8 Marzo 2007
la Repubblica

Vivere con i nonni in casa ecco la famiglia sandwich regno del mutuo soccorso

Concitra de Gregorio

NAPOLI – Daniela ha 40 anni, è l´ultima di quattro fratelli, lavora come infermiera in ospedale. Vive a Portici insieme ai genitori quasi ottantenni e ad una zia, sorella del padre, nello stesso appartamento dove è stata bambina. Quando si è sposata è rimasta a vivere coi suoi. Quando è nata sua figlia anche. In casa oggi sono in sei: i genitori, la zia, Daniela e suo marito, la figlia Marta che ha 9 anni. Accudisce l´anziana madre ammalata, si occupa della figlia, lavora. «Adesso sono io che devo assistere mia madre ma fino a pochi mesi fa era lei che mi aiutava con Marta. È un regime di mutuo soccorso. Certo che mi piacerebbe andare a vivere da sola con mio marito e con la bambina ma finora non è stato possibile: prima non avevo lavoro, poi i soldi non bastavano. Ora stiamo cercando una casa, ci piacerebbe restare vicino ai miei anche se qui a Portici è pericoloso, c´è il vulcano, mi mette l´ansia. Vedremo».
Non è vero che le famiglie numerose non ci sono più. Sono solo diversamente numerose. Nella sua relazione di inizio mandato il ministro Rosy Bindi diceva con una certa preoccupazione che le coppie con almeno quattro figli si sono ridotte all´uno per cento: erano due milioni negli anni Sessanta sono trecentomila oggi, quasi scomparse e soprattutto povere. Una su cinque sotto la soglia di povertà: condizioni abitative e sociali disastrose, da assistenza di servizi sociali. I figli a multipli di due nascono ormai solo nelle famiglie molto ricche o indigenti: in quelle che se lo possono permettere e in quelle che non possono evitarlo, in quelle che non hanno altra ricchezza che le braccia da mettere al lavoro. Tuttavia i nuclei familiari composti da almeno sei persone sono tornati a crescere negli ultimi dieci anni. La loro caratteristica è che comprendono almeno tre generazioni: nonni, figli, nipoti.
Gli analisti le chiamano “famiglie sandwich”, rende l´idea. Un panino in cui la generazione di mezzo, quella dei quarantenni, è stretta fra i genitori ed i figli: in principio è una necessità, strada facendo un vantaggio in termini di aiuto reciproco, in finale diventa per la generazione di mezzo un peso. Figli dei loro padri e insieme padri dei loro figli, stretti nel sandwich, i due di mezzo finiscono per assumersi la responsabilità della cura dei vecchi e dei giovani, entrambi da accudire. “E´ il trionfo della famiglia verticale – dice Giampero Dalla Zuanna, demografo – una peculiarità tutta italiana. Si registra nel tempo una grande stabilità dei rapporti di sangue, la linea che va dai nonni ai figli ai nipoti. La novità di questi ultimi anni è la prossimità abitativa: non occorre che vivano insieme, spesso sono vicini. Nella grande maggioranza dei matrimoni celebrati negli anni ‘90 la coppia è andata a vivere a meno di un chilometro dai genitori di entrambi i coniugi. Significa che si sono sposati tra vicini di casa e che sono rimasti a stare lì”.
La ragione della convivenza (o della prossimità) è sempre, specialmente nelle grandi città, economica. Daniela: “Sono stati i miei ad insistere perché restassi con loro anche dopo sposata. La casa era abbastanza grande per tutti, io non potevo permettermi un affitto dignitoso. Quando è nata Marta è stato normale restare: loro aiutavano me, che nel frattempo avevo iniziato i turni in ospedale, io aiutavo loro anche nelle spese. Mio marito poi non c´è, più di sei mesi all´anno è in Angola”. Il marito si chiama Helder De Andrade, ha 53 anni, insegna geologia all´Università di Luanda. Si sono conosciuti quando lui faceva il dottorato di ricerca all´Università di Napoli. Di madre angolana e di padre portoghese di origine indiana Helder è nero di pelle così come Marta, la figlia. Matrimonio “misto”, tipologia in crescita del 20 per cento negli ultimi due anni. Solo uno dei coniugi italiano. La vita si incarica di mischiare le carte – e le categorie sociologiche – assai più del previsto: famiglie allargate composte da coppie di fatto che convivono coi nonni. Famiglie miste ma anche sandwich. Famiglie senza figli che abitano coi fratelli, con gli zii. Non sono eccezioni, sono la norma: il nucleo tradizionale – padre madre figli – è già da anni minoritario: 42 per cento. 58 famiglie su cento nella realtà del Paese sono diverse da quel modello a cui sempre si riferiscono le gerarchie ecclesiastiche. Eppure anche le altre ugualmente famiglie, certo.
