dire qualcosa di nuovo.
Questo silenzio non è stato totale, è importante precisarlo, anche perché due autori (primi firmatari) dell’appello qui presenti sono uomini che da anni riflettono e parlano sulla propria differenza, sulle relazioni tra uomini e tra uomini e donne. Io avevo letto nel 1993 (in un numero della rivista Democrazia e diritto intitolato Diritto sessuato?) uno scritto di Renato Sebastiani e Claudio Vedovati, alla cui elaborazione aveva collaborato Stefano Ciccone, che rendeva conto del percorso del loro gruppo di uomini (Maschile plurale), un percorso cominciato nel 1985 proprio a partire dall’assumersi come uomini il problema della violenza sessuale e che aveva portato a una presa di posizione pubblica nel 1988 con una “Lettera aperta”, ristampata poi anche su Noi Donne. Ricordo questo per chiarire in che senso io e altre di Via Dogana abbiamo accolto come una novità importante l’appello del 2006. Non come se fosse il primo gesto pubblico, ma perché vi abbiamo avvertito un passaggio importante, un cambio simbolico, dato sia dalla presa di posizione pubblica di una cerchia più allargata di uomini, sia dall’eco che questo ha avuto sulla stampa e gli altri mass media. Un po’ come era successo in Spagna l’anno prima, con l’appello firmato da un migliaio di intellettuali e pubblicato dal più importante quotidiano, “El País”. Un segno di cambiamento culturale.
Un cambiamento a cui ha lavorato Via Dogana, sia cercando di “offrire uno specchio adeguato della realtà che cambia per l’amore femminile della libertà” (come ho ricordato prima), sia proponendo e praticando tale cambiamento. Per quanto riguarda i rapporti tra i sessi, Via Dogana ha nominato e esplorato le possibilità di “relazioni di differenza” tra donne e uomini. Questo numero, Parla con lui, è dunque il risultato attuale di un percorso della rivista che sin dall’inizio ha “fatto parlare” uomini – ricordo in particolare Alberto Leiss e Dino Leon, tra i primi – e ha dedicato alcuni numeri a uno scambio, anche polemico, con uomini: Adamo ed Eva la strana coppia (n. 7, 1992), La questione maschile (n. 21/22, 1995), E gli uomini? (n. 56/57, 2001), Fanno le guerre e non sanno confliggere (n. 58/59, 2001), Sessi e generazioni (n. 75, 2005).
In che cosa Parla con lui segna una discontinuità con i numeri precedenti? Intanto, nel fatto che qui parlano più uomini che donne, e poi che abbiamo accettato e anzi richiesto di ascoltare anche l’esperienza maschile di risentimento o di critica verso le donne.
La necessità di scambio e di relazione con uomini può avere motivi e ragioni diverse in ciascuna donna, e può anche non essere sentita. Per quel che mi riguarda, è una necessità che si pone oggi perché l’enorme cambiamento avvenuto con la libertà femminile non trova riscontro in un credito alla politica delle donne, alla sua efficacia. La politica purtroppo sembra essere sempre quella della tradizione maschile, ma diventata ormai ripetitiva e screditata avendo perso la sua forza trasformatrice (e qui a Roma, che ne è il centro italiano, lo sapete meglio di me). Allora, in un numero precedente di Via Dogana (n. 77, giugno 2006) intitolato Sfera pubblica, veniva avanzata l’idea che forse occorre che gli uomini si avvicinino alla politica delle donne, che “non si tratta di includere singole donne ma la politica delle donne” (Marina Terragni, p. 5). “La tensione tra la politica rappresentativa, che è piccola anche se sovrarappresentata dai media, e tutta l’enormità sottorappresentata del resto del mondo, un mondo di donne ma anche di uomini che in quella politica non si ritrovano più, si è fatta quasi insostenibile. Il momento di rottura può essere un fatto occasionale, un qualunque imprevisto che faccia accadere il nuovo. Luisa – scrive Marina Terragni – dice che questo nuovo potrebbe venire dall’incontro tra soggettività maschili e femminili, da una sospensione del conflitto tra i sessi come quella che storicamente si è verificata al principio di alcune grandi rivoluzioni: tregua ben rappresentata dal dialogo tra Gesù e la Samaritana agli inizi del Cristianesimo” (ivi). Che ci sia uno scarto tra presenza femminile sempre maggiore anche ai vertici della politica (in particolare a Milano) e poco corso di autorità femminile, è tema dell’ultimo numero di Via Dogana, uscito all’inizio del mese e intitolato Questo femminismo non ci basta (n. 80, marzo 2007): “Noi stesse siamo in difficoltà, una parte della difficoltà viene dalle femministe – scrivono Lia Cigarini e Luisa Muraro -. Siamo (state) testimoni e, in una certa misura, protagoniste di un cambiamento nei rapporti fra i sessi che sta schiodando l’intera umanità femminile dall’aver sopportato e interiorizzato per secoli e millenni, ruoli subordinati e stereotipi limitanti. È una cosa enorme che ha già cominciato a cambiare la faccia del mondo. Sembra che la cosa ci faccia paura e la tentazione sarebbe di seguire il senso comune che tende a ridurla nei termini di una raggiunta parità. Sappiamo che non è così, ma protestare non serve né serve mostrare come sono andate esattamente le cose, l’abbiamo riscontrato, c’è solo da assumere la grandezza di quello che è avvenuto” (p. 4).
