14 Dicembre 2004
il manifesto

“Cassandra che ride” di Pat Carra

Stefania Giorgi
Lungo le rive dello Scamandro (i salottini illuminati dai bagliori del focolare catodico dei tiggì), lontano dal Palazzo di Priamo (la Casa Bianca, Downing Streett…), in mezzo a bombe, minacce, bugie e videotape (la guerra infinita di Bush&Co.), la Cassandra di Pat Carra osserva e commenta (con il suo stile inconfondibile) fendendo e diradando il fumo (delle bombe e delle bugie sulle bombe). Veggente non votata alla solitudine della testimonianza senza ascolto, ma alla condivisione con altre donne come lei capaci di «visioni» sulla nuda verità della guerra e dell’economia della guerra; dotata di capacità profetica non per dono divino, ma per la sua perizia, tutta terrena, di legare corpo/esperienza/lingua e svelare così il backstage di quel che accade. Niente paura, però, non pensate a lutti, disperazione, pianti e alti lai. Tremila anni dopo la guerra di Troia per la presunta love story di Elena, il destino toccato in sorte alla sua omonima antenata – la sacerdotessa che pre-vedeva le sciagure, condannata da Apollo a non essere ascoltata e per questo perennemente sull’orlo di una crisi di nervi per non dire di pazzia – la Cassandra di Pat Carra ha imparato la lezione. L’antidoto che usa per smascherare il gioco mortale, pazzo e insensato di guerre «umanitarie» e «preventive» è quello di rintracciare «un tratto umoristico in ogni pazzia. Chi sa riconoscerlo e usarlo ha vinto» (come scrive Christa Wolf della sua Cassandra). Così da Kabul a Baghdad, Pat Carra continua a lanciare quelle che lei stessa aveva definito, durante la guerra in Kosovo, «bombe di riso». Sberleffi sussultori, sghignazzi irriverenti, sorrisi liberatori. Resistente, ignifuga, irresistibile, la sua è una «Cassandra che ride». Che poi sarebbe il titolo del suo ultimo libro (Baldini Castoldi Dalai, € 12,90) dal quale estraiamo alcuni quadretti di china. Un piccolo assaggio di una cura ricostituente di senso che consigliamo per tutti.

vignetta

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