21 Gennaio 1998

“La fidanzata di Achille” di Alki Zei

Anna Paini

Mi sono avvicinata ad Alki Zei, scrittrice molto nota in Grecia per i suoi libri per l’infanzia e l’adolescenza, e al suo La fidanzata di Achille (1987), romanzo invece destinato al mondo degli adulti, tramite amici greci che me ne hanno consigliato la lettura alla vigilia di un viaggio.
La narrazione si fa subito avvincente perché l’autrice riesce a intrecciare il racconto biografico a un percorso collettivo, il sé e il noi restituendoci una storia ricca, che vede come protagonista Dafne/Elena in un arco temporale che va dagli anni Trenta e Quaranta quando Dafne quindicenne entra nella Resistenza greca agli anni Settanta che vedono Elena esule. Uno dei fili conduttori tra i tanti temi del romanzo, alcuni più esplicitati altri presenti in filigrana, resta quello dell’incontro della protagonista con l’altro, altra da sé nel proprio paese (Grecia) e là dove vive l’esperienza di profuga (Mosca) e di esule (Parigi).
Il romanzo si apre su un set cinematografico a Parigi dove la protagonista ha trovato lavoro come comparsa con altri amici greci fuoriusciti; il piano del presente si alterna e si mescola con quello dei ricordi, dalla terza persona dell’oggi si passa all’io narrante della memoria. Momenti della storia greca ed europea sono rievocati in questo viaggio che sostanzialmente è l’itinerario interiore di una donna che cerca di prendere in mano i fili della propria vita e di riannodarli, di dare un senso, un ordine che le appartenga e non lasciarli in balia degli eventi politici.
Diventata madre di Dafnula, Elena resta sempre l’eterna “fidanzata di Achille”. A lungo anche lei vive di e per questi ricordi e nostalgie, ma arriva a rendersi conto che non le corrispondono più. Con parole leggere ma incisive Alki Zei dà conto di una capacità femminile di valorizzare il quotidiano, le cose semplici sacrificate a un perenne eroismo.
Alcuni dei tanti personaggi che popolano il libro, ciascuno, ciascuna nella sua singolarità, restano indimenticabili. Penso per esempio alla figura del dissidente Michail Grigorievic, cacciato dall’Università e recluso in una piccola cittadina perché si rifiutava di bocciare ottimi studenti: “Non ho mai accettato di insozzare il nome di maestro”. La bravura di Alki Zei emerge anche quando ricorre a rapide ed efficaci pennellate per introdurre le tensioni presenti tra i profughi greci: “Da molti giorni le poche famiglie che vivono in questa casa si sono divise in due schieramenti: le une sotto la buganvillea, le altre sotto il pergolato”.
E’ un romanzo che racconta anche di noi. Esule a Parigi, Elena non accetta i vestiti in buono stato ma fuori moda che un’amica parigina, attaccata a un’immagine di esule bisognoso, le offre e inutilmente spiega il motivo del suo rifiuto: “Noi in Grecia ci vestiamo bene”. Un giorno, sempre alle prese con la stessa questione, Elena aggiunge: “gli Spartani prima di andare in battaglia si lavavano i capelli e si vestivano a festa”, e questo richiamo storico fa breccia nella sua interlocutrice; allora le torna in mente il commento di un caro amico e compagno: “Con gli stranieri perché ti capiscano, devi sempre mettere nel discorso anche una colonna del Partenone”. Anche questo modo un po’ ironico di mostrare come noi raccontiamo gli altri è un motivo in più che mi ha fatto apprezzare Alki Zei.
Ottima la traduzione, trovo invece poca corrispondenza tra immagine di copertina e testo (almeno nell’edizione che mi è capitata tra le mani).

Print Friendly, PDF & Email