10 Maggio 2016 ore 18.30

LabMi. La città del primum vivere

LabMi. La città del primum vivere. Secondo appuntamento di lavoro. Il respiro della città. Appuntamenti successivi: 24 maggio, 14 giugno e 28 giugno. A cura di Sandra Bonfiglioli, Bianca Bottero, Maria Bottero, Ida Farè, Stefania Giannotti, Emilia Costa, Laura Minguzzi

 

Cos’è successo il primo giorno di LabMi il 9 aprile 2016?

Care amiche ed amici, il 9 Aprile di questo anno abbiamo aperto LabMI con una lettera d’invito che si trova sul sito della Libreria delle Donne, libreriadelledonne.it

La prima giornata è stata bella, a volte aspra. Numerose sono state le donne presenti, abbiamo dialogato sui temi della lettera d’invito, abbiamo fatto un’azione di laboratorio, una mappa.  Cioè, abbiamo redatto, su una carta topografica di Milano, una mappa degli spostamenti quotidiani di Laura Minguzzi – si era offerta di partire dal suo personale modo di abitare – nel corso di una settimana per tre tipi di attività: 1-ragioni di vita; 2- lavoro per il mercato;  3- lavoro volontario/cura di sé e cura del mondo.

In questo esercizio abbiamo utilizzato il secondo testo breve che ha introdotto il lavoro. E si sono rivelate simbolicamente efficaci le quattro parole di sintesi: libertà  limite  bellezza  salubrità.

Nella giornata di avvio, il 9 aprile, tutte/i noi presenti siamo state/i al gioco che era scritto nell’invito, con ironia e intelligenza. Ci pare che la nave sia stata varata. E ora andiamo a navigare. Ci sono anche delle skipper tra di noi che conoscono i venti.

 

Abbiamo scelto una postura radicale.

In quella prima lettera è espressa una scelta radicale sulla postura che desideriamo assumere.   Essa è il punto di arrivo di tre anni di lavoro precedentemente fatto dalle donne promotrici. 

La scelta è radicale nel senso metaforico di radice che può affondare profondamente nel terreno dove è nato e continua a generarsi il pensiero politico delle donne: l’esperienza del mondo in corpore vivo che, nella fattispecie di LabMi, è lesperienza di abitare.  Parliamo della nostra personale esperienza di vivere in relazione con altri/e, in primis fra donne e uomini che è la differenza generatrice di tutte le altre, come abitanti dei/nei luoghi costruiti, caratterizzati da ambienti fisici, storie, paesaggi, civiltà e culture.

 

La postura esige un metodo di lavoro originale e appropriato.

Approfondire l’esperienza personale di abitare è un posizionamento e un metodo.

Non è un percorso individualistico perché “essere in presenza viva di/con altri corpi” è un tipo di relazione con il mondo mediata da altri esseri umani; è il modo di abitare di tutte le donne del/nel mondo. Posizionarci lì, qui, in questo frangente del mondo, comporta vedere me stessa e le altre; comporta  comprendere quell’universale antropologico e degli esseri viventi dove la stessa configurazione del vivere si declina diversamente in ogni persona del creato.

 

I luoghi dove abitiamo sono i precipitati fisici di tutto ciò che è accaduto prima di noi e sono l’eredità che le nostre madri e i nostri padri ci hanno lasciato. Per usarla.  La città è un ciclope di pietre e regole e tecnicismi e personalità e interessi che hanno l’autorità della tradizione e della forza. In coerenza con la postura che abbiamo preso, noi in LabMi, decliniamo il concetto di città come l’insieme dei luoghi dove abitiamo. E con questo intendiamo rendere omaggio a Corrado Levi, un architetto e un artista, perchè è Lui che una sera qui in Libreria lo ha sussurrato. E noi abbiamo pensato: giusto! capisco, è utile.

 

Abbiamo forza e capacità sufficienti per avanzare nel lavoro?

