12 Settembre 2009
Alias

Elsa, la baronessa Dada che posava nuda nel Village

Caterina Ricciardi

“Con gesto regale, aprì i lembi dell’impermeabile scarlatto. Era in piedi davanti a me nuda, o quasi. Sopra i capezzoli aveva due minuscole lattine di pomodori, legate con un cordino verde dietro la schiena. Tra le due lattine pendeva una piccolissima uccelliera con dentro un canarino desolato. Un braccio era coperto dal polso alla spalla da anelli di celluloide per tende, che poi confessò di aver rubato nel reparto di arredamento dei grandi magazzini Wanamaker. Si tolse il cappello che era stato decorato in modo grazioso ma poco appariscente con carote dorate, barbabietole, e altri ortag-gì”,Così, alla Arcimboldo, il pittore americano George Biddle descrive la baronessa von Freytag-Loringho-ven, nata Elsa Plòtz, in un paesino tedesco al confine con la Polonia. Nel 1904 si era avviata per le strade del mondo, posando nei cabaret di Berlino come “statua vivente”, e fermandosi in seguito li dove le avanguardie artistiche fremevano: Parigi, Londra, New York, e ancora Parigi, dove la baronessa, malata di sifilide, morirà in circostanze misteriose ne! 1927. A proporne una biografia romanzata è Rene Steinke con Sante Gonne La . vita della Baronessa Elsa (trad. di Delfina Vezzoli, Alet, pp. 393, € 18,00), uscita negli Stati Uniti nel 2005, più o meno in concomitanza della biografia ufficiale scritta da Irene Cammei, e di un’edizione della lacunosa autobiografia di Elsa curata da Paul Hjartason e : Douglas Spettigue. Nel giro di pochi anni si è dunque riscattato dall’oblio uno dei personaggi più enigmatici de! primo Novecento internazionale, una sorta di vistosa Contessa Casati ma molto più spregiudicata nella sfida alle convenzioni, negli oscuri commerci sessuali e nella piena identificazione del corpo e del narcisismo intellettuale femminile con il performativo artistico di quegli anni, il Dada ,in particolare, e il proto-Pop, offer-: to a Elsa anche da quelle boutique di massa che erano i neonati grandi magazzini americani. Nel 1913 emigra a New York, dove resterà 10 anni, battendo le strade dei Village nei suoi travestimenti punk, vivendo dì stenti e stratagemmi, posando nuda, fumando peyote, frequentando Djuna Barnes, Emma Goldman, Stieglitz e Man Ray, corteggiando Duchamp. Obliterando il suo io tedesco. Elsa si lascia stordire dalla città in movimento verso il futuro, e verso l’alto, incantata dalle meraviglie di uptown, il lusso del Ritz e del Biltmore, e le insegne luminose di Times Square che impara a tradurre in poesia dada, o pop, come in un dipinto di Charles De-muth: “Niente di così pepsodent-lenitivo / Cara Mary – la menta con / II buco – Oh salvagente! / Aderisce bene – delizia del palato / Continua azione germicida – / Guerra Mondiale Postum Lister/ Una dovìzia di Vicks confezione famìglia!”. Arte povera sì, ma derivata da quella nuova Musa del capitalismo che si avviava a diventare la pubblicità. Elsa l’aveva capito, introducendoci, provocatoriamente con i suoi versi, nell’esordiente e intersemiotica avanguardia newyorkese.

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