25 Ottobre 2006
il manifesto

Con lingua affilata come lama di coltello

Fu tra i pochi ad avere la possibilità di guardare le cose da entrambi i lati della frattura in cui le sue eroine finivano per sparire Ang Lee
A soli ventitré anni l’autrice cinese aveva già scritto il suo capolavoro: “La storia del giogo d’oro” esce ora da Rizzoli, tradotto per la prima volta. È una trasfigurazione dei drammatici contrasti famigliari tra i quali Zhang Ailing è cresciuta: sua madre, infatti, ancora prima di pretendere il divorzio fuggì in Inghilterra dal marito diviso tra l’oppio e le sue concubine
Tommaso Pincio

Una scrittrice leggendaria, così viene solitamente definita Zhang Ailing. È sufficiente una scorsa veloce ai suoi ritratti fotografici per farsi un’idea del perché. Le studiate posture che è solita assumere davanti all’obiettivo sono chiaramente quelle di una donna fin troppo consapevole della sua naturale eleganza. Ma è altrettanto palese che, malgrado il modo impeccabile di acconciarsi, in Zhang Ailing c’è qualcosa che non va. Lo sguardo punta quasi sempre altrove, il sorriso è sempre solo accennato e tirato, l’espressione del volto, velata da un’ombra appena percettibile di diffidenza, la fa sembrare distante. Dà l’impressione di una persona che per qualche ragione si è prematuramente indurita, e ciò non fa che accrescerne il fascino.
Infanzia e prima giovinezza furono tutt’altro che facili. Zhang Ailing nacque all’inizio dei ruggenti anni Venti del secolo scorso in una Shanghai che somigliava ogni giorno di più a una città occidentale. Aveva antenati importanti. Suo nonno paterno era figlio di un influente statista della corte dei Qing. Sua madre proveniva invece da una ricca famiglia dello Hubei, una regione della Cina centrale. In casa tirava però una brutta aria; quando la piccola Zhang aveva appena cinque anni e si chiamava ancora Ying – in Cina i nomi non sono per tutta la vita -, sua madre partì per l’Inghilterra non tollerando la passione del marito per oppio e concubine. Fece ritorno quattro anni più tardi, ma le reiterate e mai mantenute promesse del marito di cambiare registro resero inevitabile il divorzio.
Dalla vita al romanzo
Nonostante la forte opposizione paterna, la madre fece in modo che la piccola Zhang frequentasse una delle più prestigiose scuole occidentali per ragazze di Shanghai, e le diede un nome inglese, Eileen, che trascritto in cinese sarebbe diventato poi Ailing. Fu proprio durante il liceo che la giovane rivelò il suo eccezionale talento letterario. Nel 1939 lo scoppio della guerra le impedì di completare gli studi a Londra come sperava. Fu obbligata a optare per l’università di Hong Kong dove ottenne comunque importanti riconoscimenti e condusse una vita ricca di stimoli. Ma con una madre fuggita a Singapore e un padre tirannico e perso tra i fumi dell’oppio, Zhang Ailing non poteva che guardare con sfiducia alle relazioni di coppia; questo suo cupo pessimismo la porterà fin da subito a scrivere amare storie d’amore.
A soli ventitré anni, la ragazza aveva già partorito il suo capolavoro nonché uno dei racconti più belli della letteratura cinese in assoluto. La storia del giogo d’oro (pubblicato ora per la prima volta in Italia da Rizzoli, traduzione, note e postfazione di Alessandra Cristina Lavagnino, pp. 139, Euro 8,60) è chiaramente una trasfigurazione dei drammatici contrasti famigliari tra i quali l’autrice è cresciuta. Vi si narra di come la bella Qiqiao, resa sempre più perfida dalle circostanze e soprattutto dalla sua insofferenza, trascini se stessa e chi le è accanto verso una infelicità senza rimedio.
In principio Qiqiao è una modesta ragazza di campagna disposta a sposare un uomo gravemente malato e a fargli da balia pur di entrare in una ricca famiglia di Shanghai. La giovane è convinta che dopo qualche anno di sacrificio otterrà quel che lei vuole, la ricchezza. Qiqiao fatica però a integrarsi in un ambiente sociale che non le appartiene. I modi bruschi e la mancanza di tatto sono poco graditi in una famiglia dove vigono ancora i complessi rituali gerarchici della Cina tradizionale.
