24 Febbraio 2013
Alias - il manifesto

La badessa perentoria

di Graziella Pulce

«Dritta, alta, porta occhiali dalla montatura severa, di altri tempi… saluta con antica gentilezza.» Così Giorgio Boatti presentava Madre Ignazia Angelini, badessa del monastero benedettino di Viboldone, centro di spiritualità e di lavoro e una delle prime tappe del percorso che aveva portato lo scrittore appunto Sulle strade del silenzio. E Madre Angelini aggiunge ora questo Mentre vi guardo La badessa del monastero di Viboldone racconta (a cura di P. Pozzi, Einaudi, pp. 119, € 14,50) ai precedenti suoi testi di meditazione. La voce è limpida e perentoria: sul solco dell’esempio e della regola di Benedetto da Norcia l’autrice mette a tema l’imperfezione, condizione non accidentale ma costitutiva dell’essere umano. Il linguaggio è essenziale, privo di qualsiasi indugio retorico o letterario, rapido nella sintassi e preciso nei riferimenti, teso a escludere ogni forma di blandizie e di elusione.

Anche quando scrive, la badessa di Viboldone produce un effetto di operosità serena e fattiva: la scrittura, come ogni altra opera, è obbedienza e risposta a un imperativo categorico. Tra i riferimenti, oltre quelli numerosi al santo fondatore, altri meno scontati, come Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil, Fëdor Dostoevskij, Elizabeth Jennings. Il monastero di Viboldone è celebre per gli affreschi di scuola giottesca e per l’alta specializzazione delle monache nel restauro di manoscritti, libri antichi e pergamene, ma il senso del monastero non si identifica con l’arte, né con il pur prezioso lavoro di restauro: le monache, che non sono isolate dal mondo e non hanno operato tale scelta per fuggire dalla realtà, sono le custodi della sacralità dei luoghi, dei silenzi e del sistema agricolo-economico nel quale sono radicate. La comunità rivela infatti una personalità di ferro quando si tratta di territorio, protezione dei luoghi di arte e di fede e senza incertezze si è opposta alla costruzione di residence di lusso nella zona. Queste monache laboriose e inflessibili, cui non interessano il denaro o il potere e perfettamente in linea con il precetto benedettino della Xeniteia, il «farsi estraneo ai costumi del mondo», sono per l’accoglienza e l’ascolto, in particolar modo del giovane e dello straniero.

Nessuna meraviglia che comunità come queste siano guardate con circospezione dai vertici (maschili) della gerarchia, dai «signori di curia». Non sono quelle di Madre Angelini parole sommesse di pace facile, di vita comoda al riparo dai problemi del momento storico presente, e queste pagine non sono il prodotto di una mente individuale, ma ingiunzioni pressanti di un’entità collettiva, corale. Dunque il libro costituisce il richiamo autorevole a una modalità alternativa di vita sociale e religiosa, a un progetto e un processo di ricerca e di esperienza che necessita di un impegno quotidiano fortemente combattivo e condiviso.

Mentre vi guardo suona perciò come preghiera e come profezia, nell’imminenza di tempi che si annunciano bui e difficili, da affrontare dando corso compiuto agli auspici del Concilio Vaticano II. Non mancano infatti nette prese di distanza con chi all’interno della Chiesa, la «Chiesa santa e peccatrice» cui si riferisce la badessa, è abbagliato e condizionato dal denaro e dal potere e senza giri di parole l’autrice indica specificamente le comunità monastiche femminili quali modelli di vita autentica, capace di rispondere alle domande dell’umanità oggi come ieri. E agli occhi di chi legge il richiamo esplicito a considerare le analogie riscontrabili tra la situazione attuale e quella del IV-V secolo di Benedetto suona come un allerta e coinvolge oltre i valori della fede anche quelli più terreni delle oscillazioni di borsa, dei tassi di occupazione e dei salari. Il testo prende maggiore forza dal fatto che il soggetto è realmente ecclesiale, collettivo, che vive e propone modelli alternativi di fede e lo fa da un luogo remoto, intenzionalmente decentrato e lontano dai crocevia del potere. Le benedettine di Viboldone, libere perché non hanno bisogno di nulla, si inscrivono nella storia della spiritualità femminile ricca di esempi luminosi e di testimonianze scritte che hanno segnato percorsi nuovi tanto in teologia quanto nella letteratura.

Basta pensare a Caterina da Siena per comprendere quanto donne come queste siano in grado di esercitare quel magistero che la chiesa ufficiale sembra avere smarrito.

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