Come possiamo pensare di avere la forza e la capacità di mettere mano alla città in assenza di strumenti analoghi a quelli che già possiede?  La nostra forza è la visione alimentata dai desideri di libertà nell’attuale mondo che vede il declino di tutte le civiltà che lo abitano. La nostra forza è anche la postura generatrice di sguardi originali che mettono in relazione al contempo il dentro e il fuori di noi. E’ una buona posizione perché  appare credibile che una nuova civiltà che già si annuncia sarà frutto al contempo di nuove istituzioni (qui rendiamo omaggio a Simone Weil), cioè di nuovi beni comuni, e di spostamenti interiori sui valori fondanti nuove forme di convivenza.  Forse non abbiamo ora, all’inizio, la forza di entrare subito nell’arena urbana degli interessi costituiti e lì negoziare la nostra parte di accesso ai beni comuni, la nostra parte di libertà. Questa è stata la strategia della tradizione politica  moderna. Ma noi possiamo guardare oltre questa tradizione. 

 

Una critica severa è venuta a questa nostra postura.

La lettera partirebbe da una posizione astratta. Perché rifiutare la logica delle discipline e il lavoro professionale che nel campo del progetto urbano è a volte eccellente? Si vuole assumere una posizione che si rischia sia ideologica, poverista, iscritta ancora nella logica piccolo è bello?  Questi sono stati i termini della critica.

E’ utile essere consapevoli che la postura che assumiamo non è quella disciplinare dell’architettura, urbanistica, sociologia, ingegneria o altro ancora. E’ una scelta politica. Ma ci sono altre specifiche ragioni.  Quasi tutte le donne  propongono LabMi sono state formate o sono accademiche del Politecnico di Milano.  Questo fatto dovrebbe rassicurare che il dibattito sulla città è noto a molte di noi e anzi abbiamo a lungo partecipato ai dibattiti che hanno messo a problema un profondo rinnovamento disciplinare dell’urbanistica e dell’architettura. Riteniamo che ci siano validi motivi per non partire dalle discipline. Cerchiamo questi motivi.

 

Il primo motivo è che non ci sarebbe riflessione davvero comune fra noi donne e uomini su temi che già sono stati messi a problema dalle discipline. I lessici disciplinari sono chiusi al linguaggio comune con il quale si esprimono gli abitanti, cioè quello che vogliamo essere noi in LabMi e che possono essere chiunque entri. Non occorrono titoli e competenze per partecipare.

Cosa possiamo dire in LabMi sui temi o problemi del paesaggio, della salubrità dell’ambiente, sui trasporti dell’area metropolitana lombarda in divenire, sul riuso delle aree dismesse, sui problemi di sostenibilità degli insediamenti regionali a bassa densità, sul consumo di suolo, sugli spazi pubblici, sulle piste ciclabili e la mobilità lenta, sulla sicurezza, sulla speculazione edilizia, sulla decisione partecipata, sulla rinaturalizzazione della città, sulle periferie?  Possiamo certo aggiungerci al coro, scandalizzarci, spostare una interpretazione che non ascolta la nostra voce, ribadire ciò che desideriamo, scegliere una partigianeria. C’è già chi ci lavora e bene.

 

Il secondo motivo è che le discipline del progetto urbano non hanno bisogno di noi e quando noi avremo bisogno di loro, esse sono facilmente accessibili. Occorre saperle interrogare e trovare gli/le studiosi, progettiste, ricercatori  e ricercatrici che hanno davvero voglia di ascoltare e rispondere. In mezzo c’è un lavoro faticoso di metabolizzazione della domanda nei propri quadri mentali.  A Jane Jacobs, che dagli anni ’60 in Usa e poi nel mondo, ha ispirato molti sguardi trasversali nell’urbanistica, i suoi critici dicevano che non aveva basi teoriche, le sue pensate erano azioni domestiche, questioni di donne. Ricorda la concezione di donnette di Manzoni. Noi ci posizioniamo nella stessa logica di Jane J.  Il movimento di donne “tempi della città” e le donne raccolte nel circolo Vanda, presso Polimi, sono partite dall’abitare e non si sono vergognate di partire da sé. Al contrario, hanno dato valore all’esperienza della vita quotidiana. Che è il luogo, lo spazio e il tempo propri dell’abitare delle donne.

