21 Novembre 1998
il manifesto

Quel nodo esistenziale chiamato libertà

 

Dino Leon

Cerco di spiegare meglio quel che ho detto all’incontro di “Via Dogana” sul lavoro di cui ha parlato Manuela Cartosio nel manifesto del 29 ottobre scorso. Tra “libertà” e “soggettività” da una parte e “rappresentanza” e “quantità” dall’altra, c’è il lavoro femminile (e le relazioni fra donne). C’è, però, anche la vita, lo star bene in allegria, l’intonazione generale dell’umore, la pratica della differenza, il riconoscimento reciproco di donna e uomo. E’ nel lavoro che si fa principalmente la pratica della differenza. Un altro buon motivo della sua centralità. Senza la pratica della differenza nel lavoro, prevale lo “schiacciamento” (alienazione, sradicamento, chiacchiera).
Il lavoro sale al di sopra di tutte le sue determinazioni particolari (i lavori). Il lavoro è, un “esistenziale” (o meglio uno dei contenuti dell’esistenziale “disposizione” ad essere gettati nel mondo che preesiste), agito dalla tensione fra la Cura e la Tecnica. I lavori possono essere rappresentati e di fatto lo sono. Il lavoro non può mai: non si dà rappresentanza né dell’essere né della vita. Il lavoro appartiene alla pura soggettività.
Le donne di Via Dogana – mi sembra – propongono di rimettere al centro soggettività pura del lavoro, attraverso la pratica delle relazioni e del partire da sé. E di meglio articolare direttamente il
lavoro nei lavori; direttamente, ciò senza quelle mediazioni che hanno cancellato ormai quasi del
tutto la presenza del lavoro nei lavori. Lavori senza rappresentanza, o con meno rappresentanza.
Cioè: con meno alienazione. I lavori autonomi sono precisamente quelli che si prestano meglio a garantire “la qualità delle relazioni come barriera al l’alienazione “. Prototipo dei lavori autonomi, il lavoro femminile o meglio l’idea che le donne si fanno del lavoro che desiderano fare.
Questo indiscutibilmente è vero. Naturalmente a condizione che si differenzino lavori “scelti” da quelli “subiti”, cioè – direi io – i lavori ricchi da quelli poveri. Poveri di tutto: di soggettività, di senso, di autonomia, di relazioni. In tutto simili al lavoro subordinato (lavori parasubordinati).
Ho mantenuto il singolare per il lavoro subordinato perché è l’antitesi speculare del lavoro di cura e tecnica. E’ il non-lavoro. Il lavoro da rifiutare (sciopero).
Garantire la qualità delle relazioni è dunque possibile principalmente per i lavori autonomi ricchi. Ricchi di cosa e perché? Ricchi di vicinanza al lavoro in sé, come esistenziale. Tecnica bene integrata nella vita, relazioni possibili perché libere. Soggettività operante. Alienati anch’essi (e qui
scandalo nell’uditorio). Sono alienati nell’essere pochi e nell’essere legati al mercato che resta il mercato del lavoro-merce.
Partendo da queste idee delle donne, si capisce che eliminando ciò che sta di fronte al capitale-merce (i lavori rappresentati, i sindacati, le leggi che creano diritti, i diritti che si acquisiscono senza leggi), eliminando tutto ciò – dicevo – si ottiene oggettivamente una situazione di minore alienazione del lavoro. E questo perché, a rigor di logica, l’antitesi difensiva al capitale-merce, poniamo il sindacato, anch’essa alienata. Minor rappresentanza, più soggettività, dunque minore alienazione.
Apriti cielo (Cartosio nel Manifesto del 29 ottobre). Discussione-refutazione dei sindacalista Garibaldo: nel sistema/modo del capitale la rappresentanza sta prendendo piede. Non è la soggettività ad avvantaggiarsene, è il sistema dei diritti che subisce la compressione. Non di meno, la soggettività è una risposta, forse la principale, al declino della rappresentanza nella mondializzazione. Se non si sviluppa il sistema delle reti di relazioni fra donne e fra uomini, torna Hitler. Insomma: siamo effettivamente in presenza di una contraddizione che nasce da un fatto storico (la Rivoluzione Francese del 1789 e seguenti): sia l’antitesi al capitale/merce che si dà nella rappresentanza sindacale, sia l’antitesi al potere ripieno di sé stesso che si dà nella rappresentanza democratica, non sono creazioni di soggettività, del soddisfacimento dei bisogni per un’esistenza più libera e umana, ma sono mediazioni fra nemici mortali: il capitale e il lavoro; il padrone e lo schiavo; il ricco e il povero; il potere e il soggetto; lo stato e l’antistato. Mediazioni che stanno portando all’estinzione progressiva della vita sul pianeta.

E’ chiaro che una rappresentanza senza diritti si sarebbe presto consunta. Ecco dunque che la mediazione ci ha dato i diritti della rappresentanza. Se ci riprendiamo soggettività, modificando i termini di scambio nella mediazione, essi si riprenderanno i diritti, il potere tornerà a generare mostri e scadrà, svuotata, la rappresentanza. Cartosio presenta questa eventualità come una catastrofe. La buona filosofia ci insegna che la catastrofe sta a monte, sta nell’usura irrimediabile delle mediazioni dell’89 che si trascina dietro il sistema della rappresentanza, e, dei diritti. Ogni analisi femminile porta a queste. conclusioni (Es. Marangelli in n.17/18, Via Dogana 1997).
Se dunque è possibile uscire dalla contraddizione, è però necessario modificare la mediazione attuale in cui la soggettività del lavoro/cura e del lavoro/tecnica è irrisoria e ridicola.
Le donne di Via Dogana non lo dicono, ma il cuore della nuova mediazione dovrebbe essere la scomparsa del lavoro subordinato, ciò la generalizzazione dei lavori autonomi, il lavoro dei soggetti in relazione tra loro.
Ora, mentre i lavoro autonomi poveri possono fino a un cero punto essere arricchiti, il lavoro subordinato in rapida contrazione, resterà sempre uguale a sé stesso, una semplice rappresentazione del salario di sussistenza. Resta perciò da stabilire come trasformare il lavoro subordinato in lavori autonomi poveri e questi in autonomi ricchi.
Anche a me sembra che la trasformazione passa dunque attraverso aggregazioni.
Perché, sono irriducibili la logica delle donne e quella della rappresentanza? Vaso pieno e, vaso vuoto. C’è al fondo una diversa concezione di democrazia. In una, il potere in democrazia è dato una volta per tutte, (dalle condizioni materiali dell’esistenza, nel modo di produzione). Tutto quello che si può ottenere è di farlo controllare al meglio da una rappresentanza di eletti. Democrazia vaso pieno, 1789. La democrazia di seconda generazione nasce dalla pratica delle donne e dal negativo dell’esperienza tedesca 1918/1945. Il potere in democrazia è un vaso vuoto i cui contenuti sono da versare dentro nello scontro libero di interessi su un piede di uguaglianza. Il vaso vuoto è di nessuno, non di maggioranze, i partiti. La sola mediazione accettabile è lo stato neutrale nel modo di produzione e redistribuzione (welfare), garante della parità degli interessi. La rappresentanza scade di importanza e ne acquisisce molta la rete di relazioni dirette fra donne e fra uomini. Emblematici della vecchia concezione il parlamento, le leggi e i diritti. Della nuova, accanto al rifiuto collettivo concordato del lavoro (subordinato) da estendere ai lavori autonomi, l’accettazione collettiva concordata dei lavori.

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