6 Settembre 2014
il manifesto

Jane Austen e la ricerca della felicità perduta

di Alessandra Pigliaru,

 

Sei romanzi per­fetti. Sag­gio su Jane Austen, verrà discusso in pre­senza della sua autrice Liliana Ram­pello al Festi­va­let­te­ra­tura di Man­tova oggi, alle 17.15, presso il cor­tile dell’Archivio di Stato, all’interno di una serata inti­to­lata «Riscri­vere la vita di una scrit­trice famosa». Par­te­ci­pe­ranno San­dra Petri­gnani, che racconterà di Mar­gue­rite Duras, e Anita Raja, tra­dut­trice ita­liana di Chri­sta Wolf. L’introduzione sarà a cura di Anna­rosa Buttarelli.

 

In che senso lei sostiene che Jane Austen tiene tra le sue mani il desi­de­rio di feli­cità di una donna?

La feli­cità mi è sem­brato il tema cen­trale di tutte le nar­ra­zioni di Austen per­ché lei ha in mente di rac­con­tare le forme che può pren­dere la libertà fem­mi­nile in un con­te­sto di neces­sità. La sua scrit­tura ha la forza che nasce dal rac­conto della mate­ria­lità delle vite senza che mai que­sta sia un con­di­zio­na­mento defi­ni­tivo. E lo fa a par­tire da sé. È una scrit­trice non della eman­ci­pa­zione ma della libertà: scrive sapendo che a fare la dif­fe­renza non è la «con­di­zione patita», ma la posi­zione che come autrice sce­glie. E la libertà che regala a se stessa è la mede­sima che regala alle sue pro­ta­go­ni­ste e a noi che leg­giamo, dan­doci la pos­si­bi­lità di inter­ro­gare anche il nostro pre­sente.
Mi ha sem­pre appas­sio­nato la sua straor­di­na­ria moder­nità, la capa­cità di aver capito il suo tempo, quel mer­cato matri­mo­niale che nasconde una verità pro­fonda: ovvero come alla base del con­tratto sociale ci sia il con­tratto ses­suale. In que­sta intui­zione è chiaro come lei abbia capito i mec­ca­ni­smi gene­rali del mer­cato in sé, ovvero che si con­tratta da ciò che si ha e da ciò che si è; ed è solo impa­rando a cono­scere que­sto mec­ca­ni­smo che le sue ragazze rie­scono a diven­tare pro­ta­go­ni­ste del pro­prio destino. Ben­ché sia stata spesso con­si­de­rata come una scrit­trice indif­fe­rente alla grande Sto­ria, in realtà ha colto l’essenza di una società divisa in classi e domi­nata dal patriar­cato. Ma aggiun­ge­rei anche che la libertà di una donna, la sua ricerca di feli­cità, il rico­no­sci­mento del desi­de­rio come movi­mento verso l’altro e verso il mondo, la capa­cità di scelta, il buon­senso come eser­ci­zio dell’intelligenza, la pos­si­bi­lità dell’errore, sono tutti segni della sua gran­dezza ancora oggi.

 

Nel suo libro lei spiega il pas­sag­gio da un’apparente «eco­no­mia dome­stica» a una più ampia eco­no­mia delle relazioni…

Nel momento in cui ho pen­sato che Jane Austen stesse scri­vendo un romanzo di for­ma­zione fem­mi­nile mi sono resa conto che que­sto avve­niva per­ché solo attra­verso una vera e pro­pria presa di coscienza, e accom­pa­gnata da un’altra donna, la sua pro­ta­go­ni­sta può acqui­sire la capa­cità di giu­di­zio suf­fi­ciente a sce­gliere libe­ra­mente un buon marito ed evi­tare la «sven­tura». Que­sto pas­sag­gio, se da un lato con­tra­sta for­te­mente ogni sen­ti­men­ta­li­smo e fan­ta­sti­che­ria fem­mi­nile, dall’altro indica con altret­tanta chia­rezza la capa­cità di Austen di met­tere al cen­tro del mondo le rela­zioni che legano le donne fra loro e le donne con gli uomini. Qui ci sono il pia­cere, il desi­de­rio, la sen­sua­lità, l’erotismo e la ses­sua­lità: insomma le pas­sioni, una straor­di­na­ria com­pren­sione di tutti i sen­ti­menti che legano i due sessi in amore e in conflitto.

 

Allora è pro­prio leg­gendo i suoi romanzi che pos­siamo cono­scere Jane Austen?