In breve, non esiste l’intenzione di essere estranee alle discipline, semplicemente non vogliamo partire da lì. Né guardare nella stessa logica e nella stessa forma di razionalità che le ha strutturate. Una forma di razionalità è un modo di concepire le cose del mondo e di noi stesse. E noi ci concepiamo diversamente, soprattutto in questo luogo della Libreria alla quale intendiamo rendere omaggio e dove alcune di noi ci sono da sempre. Avremo modo di parlare a lungo di queste cose.

 

Molte cose accadono in Italia e nel mondo che riguardano la trasformazione della nostra civiltà e, assieme, delle città.

In Italia ci sono circoli di donne, già in rete come Le città vicine , ben rappresentate dal lavoro di Anna di Salvo e Mirella Clausi e le altre, alla quali rendiamo omaggio, che lavorano da anni sulla trasformazione della città. I loro testi sono nella nostra bibliografia di LabMi.  Esistono circoli di donne in tutto il mondo che fanno analogamente. Abbiamo incontrato n volte in Europa queste donne anche in seminari promossi da Vanda.  Queste azioni si collocano  nella tradizione politica moderna della quale si diceva. Qualcosa di nuovo è successo recentemente a Roma nel marzo 2016 nella conferenza annuale della Città Vicine. Qualcosa di nuovo è successa a Paestum nel primo grande incontro su Primum vivere nel 2012. Qualcosa di nuovo è successo in Libreria con la chiusura della rivista Via Dogana e l’apertura della fase VD3;  in Mag  animata da Loredana  Aldegheri; in Mediterraneo Sociale animato da Salvatore Esposito e Adriana Maestro; nel lavoro delle Vicine di Casa a Mestre e di Sandra De Perini e le altre; nel progetto di Annarosa Buttarelli che parte dal suo testo Sovrane si respira un’aria diversa da prima. In tutti questi casi si sente spirare uno zefiro nuovo, s’intravvede una postura che si sporge dalla tradizione e va oltre nel mondo, dentro al mondo come è dato qui e ora.  Si può pensare a questo nuovo zefiro come l’apertura di una fase costituente (ma dove?).  Cos’è una fase costituente se non un semplice nuovo posizionamento su temi noti dove si può annunciare la trasformazione necessaria degli assetti vicini e lontani per ospitare e sostenere nuove convivenze? E gli assetti nuovi si vedono così chiaramente da parte di coloro che hanno preso la giusta postura. Ne abbiamo avuto un esempio sul tema dell’utero in affitto. Dopo anni di silenzi, di parole dette in qualche occasione non in pubblico, improvvisamente, ecco kayros che si manifesta, è risuonato un gong e alcuni accadimenti quasi sincroni si sono messi in risonanza: la postura e i concetti trovati da Luisa Muraro in Libreria, le donne a Parigi. Fatto. Ne parleremo ancora ma il silenzio, che non era assenza ma lenta meditazione, è terminato.   

Nuove forme di convivenze è una questione abitativa. Su questo possiamo lavorare per trovare le parole che la mettano a problema e la rendano trattabile.   

 

Dagli anni ’70 si va costruendo la nuova città contemporanea ma è un percorso senza orizzonte.

