7 Aprile 2005
CORRIERE DELLA SERA

«Poche donne nel Cda, azienda da chiudere»

Norvegia, il governo ha deciso di punire le imprese che al vertice hanno presenze femminili sotto al 40 per cento
Una legge senza precedenti sulle pari opportunità. Nelle società controllate dallo Stato percentuali già rispettate

Danilo Taino

DAL NOSTRO INVIATO OSLO – Se le idee nuove in fatto di politiche sociali fossero petrolio, i pozzi norvegesi non sarebbero certo sulla via dell’ esaurimento. Il governo conservatore di Kjell Magne Bondevik ha fatto sapere alle imprese del Paese che le cose non vanno bene in fatto di pari opportunità tra uomini e donne e ora dalla carota ha deciso di passare al bastone. Nel 2002, infatti, aveva varato una legge in base alla quale entro la metà del 2005 il 40 per cento delle poltrone dei consigli di amministrazione di ogni società, fosse essa di Stato o pubblica, doveva essere riservato alle donne. Ma le aziende «stanno puntando i piedi», ha detto il ministro per gli Affari della Famiglia e dei Figli Laila Daavoey. E, a questo punto, «nei casi peggiori – ha aggiunto – dovremo chiuderle». Sì, proprio così: le imprese che non si adegueranno potrebbero essere messe in liquidazione. Entro il 2007. La legge norvegese, che era già considerata dagli imprenditori la più dura del pianeta tra quelle che intendono affermare la parità per legge, ora è diventata un caso senza precedenti. Il governo farà un censimento a metà agosto per conoscere la situazione e su questa base fisserà una data limite, il 2007, per le aziende inadempienti: passata quella data, ci sarà un ultimo richiamo e poi la chiusura forzata. Il fatto è, spiega la signora Daavoey, che nel 2002 i consiglieri d’ amministrazione donna erano il sei per cento del totale e ora sono saliti all’ 11: pochissimo, se si tiene conto che tutte le società pubbliche si sono adeguate alla norma e che «ci sono in giro migliaia di donne qualificate: le imprese possono scegliere tra metà della popolazione». Si tratta, in sostanza, di scardinare uno degli ultimi bastioni norvegesi del potere maschile in un Paese dove le donne occupano quasi la metà di posti di lavoro, il 40 per cento delle poltrone ministeriali e il 37 per cento dei seggi del Parlamento. Nelle stanze in cui la politica non era ancora entrata, insomma, il denaro favoriva i maschi. Detto fatto: anche i tavoli del potere economico dovranno ora essere condivisi. Il raggiungimento della parità tra sessi è da tempo una priorità per tutti i Paesi scandinavi, i quali sono spesso stati, per l’ Occidente, un modello nel campo. La Norvegia, però, era rimasta obiettivamente indietro in fatto di comando d’ impresa, tanto che in molti Paesi dell’ Europa continentale la situazione è più favorevole alle donne. La minaccia di chiudere un’ impresa, di distruggere ricchezza e posti di lavoro questa volta però ha sollevato onde più alte del solito. L’ associazione locale degli imprenditori si è opposta: il piano, dice, viola i diritti degli azionisti di scegliere i dirigenti liberamente. E la Borsa di Oslo ha detto che si oppone all’ uso della forza anche se ritiene sia una buona idea aumentare la percentuale di donne nei consigli. Il fatto è che, proprio come il petrolio, i modelli di Welfare e le politiche sociali scandinave tendono a essere esportate. E la questione della parità tra uomo e donna è un terreno straordinario per accendere dibattiti in tutto il mondo. Lo scontro di rilievo internazionale più recente è quello avvenuto nella nobile università americana di Harvard, dove il suo presidente, l’ ex ministro del Tesoro Larry Summers, è stato criticato e censurato: aveva sostenuto che, per spiegare come mai le donne non hanno gli stessi risultati degli uomini in certe materie scientifiche, si trattava di indagare anche le differenze biologiche. Al di là della discussione banale donne-contro-uomini, le domande che solleva l’ iniziativa di Oslo sono in realtà molto serie. Le quote obbligatorie tese a favorire nella società minoranze o gruppi sociali sfavoriti sono infatti al centro di una revisione e di un dibattito acceso proprio negli Stati Uniti, il Paese che ha dato il via a questa politica negli Anni Sessanta. I favorevoli sostengono che si tratta dell’ unico modo per garantire ai meno protetti di potersi affermare. I contrari dicono che abbassa la qualità generale delle prestazioni di lavoro o scolastiche, crea ingiustizie e impigrisce le stesse persone che ne possono beneficiare. Questione da risolvere con il pragmatismo, probabilmente. Ma l’ iniziativa di Oslo alza l’ asticella e rende tutto un po’ più radicale.

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