29 Marzo 2008
IO DONNA

Quei programmi rosa pallido

Marina Terragni

Un problema da risolvere. Le donne che lavorano sono sempre di più, ma per la politica e per buona parte del sindacato il lavoro femminile continua a essere una grana, una rogna, forse con la residua speranza che un’onda di coming back home venga a spazzarla via, anche se il double income fa molto comodo al mercato.
Una risorsa? Un fattore di crescita? Per gli economisti, forse. Le donne al lavoro sono una “minoranza” ingombrante che porta guai: hanno il privatissimo vizio di fare figli, sono insofferenti agli orari, non hanno il culto del “posto”, entrano ed escono in un anarchico andirivieni. In più hanno molta fiducia nel merito, chiedono nuove regole e una diversa organizzazione, non separano ermeticamente lavoro e vita, vogliono vivere anche in ufficio, non riescono a sopportare che il lavoro sia una non-vita e la vita tutta fuori di lì. Per questo danno tanta importanza alle relazioni, che secondo il Rapporto Eurispes sull’Italia 2006 sono il fattore più importante nel lavoro femminile (60.2 per cento), mentre le retribuzioni sono decisive solo per il 32.8 per cento, e la carriera per il 10.8 per cento.
Tutte novità che mettono in grave imbarazzo la politica, che continua a pensare al lavoro femminile come a posti di uomini occasionalmente occupati dalle donne, tipo tempo di guerra, e al massimo progetta (senza mai farlo) di “conciliare i tempi”. Ma la stanchezza delle donne, più che nel dover correre tutto il giorno, sta nel dover passare la giornata “esiliate” in un mondo del lavoro calibrato sugli uomini, nel non poter portare sul lavoro l’aria di casa, il loro modo di lavorare: perché le donne hanno sempre lavorato, e molto più di tutti.
Scorrendo i programmi elettorali dei due maggiori schieramenti, per le donne si trova poco, e soprattutto poco di nuovo. Il PD le definisce l'”asso” nella partita dello sviluppo (anche se poi non dà il buon esempio, giocando molto timidamente l’atout al proprio interno). La proposta è di aumentare l’occupazione femminile con incentivi fiscali sia alle aziende sia alle lavoratrici: un credito d’imposta come contributo alle spese di cura. Incentivi anche per la flessibilizzazione dell’orario di lavoro. “Quando in un nucleo entrano due stipendi” spiega Barbara Pollastrini, ministra uscente alle Pari Opportunità “ci sono più consumi, più lavoro indotto, più sicurezza. E quindi anche più figli”. Per ogni nato, una “dote fiscale”, a partire da 2500 € per il primogenito. Sui tempi: congedi parentali pagati al cento per cento, e un congedo di paternità interamente retribuito. Più asili nido pubblici, per coprire il 25 per cento della necessità: oggi siamo al 6. Orari lunghi e flessibili in asili, scuole e servizi pubblici e misure contro la burocrazia nella pubblica amministrazione. Per finire, liberalizzazione degli orari del commercio, da definirsi a livello locale.
Quanto al Pdl, il programma fa esplicito riferimento alle donne solo parlando di violenza e di aborto, con impostazione pro life: “Personalmente sono contraria anche alla pillola Ru486” dice Mara Carfagna, responsabile di Azzurro Donna. Le idee sul lavoro (“stabilizzare” i contratti precari attuando pienamente la legge Biagi, creare un sistema di sicurezza sociale fra un’occupazione e l’altra, con un reddito certo in attesa di un nuovo lavoro), valgono per ambo i sessi. A sostegno del lavoro di cura, che secondo stime recenti vale 432 miliardi di euro l’anno, il 33 per cento del PIL, e senza la cui erogazione gratuita l’economia crollerebbe come un castello di carte: bonus bebè, 1000 € per ogni nato o adottato, più asili aziendali e sociali, libri scolastici gratis per i meno abbienti. Nessun cenno agli orari della pubblica amministrazione e dei negozi. La scommessa è sulla tenuta della famiglia, coppie di fatto escluse: “Per noi la famiglia è l’unione di un uomo e una donna fondata sul matrimonio” dice Carfagna “Nessuna discriminazione, ma la priorità è questa cellula primaria”.
Si tratta forse della principale differenza tra i due programmi. A un’idea tradizionale di famiglia, messa al centro dal Pdl, il Pd risponde con un investimento sulla persona, come spiega Pollastrini: “Una sorta di welfare esistenziale, che tiene conto del fatto che i nuclei sono sempre più piccoli”.
Ha ancora senso puntare sulla conciliazione? Di quale welfare oggi ci sarebbe realmente bisogno? “Finora il welfare ha fatto uscire dalla famiglia tutto ciò che è cura, relazione e amore, non regolabile in orari, sostituendolo con servizi erogati dallo stato e scanditi con gli stessi orari del lavoro e del mercato” dice Sandra Bonfiglioli, Urbanista temporale, docente al Politecnico di Milano. “Bisognerebbe invece pensare a un welfare più centrato sulla relazione. Le giovani donne chiedono libertà e flessibilità. Spesso sono loro lasciare il lavoro perché non rinunciano alla cura, non accettano che i tempi di vita siano solo residuali, strategia che esprime intelligenza e capacità di autoregolarsi. Questa intelligenza va ascoltata, o il rischio è che oltre a doversi organizzare secondo la rigidità degli orari d’ufficio, alle donne tocchi subire anche gli orari di un welfare che risente ancora di una mentalità industriale, fordista. Ma la realtà è già da un’altra parte”.

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