21 Gennaio 2004

“La bambinaia francese” di Bianca Pitzorno

Donatella Massara

Non avevo mai letto un libro di Bianca Pitzorno; ne conoscevo però la bravura. La Bambinaia francese quando era arrivato in libreria mi aveva fatto venire voglia di leggerlo perché se la sua autrice aveva dedicato energie per un libro così, certamente voleva dirci qualcosa.

L’autrice ha risposto all’invito che le aveva rivolto Liliana Rampello a presentare il suo romanzo al Circolo della Rosa, ho avuto così modo di sapere che fra le protagoniste del suo romanzo si dipana la genealogia femminile.
Poi c’è altro. E’ il dialogo con la letteratura non solamente femminile che Bianca Pitzorno intrattiene in questo romanzo, autorizzandosi e autorizzandoci a discutere e rinterpretare. In questa perlustrazione l’autrice segue la suggestione che ha guidato Jean Rhys in Il Grande mare dei Sargassi, storia di Berta, la moglie creola e pazza che nel romanzo di Charlotte Brontë impedisce le prime nozze di Jane Eyre. L’autrice invece si rivolge a Sophie, la bambinaia d’Adele la bimba affidata alle cure di Jane Eyre. Inseguendo le tracce che la Brontë sparge la legge come protagonista del suo romanzo, ne racconta la storia, la ricolloca nell’infanzia, a Parigi, la insegue fino all’incontro con Jane Eyre. A queste pagine che sono le più intriganti del romanzo, arriviamo dopo tre quarti di narrazione dove un accurato affresco storico ci porta nella vita delle donne e degli uomini che fanno parte dell’universo di Sophie, come delle giovanette e dei giovanetti che partecipano agli anni della sua crescita.
Il romanzo mi è piaciuto perché è sia un gioco letterario, avventuroso e educativo sia un raffinato esercizio d’introduzione all’immaginario femminile. Al centro di questa convergenza di motivi, anche molto soggettivi, l’autrice ci dice che il romanzo di Ch. Brontë mantiene la grandezza del capolavoro; è ancora perfettamente leggibile e in grado di tenere sveglia l’attenzione e tanto più avviene quando ci accorgiamo in quale coinvolgimento Bianca Pitzorno è stata catturata; scopriamo che Jane Eyre, fra i suoi tanti meriti, esibisce anche rigide angolature per esempio il giudizio negativo con cui il mondo inglese guardava al popolo francese che aveva vissuto la Rivoluzione del ’79 e il periodo napoleonico. Adele nel romanzo di Brontë assomma su di sé le caratteristiche di questo mondo francese, giudicate con gli occhi disapprovanti delle inglesi. Jane Eyre alla riprovazione accompagna la mancanza di tenerezza verso la bambina. L’istitutrice e il suo tormentato amore per il padrone non sono privi di conseguenza, dunque, verso la bambina e la sua bambinaia che osservano e giudicano.
La scrittrice si prende le sue rivincite, dunque, dopo avere raccontato la crescita dei protagonisti e le vicende storiche a cui assistono.
Bianca Pitzorno con questo romanzo ci lascia lo spazio libero per provare piacere con la sua fertile immaginazione, per metterci alla prova con la storia delle donne e degli uomini, giovani e non giovani, protagoniste/i della fine dell’ancien régime e per rientrare nella letteratura delle grandi narrazioni femminili sfidandoci a diventarne le interlocutrici.

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