Qiqiao si convince così che in casa nessuno la comprende né apprezza i suoi sacrifici di donna sposata a un mezzo invalido. “Chi mai mi è stato grato? Chi mi ha reso la metà di quel che ho fatto?” – si domanda. Cerca di sedare la rabbia fumando oppio, ma è troppo inquieta perché un simile rimedio possa bastare a placarla. Trascorre quindi il suo tempo facendo dispetti e seminando veleno, in un’infinità di piccole vendette domestiche su chiunque ritenga responsabile delle sue sofferenze, e siccome la felicità altrui è per lei fonte di dolore, presto o tardi tutti i membri della famiglia vengono individuati come responsabili. Con la morte del marito, giunge il momento in cui Qiqiao capisce di non avere più alcuna speranza di ottenere quel per cui si è sacrificata. Ora non le rimane altro che vivere per fare del male al prossimo. Dai semplici dispetti passa a ordire morbose e crudeli trame ai danni dei figli affinché non possano mai affrancarsi dalla sua nefasta influenza.
Il lento scivolare di Qiqiao verso la più lucida e nera delle follie copre un arco di decenni che Zhang Ailing condensa però in cento pagine scarse. In più di un’occasione, il passaggio da un paragrafo all’altro segna un salto di anni nell’esistenza di questa indimenticabile dark lady. Tuttavia il racconto mantiene una pacata e strana continuità. Nonostante il racconto inghiotta grosse fette di tempo in poche righe, la scrittura rimane comunque composta e attenta ai dettagli più minimi, quasi si apprestasse a descrizioni destinate a protrarsi per pagine e pagine. È un contrasto efficace e che rende con estrema vivezza il perverso percorso che porta Qiqiao a bruciare la propria esistenza in un’insensata e grande vendetta, fatta di minuscole perfidie quotidiane. Che passino dieci anni o un giorno, per lei non fa differenza. A parte qualche ruga in più, Qiqiao è sempre uguale a se stessa, sempre chiusa in casa ad accanirsi sugli altri, sempre prigioniera del proprio rancore.
Desolazione, una parola chiave
Con La storia del giogo d’oro e altre novelle di tenore analogo, la giovane scrittrice conosce un immediato successo. Siamo nei primi anni Quaranta: la guerra dilaga, Hong Kong cade nelle mani dei giapponesi, lo scontro tra la Cina millenaria e la modernità occidentale si fa intenso. Cresciuta con un padre tenacemente ancorato alle tradizione e una madre cosmopolita, Zhang Ailing è l’interprete perfetta delle ansie del periodo. “Un giorno la nostra civiltà, magari sublimata oppure svanita, apparterrà comunque al passato. E se la parola che uso più sovente è ‘desolazione’ è a causa di questa diffusa minaccia che grava come sfondo sui nostri pensieri”.
Nel 1944 la scrittrice sposa Hu Lancheng, un uomo del quale è fortemente innamorata malgrado sia considerato un traditore per via delle sue simpatie verso i giapponesi. Il destino sembra però voler dare ad Ailing una ragione in più per non fidarsi dell’amore. Lancheng si concede una scappatella dietro l’altra e dopo soli tre anni il matrimonio finisce. Tracce di questa relazione si ritrovano nel racconto di amore e spionaggio Lust, Caution che il regista Ang Lee sta per portare sul grande schermo, tornando così a realizzare un film di ambientazione cinese dopo tante pellicole americane come Hulk e I segreti di Brokeback Mountain (il racconto verrà pubblicato in Italia il prossimo anno sempre da Rizzoli).
L’avvento della Repubblica Popolare trova Zhang Ailing ancora nella sua amata Shanghai, ma la nuova Cina di Mao si attaglia decisamente poco al marcato individualismo della donna. Dopo un breve periodo a Hong Kong, durante il quale un ente governativo americano le commissiona due romanzi da usare come propaganda anti-comunista, nel 1955 lascia per sempre la madrepatria ed emigra negli Stati Uniti. A New York incontra e sposa lo sceneggiatore Ferdinand Reyer che di lì a pochi anni rimarrà paralizzato in seguito a un infarto.
All’inizio degli anni Settanta, dopo la morte del secondo marito, si stabilisce a Los Angeles alternando l’attività di scrittrice a quella di sceneggiatrice per il cinema di Hong Kong. Riscrive inoltre in inglese i suoi racconti di gioventù e al contempo si dedica alla traduzione di uno dei più importanti romanzi della letteratura cinese, Haishangua liezhuan, un imponente affresco del quartiere del piacere di Shanghai, scritto sul finire dell’Ottocento da Han Bangqing. Attraverso le storie di varie prostitute e dei loro clienti, l’autore – egli stesso assiduo frequentatore di bordelli – scandaglia la complessa natura di un mondo regolato dalla simulazione, dove il desiderare e l’essere desiderati è più una schermaglia da palcoscenico che un’avventura di autentica passione.
