6 Settembre 2015
Alias - il manifesto

L’umana esistenza come somma di pensieri ridicoli

di Graziella Pulce

Fitto di intrecci ina­spet­tati e di colpi di scena, il quinto romanzo che Iris Mur­doch pub­blicò nel 1961 e dal quale trasse una pièce tea­trale nel ’64, esce in una nuova tra­du­zione (di Gioia Guer­zoni, a cura di Cri­stina Tizian, Il Sag­gia­tore, pp. 251, euro 19,00). Una testa tagliata è una sto­ria poli­cen­trica che si sot­trae a inter­pre­ta­zioni uni­vo­che e sem­pli­fi­ca­trici ed esige una let­tura cir­co­stan­ziata, lungo le tra­iet­to­rie impre­ve­di­bili dei per­so­naggi asse­diati dalla neb­bia di Lon­dra. Pro­ta­go­ni­sta Mar­tin, qua­ran­tenne com­mer­ciante di vino, spo­sato con Anto­nia che tra­di­sce con la gio­va­nis­sima Georgie.

Quando Anto­nia gli annun­cia la sua rela­zione con Pal­mer, il suo psi­coa­na­li­sta e grande amico di Mar­tin, l’uomo vede crol­lare in un attimo quel mondo ordi­nato che cre­deva di poter tenere sal­da­mente sotto con­trollo. Altre rive­la­zioni segui­ranno e i sette per­so­naggi (tre uomini e quat­tro donne) che com­pa­iono nel romanzo saranno coin­volti in un suc­ce­dersi di muta­menti repen­tini quanto immo­ti­vati. Cia­scuno muta aspetto, dire­zione, volontà come se un dio potente, cui nes­suna forma può essere pre­clusa, sce­gliesse gli esseri umani e li gestisse a pro­prio pia­ci­mento come marionette.

La vicenda prende ini­zio dalla deci­sione di Anto­nia di rom­pere con il marito, e una delle chiavi del romanzo può tro­varsi nel gioco delle cop­pie che si for­mano e si scom­pon­gono con­ti­nua­mente sotto i nostri occhi. Molto rilievo è stato dato alla figura enig­ma­tica e sini­stra di Honor, sorella di Pal­mer, che incombe come una divi­nità capace di rimet­tere in moto ogni situa­zione. Ma Honor, con il suo auto­con­trollo e la sua con­sa­pe­vo­lezza, è sem­pli­ce­mente la figura anti­po­dale di Mar­tin, che narra in prima per­sona e fil­tra dun­que l’insieme degli eventi dalla sua pro­spet­tiva, così che il let­tore crede di cono­scerne pen­sieri, esi­ta­zioni e gesti. È un essere moral­mente flut­tuante, immerso in una sorta di neb­bia che non è solo quella tipica della metro­poli lon­di­nese, ma che si eleva a ele­mento sim­bo­lico della inca­pa­cità di vedere e di com­pren­dere. Mar­tin non rie­sce a impa­rare dall’esperienza. Di Honor non si sa nulla se non che ha tratti ebraici e mani­fe­sta la durezza di un angelo ven­di­ca­tore, un angelo prov­vi­sto di spada. Quando lei com­pare qual­cosa di irre­pa­ra­bile sem­pre accade.

Una testa tagliata è una com­me­dia che sfiora con disin­vol­tura temi clas­sici: l’amore, l’amicizia, la lealtà, la libertà, temi tut­ta­via attra­ver­sati in maniera del tutto irri­flessa dalla mag­gior parte dei per­so­naggi, segnati da un’evidente imma­tu­rità. «L’amore è la capa­cità di cogliere l’individuale. Amore signi­fica com­pren­dere», ha scritto Iris Mur­doch in uno dei suoi saggi. Ele­mento cru­ciale nella nar­ra­tiva e nella filo­so­fia dell’autrice, l’amore è infatti la con­di­zione che con­sente di uscire da sé, l’unica che per­mette di pren­dere coscienza di ciò che non è io e di instau­rare con que­sta realtà esterna una rela­zione pro­dut­tiva. Amore e cono­scenza, eros e sapienza non risul­tano mai tanto pros­simi come in Iris Mur­doch, che ha scritto di sé: «Sono oscura a me stessa, non coin­cido con la mia vita», e ha dedi­cato la pro­pria opera filo­so­fica e nar­ra­tiva allo spa­zio che inter­corre tra l’accidentalità dell’esistenza, gover­nata da strut­ture dure come divi­nità pagane, e la pie­nezza della vita e delle sue innu­me­re­voli potenzialità.