Dagli anni ’70 ad oggi le città e il progetto urbano sono stati oggetto di una quota assai rilevante degli investimenti mondiali. Negli alloggi privati sono stati gli stessi abitanti che hanno rivoluzionato gli spazi interni, spostando muri, abbattendo pareti, risanando cantine e sottotetti, piantando fiori sui balconi, manutenendo le case.  In Europa sono stati eseguiti progetti anche di grande portata culturale e civile: la riqualificazione della Ruhr; la ricostruzione di Berlino dopo la caduta del muro; la riqualificazione dei centri storici delle città della Germania dell’Est dopo la riunificazione; le diverse fasi dei progetti di Barcellona; EuroLille alla convergenza delle nuove prime reti di treni veloci fra Bruxelles, Parigi e Londra; i progetti urbani di Lione e Marsiglia; la Grande Biblioteca di Parigi e i nuovi musei e parchi come La Villette; le reti di nuovi tram che riconnettono parti separate della città; il progetto di regolazione temporanea della circolazione a Besanconne. E altro in tutta Europa e in Usa. Per non parlare delle città in Cina, in Medio Oriente, in India. Ormai più del 50% della popolazione mondiale abita in città.

L’alloggio per una popolazione mondiale mobile attratta dall’offerta del mercato del lavoro mondiale, le forme temporanee di presenza nei luoghi di flussi di popolazioni riaprono il tema dell’abitazione e delle sue tipologie edilizie. Ma soprattutto aprono il tema davvero nuovo di come stanno vicini popoli che non vogliono integrarsi e non ci sono neppure le risorse per farlo.

In breve, c’è troppa roba già al fuoco. Manteniamo la posizione, diventiamo una comunità che apprende, e avremo da dire buone cose.

 

 

Cosa facciamo in LabMi/2 il 10 maggio in Libreria.

 

La pratica di mappare i modi personali di abitare.

 

In LabMi/2, il 10 maggio riflettiamo assieme sul risultato della nostra prima mappa, per migliorarla.  Si può migliorare molto, moltissimo.

 

Sappiamo che lavoriamo con scarsi mezzi tecnici, in uno spazio non pensato per essere un laboratorio di materiali anche fisici. Ma l’esercizio di agire nei confini di un limite fa parte dello stile di LabMi.  Quante cose belle abbiamo scritto e maneggiato sul tavolo di cucina? Anche brutte, non è una garanzia.

 

Siamo costrette a pensare più a fondo, a vedere con gli occhi della mente  il modo di abitare di Laura, a rappresentarlo adeguatamente, a trovare le parole per narrarlo.

 

Laura è qui, presente a/con noi. Ecco ciò che nessun laboratorio attrezzato  può fare: disporre, della presenza di colei che sola può dire che senso hanno le nostre valutazioni. E lo può fare perché valuta i nostri argomenti conoscendo, solo lei, l’insieme di circostanze, di storie, di cose della sua vita che si addensano attorno ai scarsi segni della  mappa del suo vivere.

 

Il pensiero scientifico moderno dal ‘600 ha posto a fondamento della sua forma di razionalità, l’osservabilità oggettiva di dati metrici (anche la geometria è una metrica). Le scienze umane moderne, fra le quali tenta da molti anni di iscriversi l’urbanistica, hanno assunto questo fondamento in modo più profondo e sistematico  di quanto le comunità scientifiche hanno potuto fare con altri fondamenti.

 

LabMi intende non agire in questo modo.

 

La ricerca di senso per pensare a nuovi modi di abitare, che è il compito che ci siamo date, nel nostro pensiero avviene per narrazione di un’ esperienza viva che si mette in dialogo con altre esperienze vive.

 

Non c’è nulla da inventare, occorre solo imparare a vedere i modi di abitare che già sono in atto, mescolati con tante cose che li oscurano alla percezione. E comprendere con il cuore oltre che con la mente, che contengono l’idea di una nuova civiltà che ci piace.

 

Costruiamo assieme la bibliografia di LabMi.

Costruiamo assieme la genealogia di LabMi.

Costruiamo assieme il nostro spazio web per buttarci dentro materiali.

 

Costruiamo assieme l’agenda di settembre, magari partendo con un importante avvenimento di apertura  pubblica di LabMi?

Milano 30 aprile 2016

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