“Sentiamo sempre parlare dello choc culturale delle unioni cosiddette miste – dice Daniela – noi non abbiamo avuto nessuno choc. I miei genitori, papà tassista in pensione mamma casalinga, hanno accolto Helder per quello che è: una persona di valore. Certo che poi le cronache ci restituiscono storie tragiche di incomprensioni fra culture diverse, storie di segregazioni e soprusi familiari dovuti alle diverse origini delle persone che si uniscono però io credo che i giornali parlino soprattutto di quello che non funziona e molto meno di quello che funziona. E poi ci sono tanti pregiudizi: guardi cos´è successo a Erba, quanti immediati sospetti sul ragazzo nordafricano, e invece…”. Helder racconta che quel po´ di diffidenza che ogni tanto sente a Napoli non è diverso da quello che Daniela ha sperimentato quando vivevano in Angola, sono stati lì due anni: “Era pallida, era straniera, era diversa. Quando ci siamo sposati, nel municipio di Luanda, i funzionari la prendevano in giro: è un matrimonio di convenienza, le dicevano, si sposa per avere il permesso di soggiorno…”. Lui ha provato a trasferirsi a lavorare in Italia ma “un geologo qui è uno su milioni, in Angola siamo pochi e preziosi”. Parla un italiano perfetto, “a scuola studiavo Machiavelli nel testo originale”, la sua lingua madre è il kikongo, antica lingua del Congo, quella paterna il portoghese. “Il padre di Daniela l´ho conosciuto quando è nata Marta, in ospedale. E´ stato lui a dirmi venite a stare da noi: non spendete soldi inutilmente. Certo che un po´ la convivenza mi pesa ma non è perché mi senta costretto, anzi: è che non mi piace togliere spazio agli altri, è una questione di rispetto”.
Daniela dice che ormai non è più un problema di soldi. Lei guadagna 1600 euro al mese, lui circa 2000 dollari. Potrebbero farcela molto bene, con una bambina, “però adesso che mia madre ha avuto un ictus come faccio ad andare via, sono passati gli anni e i miei si sono fatti anziani, quando Helder non c´è io mi sento meglio a stare con loro, sono più sicura e poi Marta è cresciuta coi nonni e con la zia: anche mia zia ci ha aiutati tanto”. Fra pochi anni Helder andrà in pensione, ne ha già più di 30 di servizio, e allora sì che cercheranno una casa da comprare: “magari qui a Napoli, magari a Capo Verde”, ride. Daniela vorrebbe un altro figlio. “Finchè Marta era piccola mi sembrava di non farcela ma mi sento più sicura, adesso, nonostante la malattia di mamma. La mia famiglia mi chiede tanto ma mi dà tanto, riempie le assenze di Helder, fa le mie veci con mia figlia quando non ci sono. Ora sì che mi sento serena abbastanza per avere un altro bambino. Vediamo se arriva. In casa c´è posto, certo. La zia ha la sua stanza, i miei genitori la loro e Helder ed io la nostra, Marta sta con noi. Per una culla basta pochissimo spazio. E poi comunque ora cominciamo a cercare una casetta in affitto, non si sa mai: magari per qualche periodo dell´anno, provvisoria. Nel raggio di casa dei nonni, sì certo, Marta va a scuola lì come facciamo a spostarci”. Però, il vulcano. “Mannaggia sì: il vulcano. Non dorme, anche Helder lo dice e lui lo sa. Sonnecchia. Quando arrivano a casa i fogli coi piani di evacuazione mi viene una paura… Però insomma poi quella è casa mia. Dico dico ma alla fine vede vede? Alla fine resto dove sono nata”.

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