Assumere la grandezza di quello che è avvenuto, per me significa (anche) parlare con lui, sentire la necessità e cogliere l’opportunità di scambio con uomini. In questo numero di Via Dogana ci sono vari aspetti di questo dialogo; qui vorrei segnalare tre cose che emergono dai contributi apparsi sulla rivista:
1) La differenza sessuale come differenza riguardante la sessualità. Sembrerebbe ovvio ma raramente viene esplicitato, perché è un argomento delicato ed è difficile parlarne con la misura giusta. In questo numero, Stefano Sarfati Nahmad riesce a parlarne in una maniera ascoltabile da una donna, e questo mi pare molto importante.
2) In Parla con lui ci sono diverse interviste a uomini da parte di donne, donne legate all’intervistato da varie forme di relazione, dalla relazione terapeutica alla relazione coniugale. Ho notato che in queste conversazioni c’è una fiducia nella relazione che permette di andare un po’ più in là, di dire un po’ di più di quanto gli uomini intervistati hanno potuto dire finora su di sé e sui loro rapporti con le donne. In particolare, nelle interviste di Pasqua Teora c’è un lavoro per esprimere quello che Marina Terragni chiama “doloroso segreto”, cioè “quello che gli uomini pensano veramente” (e che secondo Marina ha a che vedere con il bisogno che si ha delle donne, p. 13, che mi fa venire in mente un articolo di Alberto Leiss sul n. 21-22, 1995 che diceva proprio questo). Inoltre, un marito intervistato dalla moglie arriva ad avanzare un interessante pensiero sulla differenza femminile, quando dice: “rispetto al lavoro, le donne sono più interessate al dominio, cioè a riuscire a far fare all’altro quello che vogliono, mentre gli uomini sono più interessati al potere, cioè a voler arrivare a occupare una determinata posizione” (p. 9). Quindi questo numero di Via Dogana mi fa davvero sperimentare che si è aperto uno spazio di scambio tra i sessi, da cui può nascere pensiero nuovo.
3) Infine – e veniamo al tema che ci accomuna con il documento La violenza contro le donne ci riguarda – la questione maschile più sentita, quella della violenza, specialmente contro le donne, è il tema più trattato negli articoli di uomini. C’è il resoconto di Marco Deriu sull’incontro del 14 ottobre scorso promosso dai firmatari del documento (“Dopo il 14 ottobre per un cambio di civiltà”, p. 19). C’è anche un articolo (di Claudio Muraro), che racconta frammenti di vita politica di un uomo degli anni Settanta, quando “la violenza non era nulla di strano” (p. 16). E l’articolo di Gian Piero Bernard tenta un’analisi della “contiguità tra desiderio maschile e violenza” nei ragazzi che incontra a scuola come insegnante. E c’è un testo di François Fleury, etnoterapeuta svizzero che lavora con uomini provenienti da guerre, come quelle dei Balcani di cui sono stati “vittime-soldati” (p. 15), dove viene fuori anche la difficoltà, il peso, il dolore di ascoltare, di aprire il suo cuore a questa “mala vita”.
Io penso che sul tema della violenza il passo avanti sia stato di riconoscere, sia da parte di donne (Via Dogana), sia da parte di uomini (Appello), la competenza maschile sulla questione (v. p. 5). Con questo non voglio dire che tutti gli uomini accettano e si assumono questa competenza simbolica (ad esempio il marito di M. B. no, e lo dice chiaramente. Alla domanda: “Di fronte alla violenza maschile nei confronti delle donne, cosa pensi?”, risponde: “È una categoria che mi è del tutto estranea, non riesco proprio a raffigurarmela”, p. 8). Nemmeno ritengo che non sia più necessaria una parola di donne sulla questione. Al contrario, c’è molto bisogno di competenza femminile sulla violenza, sia come esercizio di autorità femminile – penso alle donne impegnate nelle case per le donne maltrattate che riescono a coinvolgere magistrati e forze dell’ordine -, sia come riflessione sul tema – penso ad esempio al libro di María Milagros Rivera Garretas appena pubblicato in italiano, Donne in relazione (Liguori, 2007), che dà una lettura non scontata delle vittime di violenza domestica.
Quello che voglio dire è che si è finalmente creato lo spazio pubblico per l’assunzione anche da parte degli uomini, di ciascun uomo, della propria personale competenza del mondo, quella competenza che prima era delegata al patriarcato.

 

Contributo al progetto “La vita segreta delle parole” (20 febbraio-25 maggio 2007) promosso da Biblioteche di Roma (a cura di Pia Mazziotti), per l’incontro:
Parla con lui. La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini
con Stefano Ciccone, Clara Jourdan, Claudio Vedovati
Università Roma Tre – Facoltà Lettere e Filosofia. Nell’ambito dell’iniziativa: l’Università della notte
Roma, sabato 24 marzo 2007

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