Eppure que­sta è una com­me­dia: si sus­se­guono sco­perte e colpi di scena che disat­ten­dono ogni aspet­ta­tiva, si cam­bia casa o part­ner con leg­ge­rezza e faci­lità, gli amanti ven­gono abban­do­nati quando si riten­gono all’apice della loro for­tuna, si sco­prono verità amare, ma nulla di dram­ma­tico accade, per­ché ognuno viene subito assor­bito nel gioco di sedu­zione e di potere di un altro per­so­nag­gio. Il vento delle pas­sioni sof­fia dove vuole senza discer­ni­mento, e ben pre­sto tutto diventa comico per­ché nulla ha mag­giore durata di una sbronza o di un sogno. Joyce Carol Oates ha osser­vato che con la sua sequenza di delu­sioni e i suoi per­so­naggi pastic­cioni, la cosmo­lo­gia di Iris Mur­doch pre­senta una vita dopo tutto comica, per nulla tra­gica. Anche Una testa tagliata con­ferma che l’esistenza è nient’altro che una somma di pen­sieri e di atti ridi­coli. «Non riu­scivo ad imma­gi­nare che esi­stesse un essere onni­po­tente e sen­ziente tanto cru­dele da aver creato il mondo in cui viviamo», riflette Mar­tin che infatti si aggira senza meta in una realtà priva di fon­da­menti morali. Quando si trova alle strette sa solo vagheg­giare il ritorno agli amati studi sto­rici su Wal­len­stein e Gustavo di Sve­zia, e que­sto par­ti­co­lare costi­tui­sce un indi­zio signi­fi­ca­tivo, per un verso comico vista la debo­lezza e la pochezza di Mar­tin, per l’altro verso sim­bo­lico: per­ché allude alla vio­lenza e agli intri­ghi delle bat­ta­glie che hanno luogo tra i per­so­naggi del romanzo.

«La nostra imma­gi­na­zione è imme­dia­ta­mente e con­ti­nua­mente al lavoro sulla nostra espe­rienza»: la nota risale al ’47 e aiuta a con­si­de­rare con mag­giore atten­zione il sor­pren­dente titolo del romanzo, che si rife­ri­sce alle teste che Ale­xan­der, lo scul­tore fra­tello di Mar­tin, rea­lizza pren­dendo come modelli fami­liari e amici. Di lui non cono­sciamo molto ma sap­piamo che ottiene quello che vuole senza sforzi e le sue ‘teste’ rive­lano la loro natura di ele­mento arcaico del potere. Masche­rato dalle regole della civiltà, il pri­mi­tivo agi­sce fino ad oggi e l’artista come un guer­riero esi­bi­sce ciò che ha con­qui­stato: in que­sto caso, una donna. Seb­bene l’autrice pre­senti il per­so­nag­gio dello scul­tore in una posi­zione defi­lata, pro­prio su di lui potrebbe con­ver­gere l’insieme delle sto­rie, per­ché Ale­xan­der si rivela ben capace di muo­vere fili invi­si­bili per far cadere la preda nella sua rete: un tema pros­simo a quello dell’Incantatore.

Le sto­rie di Iris Mur­doch si sot­trag­gono a una siste­ma­tiz­za­zione ulti­ma­tiva e anche que­sta resta di fatto incom­pleta e in gran parte inspie­gata, a dimo­stra­zione del fatto che la cono­scenza razio­nale non arriva mai a cogliere per intero gli acca­di­menti della vita. Filo­so­fia e let­te­ra­tura ten­dono alla con­qui­sta della verità, che passa sem­pre attra­verso il tes­suto dell’esperienza, ele­mento deci­sivo su cui ha richia­mato l’attenzione Luisa Muraro, quando – ana­liz­zando gli scritti filo­so­fici di Iris Mur­doch – ha dimo­strato come per lei l’esperienza resti cen­trale e diventi auten­tica quando arriva a inve­stire il piano sim­bo­lico e dun­que ad acco­gliere l’impensato. Non pos­siamo infatti tra­scu­rare il fatto che i due per­so­naggi cui spetta un ruolo cru­ciale, Honor e Ale­xan­der, sono gli unici a esi­bire il frutto della loro espe­rienza, e del loro potere, con­cen­tran­dolo in un oggetto: la spada giap­po­nese che Honor maneg­gia con peri­zia davanti a Mar­tin, e la testa tagliata scol­pita da Ale­xan­der: tra­mite que­sti due oggetti il let­tore saprà che chi li pos­siede non ha vis­suto invano e nel cuore della vita ha ripor­tato un segno tan­gi­bile di vittoria.

Nell’ultima pagina del romanzo Honor evoca la sto­ria di Can­daule e Gige, rife­rita da Ero­doto, miste­riosa e tru­cu­lenta nella spro­por­zione tra l’errore – mostrare la nudità della pro­pria moglie a un estra­neo – e le sue con­se­guenze, che sono la morte di Can­daule e la con­qui­sta di un regno da parte di Gige. Tanto alta dun­que la posta in gioco della sfida lan­ciata da Honor a Mar­tin, a con­ferma del fatto che un’esperienza cru­ciale può com­por­tare vio­lenze non ripa­ra­bili e, insieme, acqui­si­zione e possesso. Solidarność

 

(Alias – il manifesto, 6/9/2015)

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