8 Giugno 2016
Corriere della sera

Il saggio di Lucetta Scaraffia. La Chiesa e le donne, se l’ apertura è un ritorno alle origini

di Gian Guido Vecchi


La realtà si capisce meglio quando la si guarda dalla periferia, ama ricordare papa Francesco attingendo al pensiero della filosofa argentina Amelia Podetti. « Dall’ ultimo banco » (Marsilio), il libro di Lucetta Scaraffia sulla presenza femminile nella Chiesa, ne è una dimostrazione. In fondo all’ aula – tra non molti laici, una delle poche donne – l’ autrice ha potuto seguire da «uditrice» il Sinodo sulla famiglia. Ne ha ricavato l’ immagine di una Chiesa senza un rapporto con la sua storia, senza un confronto con il mondo esterno, soprattutto senza donne. La preposizione, «senza», scandisce i capitoli come il segno di una privazione che non ha nulla a che fare con l’ essenza del cristianesimo e anzi ne è la negazione. Ed è questa la parte più interessante, il cuore dell’ argomentazione. Docente di Storia alla Sapienza e coordinatrice del mensile «donne chiesa mondo» dell’ Osservatore romano , Scaraffia fa notare una curiosa coincidenza degli opposti: sia nelle gerarchie ecclesiali maschili che «temono» le «pretese» delle donne sia nel pensiero femminista, anche cattolico, si tende a considerare la questione come una sfida esterna dettata dalla «modernità» per «svecchiare» la Chiesa. E invece è vero il contrario, «la Chiesa deve ripensarsi dalle origini, deve capire che l’ apertura alle donne è solo il compimento dell’ antico, del messaggio evangelico». L’«uditrice» avverte negli interventi dei padri sinodali una «disinvolta ignoranza della storia». Il cristianesimo, fondato sull’ Incarnazione, è radicato nella storia. Al senso del fluire del tempo, tuttavia, si è contrapposta una teologia astorica, dottrinale, un sistema rigido e ideologico che teme ogni cambiamento e impedisce alla Chiesa di vedere e rendere conto delle proprie ragioni. Non è un accidente della storia che l’ emancipazione femminile si sia affermata, seppure contro le gerarchie ecclesiastiche, nell’ Occidente di tradizione cristiana. Nel Vangelo il tramite tra Dio e l’ essere umano è una donna; è il «sì» di Maria a rendere possibile l’ Incarnazione; è alle donne che appare per primo il Risorto. E quando Gesù dice «l’ uomo non separi ciò che Dio ha unito» non si riferisce al divorzio, che allora non esisteva, ma alla facoltà esclusiva dei mariti di ripudiare le mogli. Novità inaudite come «la parità di diritti e doveri» spiegano l’ attrazione esercitata sulle donne dal cristianesimo delle origini e la presenza nella storia della Chiesa di figure femminili che «hanno svolto ruoli decisivi, hanno parlato e sono state ascoltate»: ciò che oggi non accade. Non è questione di sacerdozio. Con le parole di Sylviane Agacinski, «l’ uguaglianza si oppone alla diseguaglianza, non alla differenza». Si tratta, per la Chiesa governata da uomini, di pensare e attingere davvero alla «differenza» femminile. Non c’ è posto per le donne quando si tratta di decidere, il «sistema chiuso» le isola, la «rivoluzione» teologica femminile è ignorata. Oltre l’ Occidente, la Chiesa «è vista come l’ istituzione che più e meglio difende la dignità delle donne», grazie alle missionarie. Eppure «sono quasi nulli» i contatti tra Vaticano e Unione delle superiori generali, «il parere delle religiose non è mai richiesto». Tante discussioni, tanti documenti angosciati su derive eugenetiche, futuro della famiglia e della Chiesa. Magari basterebbe ascoltare, finalmente, le voci dall’ ultimo banco.


(Corriere delle sera, 8 giugno 2016)

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