La sua vita è stata molto comune, nes­sun ele­mento di ecce­zio­na­lità, nes­sun eroi­smo. Non c’è nulla di nuovo dal punto di vista della sua bio­gra­fia; c’è piut­to­sto da far vedere quanto tutti i suoi temi siano una vera e pro­pria auto­bio­gra­fia. È lì che noi tro­viamo la sua lin­gua (di donna molto iro­nica), il suo sguardo (di donna acuta e spie­tata osser­va­trice), la sua intel­li­genza (di donna di buon­senso e alle­gra), la sua capa­cità di giu­di­zio (infles­si­bile, sicuro, spre­giu­di­cato nel dise­gno pre­ciso di una società senza dub­bio patriar­cale e divisa in classi).

 

Lei si è occu­pata lun­ga­mente di Virginia Woolf. La con­ti­nuità sim­bo­lica tra Woolf e Austen la pos­siamo rico­no­scere per via della genea­lo­gia fem­mi­nile e di una tra­di­zione di scrit­trici pre­ce­denti, sia per lo stesso inte­resse che muove Woolf verso Austen in più di un’occasione…

Credo ci siano delle comu­nanze tra le due: la più impor­tante è che entrambe non sono scrit­trici dell’emancipazione ma della libertà fem­mi­nile. Pen­siamo solo a come la pas­seg­giata soli­ta­ria che non manca mai per ogni pro­ta­go­ni­sta dei romanzi auste­niani, e nasce subito con Marianne in Ragione e sen­ti­mento, sia di fatto un ante­ce­dente di Una stanza tutta per sé di Vir­gi­nia Woolf, per­ché è utile a far pen­sare con la pro­pria testa quando si è con­fuse, quando si ha biso­gno di soli­tu­dine, quando si ha biso­gno di con­si­stere in sé. Pas­seg­giata e stanza sono vere e pro­prie inven­zioni simboliche.

 

La cen­tra­lità della con­ver­sa­zione per­mea tutte le nar­ra­zioni auste­niane. Cosa prende forma attra­verso que­sti magni­fici dialoghi?

Innan­zi­tutto, attra­verso la con­ver­sa­zione lei si pre­senta a noi come una vera e pro­pria erede di Sha­ke­speare, nell’uso magi­strale dei dia­lo­ghi, nel tempo delle bat­tute e nel ritmo della lin­gua. Ma ancora più impor­tanti mi sem­brano altre que­stioni. Nei suoi romanzi non esi­ste con­ver­sa­zione se non in pre­senza di una donna. La con­ver­sa­zione fa pro­gre­dire la trama come fosse un’azione vera e pro­pria, per la for­ma­zione di una donna non c’è qual­cosa da «fare» chissà quando e chissà dove nel mondo, ma qual­cosa da «dire», che va detto, esat­ta­mente in quel tempo, che sono i giorni, e in quel luogo, salotto, giar­dino o stra­dina di cam­pa­gna che sia. Que­sto uso della lin­gua mostra una mae­stria poli­tica impa­reg­gia­bile, in scena ci sono due sog­getti dif­fe­renti, entrambi attivi nello scam­bio, entrambi par­lanti, e così muore ogni pre­tesa mono­lo­gante e fono­lo­gica del maschile universale.

 

In che senso si rico­no­sce a Jane Austen «la stessa con­di­zione nella quale scri­veva Sha­ke­speare», ovvero «senza odio, senza ama­rezza, senza paura, senza pro­te­stare, senza far prediche»?

Que­sta con­sta­ta­zione è stata fatta da Vir­gi­nia Woolf in La stanza tutta per sé, dopo aver affer­mato che, in Jane Austen, genio e con­di­zioni di vita «si accor­da­vano com­ple­ta­mente», esat­ta­mente come in Sha­ke­speare. È un’affermazione con­di­vi­si­bile se pen­siamo che anche Jane Austen tra­scende la pro­pria con­di­zione mate­riale nello slan­cio di una mente «andro­gina» che vuole guar­dare l’infinito della sua libertà, ovvero non dimen­tica di essere una donna, ma tra­scende il suo sesso facen­done la leva di una libera inter­pre­ta­zione del mondo.

 

Come viene accolto un volume di cri­tica let­te­ra­ria in Ita­lia oggi?

Non mi sem­bra ci sia una grande atten­zione. Sicu­ra­mente, ha a che vedere anche con la tra­sfor­ma­zione dei pro­grammi sco­la­stici e uni­ver­si­tari e delle stesse disci­pline. Que­sto incide sullo stu­dio della let­te­ra­tura che, a mio avviso, è uno dei più impor­tanti ambiti in cui si pos­sono cono­scere e stu­diare le rela­zioni umane. L’indifferenza verso lo svi­luppo di uno stru­mento come quello della cri­tica let­te­ra­ria riduce la pos­si­bi­lità di capire la straor­di­na­ria ric­chezza dei lin­guaggi della nar­ra­zione, con la loro capa­cità di inter­pre­tare la realtà che ci cir­conda. In realtà sarebbe un momento neces­sa­rio di ogni per­corso di conoscenza.

 

(il manifesto, 6 settembre 2014)

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