11 Ottobre 2019

La carta coperta. Il passaggio segreto

di Luisa Muraro


Noi non “abbiamo” un corpo, noi siamo corpo: corpo vivente (che nasce, cresce, invecchia e muore), sessuato (che si riproduce incrociandosi con un altro umano di sesso differente), senziente, desiderante e parlante (parlante almeno una di una miriade di lingue diverse). Noi non ci definiamo con l’avere, ma con l’essere. E in tal senso siamo profondamente uguali, perché le differenze che siamo non rompono l’essere, non lo fanno in tanti pezzi di diverso valore. Questo è il pensiero della differenza, un pensare le differenze senza fare a pezzi l’essere. Lo ha inaugurato il femminismo degli anni Settanta del secolo scorso, che poi verrà chiamato femminismo della differenza.

In precedenza il traguardo femminista era (anzi, doveva essere) quello dell’emancipazione e della parità, basato su un ideale di progresso di cui l’uomo di sesso maschile si credeva la misura. Era una presunzione che sarà smascherata nei fatti dalla prima guerra mondiale e messa in questione, nella nostra cultura, dalla scoperta dell’inconscio: una differenza, quest’ultima, che fino allora aveva parlato con la sofferenza e i sintomi dovuti alla repressione.

La scoperta dell’inconscio è stata genialmente ripresa da alcune femministe (ne cito due, collegate fra loro, Luce Irigaray, l’autrice di Speculum, e Antoinette Fouque, fondatrice di Psychanalise et Politique). E ci ha aiutato a concepire il senso libero della differenza sessuale, da innestare nella lotta per la libertà femminile.

Una parte del femminismo ha respinto Freud a causa della sua mancata presa di coscienza del dominio sessista, con quello che ne seguiva per la sua teoria della sessualità femminile. Una parte, invece, lo ha autonomamente ripreso in due punti d’incrocio: la possibilità di dare parola a ciò che era muto e la necessità dell’essere in relazione perché ciò avvenga.

Questo, molto in breve, lo sfondo su cui spiccano i contributi raccolti da Chiara Zamboni con il titolo La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe (Moretti e Vitali, Bergamo 2019). Se si volesse collocare il libro in una biblioteca secondo i criteri classici, bisognerebbe averne almeno tre copie da mettere, rispettivamente, in tre diverse sezioni: politica, psicanalisi, filosofia. Non è che manchi di richiami interni e di rispondenze profonde; i singoli testi sono parecchio differenti ma tra loro c’è l’affinità di un sapere in movimento. Si muove come fa la lava che cambia i paesaggi.

Il titolo è un’ironia, perché io ho parlato di “scoperta” e questo invece parla di “coperta”. Chi ha ragione?

La parola “scoperta” appartiene a una retorica piuttosto possessiva e semplificatrice, lo confermano le scoperte che vanno ufficialmente sotto questo nome, in primis quella dell’America nel 1492. Le vere scoperte sono quelle che, quando volti la carta che era coperta, scopri di giocare un gioco che non è quello che credevi (forse, Colombo è stato sul punto di arrivarci).

Le vere scoperte ti fanno sentire che c’è altro ma non soltanto fuori da te, c’è anche in te, senza soluzione di continuità tra dentro e fuori. La famosa oggettività scientifica, tanto pregiata, ne è scossa, ma la conoscenza del vero no, anzi. Indubbiamente, la cosiddetta scoperta dell’inconscio ha questo tipo di eccellenza, ma Freud, che in ciò era un uomo del suo tempo, aspirava all’oggettività.

Che nome usare, se non vogliamo parlare di scoperta dell’inconscio? Il sottotitolo del libro parla chiaro, si tratta dell’inconscio nelle pratiche femministe. La cosiddetta pratica dell’inconscio è durata poco, ma ha contato molto in un movimento politico che scommette non sulla rivendicazione della parità ma sulla presa di coscienza e di parola. Penso specialmente alla pratica del partire da sé, cui Diotima ha dedicato un grande seminario riversato in uno dei suoi libri, La sapienza del partire da sé (Liguori, 1996). Anche La carta coperta, va detto, è il frutto di un’iniziativa della comunità filosofica dell’università di Verona.

La pratica del partire da sé è la strada di una radicalità non ideologica, da una parte, né distruttiva, dall’altra. È il crinale della politica di cambiamento. Alla mia immagine della lava che cambia il paesaggio bisogna aggiungere quella della verzura. Sono immagini contrastanti, per forza di cose. Infatti, si tratta di agire nelle opposte direzioni del dentro e del fuori, non più separate. E come? Per rispondere alla domanda, in un testo destinato a lettrici anglofone, ho coniato questa formula: the inner passage, il passaggio interno, trovata per intuizione, senza riuscire a spiegarla. Ma questo libro ci riesce.


(www.libreriadelledonne.it, 11 ottobre 2019)

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