21 Gennaio 2004

“Clandestino” di Eliette Abécassis

Liliana Rampello

“Clandestino” di Eliette Abécassis parla di un incontro, di un attimo che cambia tutta la vita, dello sguardo che solo questa contemporaneità mescolata di geografie e storie lontano-vicine può rendere quasi miracolo concreto. Un uomo, una donna, un binario; colori cupi e bagnati, un’atmosfera parigina alla Simenon, ma con lo sguardo di una donna che sa d’amore, non solo dell’ambiguità dell’anima umana.
E’ il racconto di un legame che fa saltare senza scampo ogni certezza, che si slancia nell’impossibile, nell’inaccettato. Sentimenti e sfondo di delicata rarefazione, per frugare nell’intimità, nella soglia rivendicata come dicibile fra la morte e la vita, come già l’autrice aveva raccontato in due diversi e altrettanto brevi romanzi, Ripudiata (Tropea 2001) e Mio padre (Tropea 2003). Che sia una trilogia? Non importa, il centro è sempre la relazione, il suo ineludibile nodo, che così si dispiega sapientemente in diverse figure. Qui fra una donna e un uomo che imparano a riconoscersi, in Ripudiata Nathan che abbandona Rachel perché sterile, nonostante il matrimonio combinato avesse fatto scoprire la profondità di una passione impossibile da negare, in Mio padre un fratello taciuto che con la sua comparsa fa deflagrare tutti i ricordi di Héléna, la sorella che racconta del padre, di una devozione messa violentemente alla prova della memoria, di una realtà che costringe a cambiare di segno un passato ormai spoglio di ogni innocenza.
Una scrittura che sa intonare il lamento, la preghiera, la passione, la scoperta.

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