21 Giugno 2005
CORRIERE DELLA SERA

Se il figlio è una colpa

Isabella Bossi Fedrigotti

Le milanesi lo andavano dicendo da un pezzo, senza peraltro ricevere molto credito: sul lavoro siamo discriminate, avere un figlio è visto male nelle aziende e lo è, quasi altrettanto, essere in età di averlo. Adesso le imprese lo confermano a un’ indagine della Camera di commercio, secondo la quale le donne con bambini piccoli oppure in attesa creano difficoltà sul lavoro in quanto ” distratte dalla famiglia ” . Per contro, le signore senza figli e non intenzionate ad averne vanno benissimo, sono le benvenute in quanto s’ impegnano anche più degli uomini. Tutto logico e tutto comprensibile: chi ha un figlio piccolo, in particolare quando è malato, pensa per forza di cose più a lui che al lavoro, e non è disponibile per straordinari serali o festivi. Ed è sicuramente vero – come qualcuno si è affrettato ad accusare – che qualche mamma se ne approfitti con permessi, licenze e finti certificati medici, ma in tempi in cui le ristrutturazioni aziendali sono all’ ordine del giorno e sono tornate in auge le lettere di dimissioni firmate al momento dell’ assunzione, il fenomeno sembra piuttosto circoscritto. E’ , dunque, , la donna che Milano pretende, senza bambini, ma, ovviamente, senza anziani genitori, per lo più sola, insomma, visto che, linea generale, non tutti i mariti o compagni si rassegnano a un’ esistenza senza figli? Donne, quanto a stile di vita, il più possibile simili agli uomini, perfetti soggetti economici, perciò, certo non affettivi, non sentimentali, non familiari? Siamo sicuri che sia, questa, una prospettiva auspicabile, che farà bene alla nostra città, alle sue aziende e ai suoi cittadini, tanto più che l’ accusa più di frequente mossa alle donne è, attualmente, quella di essere diventate dure, aggressive, ambiziose e mascoline, senza più dolcezza né tenerezza? Per non parlare della conseguenza più vistosa di questa crisi tra imprese e lavoratrici, acuta denatalità milanese, che da tempo preoccupa Chiesa e istituzioni, inducendole a citare, tra le cause, l’ egoismo delle famiglie. Come se lavorare fuori casa fosse un capriccio delle donne e non, per lo più, una necessità, e cercare affermazione nella professione un chiaro indice di egoismo. Tanto egoiste sono le milanesi che è in costante aumento, tra loro, il numero di chi abbandona l’ impiego dopo il secondo figlio, proprio per le difficoltà di conciliare lavoro e bambini. Stando alle dichiarazioni, alle aziende converrebbe, dunque, non assumere più donne, non, almeno, in età fertile. E la tendenza – è giocoforza – qua e là è già in atto. A questo proposito, sebbene sia già stato citato qui un’ altra volta, resta emblematico ( e minaccioso) il dato di Trento, città tra le più prospere d’ Italia, dove una recente inchiesta ha individuato le donne tra i 28 e i 35 anni come il gruppo a più alto rischio povertà, per il semplice fatto che sono le ultime della lista a trovare un lavoro.

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