21 Gennaio 2007

“I giorni dell’abbandono” di Elena Ferrante

Barbara Nogara

E’ il mese d’aprile a Torino: Mario abbandona la casa coniugale e lascia soli suo moglie Olga di trentotto anni e i due figli, Gianni e Ilaria di dieci e sette anni. La vita di Olga è sempre stata serena, scandita dai ritmi domestici: sapeva scrivere e aveva lavorato per poco tempo in una casa editrice, ma per desiderio del marito si era sempre dedicata completamente alla casa e alla famiglia.
Il dolore della separazione è per Olga lancinante e l’avvicina alla paranoia: la casa non le sembra più sua, passa dall’igienismo maniacale alla trascuratezza e deve badare al contempo ai due figli e al cane. Mario non si fa vivo, non risponde al cellulare e i suoi colleghi di lavoro negano ogni notizia: Olga lo cerca disperatamente per trovare un aiuto. Mario vive ormai con una ragazza molto giovane e non pensa a tornare a casa.
Intanto a Torino comincia l’agosto con il suo caldo torrido, dove tutto è difficile, e la paranoia di Olga aumenta: si guasta il telefono, muore l’affezionato cane, si blocca la porta di casa, il figlio si ammala; il condominio si svuota, tranne che per la presenza di Carrano, un violoncellista che si innamora di Olga e con discrezione si occupa di lei e dei suoi figli. Ma Olga è soprattutto impegnata a guarire la sua paranoia con un rigido autocontrollo e alla fine vince con un’apertura verso la vita impensabile sino a poco prima. Smette di amare Mario, quando si fa vivo per interposta persona lo incontra con indifferenza e gli permette con la sua nuova moglie, così ama chiamarla, di vedere i bambini tutti i fine settimana. Olga riprende a lavorare come traduttrice. E’ bella e viene invitata da amici, gli uomini la corteggiano, ma non ha voglia di ricominciare daccapo e sarà poi con Carrano, già amante occasionale e amico, che ricostruirà la sua vita.
Elena Ferrante, grande scrittrice napoletana, descrive con mirabile bravura la paranoia di Olga e i rapporti con i figli piccoli di donna abbandonata, e la sua prosa ha una secchezza aspra e risentita, che le conferisce originalità e vigore.

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