Laddove Anna Karenina, Emma Bovary e le altre eroine dell’Ottocento europeo sono reali e credibili perché la loro passione rimane schiacciata tra i doveri coniugali e l’adulterio, le prostitute di Han Bangqing sono state invece addestrate a incarnare l’ideale femminino dell’incostanza. Il loro lavoro è quello di ricordare agli uomini la volubilità dei sentimenti amorosi, il che ne fa, sotto certi aspetti, personaggi più reali e credibili delle loro colleghe europee. Queste donne e i loro commerci sono inoltre l’anima di Shanghai. Chiamata spesso la “puttana d’Oriente”, la città ha un peso determinante nel confronto tra realtà e desiderio. Coi suoi mille volti, Shanghai appare misteriosa e seducente. Può tuttavia rivelarsi fatale e pericolosa non soltanto per le centinaia di sprovvedute ragazze che, accorse dalle campagne, precipitano in un abisso senza ritorno, ma per chiunque. Lo stesso Han Bangqing era un immigrato rimasto irretito dalla magia lussuriosa di questo mondo a parte della Cina dove denaro, amore, potere, corpi umani e beni materiali possono costituire merce di scambio di un unico grande commercio. Del resto, vorrà pur dire qualcosa se ancora oggi l’espressione inglese Shanghai woman è sinonimo di prostituta.
Come nota Zhang, lo stile è tutt’altro che sensuale, ed è proprio questa qualità a rendere il romanzo unico nel suo genere nonché una sorta di anticipazione di quel realismo psicologico che nei decenni diverrà uno dei segni prevalenti della narrativa; qualcuno ha perfino parlato di un Ulysses cinese. Ciò nonostante il libro non ha mai conosciuto una grande diffusione, forse per via del fatto che molte parti sono scritte in dialetto e dunque incomprensibili per gran parte dei cinesi. Zhang Ailing cerca di porvi rimedio traducendo queste parti in mandarino, nel frattempo si dedica a un progetto ancora più ambizioso, tradurlo anche in inglese. L’impresa non è sicuramente di poco conto, considerata anche la ragguardevole mole del libro. Nel 1982 due dei sessantaquattro capitoli appaiono su una rivista letteraria di Hong Kong. Poi più nulla. Zhang Ailing muore senza dare più notizie della traduzione che viene così data per incompiuta e perduta per sempre.
Qualche anno dopo, rovistando tra le sue carte spunta un manoscritto che necessita di essere rivisto. Se ne prendono cura in molti, prima fra tutti Eva Hung, e nel settembre dello scorso anno il romanzo approda finalmente nelle librerie americane con il titolo The sing-song girls of Shanghai (Columbia University Press, pp. 554, $ 29,50).
L’angelo caduto della letteratura cinese
Com’è facile immaginare, nella Cina maoista l’opera di Zhang Ailing fu giudicata incompatibile con gli ideali “rivoluzionari”, rimanendo così bandita per lungo tempo. Ma i tempi cambiano in ogni angolo del pianeta; nel 1984 venne ristampata proprio La storia del giogo d’oro e fu un successo immediato. In fondo, non avrebbe potuto essere altrimenti: la Cina di fine millennio era un paese dove vivevano anime contrapposte, simile alla Shanghai di Zhang Ailing, la prima città moderna del “paese di mezzo”. Il regista Ang Lee ritiene che “la lingua di Zhang Ailing, affilata come la lama di un coltello, abbia aperto una enorme frattura nella cultura cinese tra il patriarcato classico e la nostra inquieta modernità. Fu una dei pochi, all’epoca, ad avere la possibilità di guardare le cose da entrambi i lati di questa frattura in cui le eroine dei suoi racconti finivano spesso per sparire. Zhang Ailing è l’angelo caduto della letteratura cinese”.
Questa riscoperta lasciò però indifferente la diretta interessata, ormai sempre più chiusa in se stessa. Trascorrerà la parte finale della sua vita lontano da tutto e tutti, in una reclusione tanto estrema da farle guadagnare l’epiteto di Greta Garbo della letteratura cinese. Diventata una leggenda, Zhang Ailing venne trovata morta l’8 settembre 1995 nel suo appartamento di Los Angeles. Dopo la cremazione senza alcun rito funebre, le sue ceneri vennero sparse nell’Oceano Pacifico poiché queste erano le sue ultime volontà. Su un quotidiano apparve il seguente necrologio: “Non ci sono superstiti”.

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