9 Marzo 2006
il manifesto

Memorie di amanti su sfondi marocchini

Negli appunti di Juan Goytisolo titolati Hya, Ella, Elle, un doloroso collage di ricordi in presa diretta, pubblicati da Fennec di Casablanca, in una edizione trilingue, araba, spagnola e francese. Protagonista di queste pagine la sua compagna, Monique Lange, biografa di Cocteau e di Edith Piaf, sceneggiatrice per Rossellini e De Seta, di cui le edizioni Cargo ora ripubblicano I pescigatto
Marco Dotti

Scritti nell’ottobre del 1996, all’indomani della scomparsa di Monique Lange, sua complice e compagna di vita, gli appunti di Juan Goytisolo titolati Hya, Ella, Elle sono un doloroso collage di ricordi in presa diretta, che appaiono ora, a dieci anni di distanza, per le edizioni Fennec di Casablanca, in un’agile, ma raffinata edizione trilingue in arabo, spagnolo e francese. Una scelta non casuale perché, ben più della Parigi delle chiacchiere spese nei bistrot, a fare da sfondo agli incontri felici, ai sogni, alle inevitabili, ma non meno laceranti, incomprensioni di questa bizzarra coppia di amanti fu sempre e soltanto il “crogiuolo estraniante” del Marocco, con le sue lingue, la sua luce e il vento che taglia con rabbia la costa atlantica di Rabat. La “solitudine e l’egoismo” che la scrittura richiede, al pari di quelle incomprensioni, pesano ancora oggi, più di ogni altra cosa, nel dialogo straziante che Goytisolo riattiva con la sua “lei assente”. Nata, nella Parigi dei primi anni Venti, da una famiglia altoborghese che vantava legami di parentela illustri – tra gli altri Henri Bergson e Emmanuel Berl – figlia di un giornalista di cui ha ripercorso la storia e i rapporti in uno dei suoi ultimi lavori titolato Les cahiers déchirés, dopo l’infanzia passata in Indocina Monique Lange iniziò a lavorare come segretaria di redazione presso la casa editrice Gallimard. Fu proprio lì che, nel 1955, conobbe Goytisolo, giovane esiliato dalla Spagna franchista. Ne nacque una passione che, ben presto, li avrebbe portati al matrimonio. Al di là delle circostanze private, il loro incontro fu mediato, e in qualche misura favorito, da un “terzo” incomodo d’eccezione: Jean Genet. Proprio Genet, che era allora tra i migliori amici della Lange, avrebbe in seguito segnato l’esperienza artistica e di vita di Juan Goytisolo, lasciando nella sua opera tracce e ferite la cui eco ancora si fa sentire. Nelle Settimane del giardino – tradotto da Glauco Felici per Einaudi un paio di anni or sono -, libro che attiene alla produzione tarda e più sperimentale dello scrittore catalano, tra le vicende che fanno da sfondo alla ricerca dell’identità perduta del suo alter ego, il poeta omosessuale Eusebio, appaiono, più di una volta l’ombra di Genet e della sua tomba (Genet riposa in Marocco, in un cimitero sconsacrato, nei pressi di Tangeri, città d’adozione di Goytisolo). Infine, Genet riappare, direttamente nel cuore del romanzo, nelle vesti di un insolito marabutto, un uomo toccato dalla grazia, che ai più “appariva degno di ogni commiserazione”. Peccatore e pederasta, se durante la sua vita esibiva ostentatamente in pubblico ogni sorta di infrazione ai codici della legge e della religione, dopo la sua morte, come un santo “toccato dalla luce” e da quella particolare forma di benedizione che si è soliti definire col termine baraka, divenne oggetto di venerazione. “Le donne, allora, andavano sulla sua tomba, per riceverne il dono della fertilità”. Al di là degli aspetti romanzati, la presenza di Genet si rivela inestricabile persino dagli aspetti più intimi della vicenda della coppia; ma, non di meno, con la sua “carica di omosessualità eversiva” (a cui Goytisolo, empiamente, allude parlando di baraka) egli si rivelò in grado di segnare gran parte della sfera privata della vita di entrambi, e di Monique Lange in particolare. Biografa di Cocteau e di Edith Piaf, sceneggiatrice per Rossellini e Vittorio De Seta, scrittrice e militante della sinistra, nel 1959, quattro anni dopo il matrimonio con Goytisolo,Monique Lange diede infatti alle stampe Les poissons-chats, un romanzo breve di diretta ispirazione “genetiana ” in cui viene descritta la sofferta e ambigua educazione sentimentale della giovane Anne. Incapace di mettersi in relazione con compagni che non sanno darle l’unica cosa di cui avrebbe bisogno – “Bernard mi insegnava tutto. Parigi, la pittura, il flamenco, Monteverdi, la danza, gli alberi. M’insegnava tutto, tranne l’amore” – , Anne riceve la propria iniziazione sentimentale da una coppia di omosessuali, i “pescigatto ” che danno il titolo al volume, i quali la introducono nella loro “vita artificiale”, ma sono i soli capaci di strapparla da un’infelicità ricorrente, “con quel loro modo di fare frivolo, spensierato, tenero e con la loro capacità di prendersi in giro”. Apparso da Einaudi nel 1960, e ben presto finito fuori catalogo, I pescigatto viene ora riproposto, nella nuova traduzione di Sara Levi, con una nota di René de Ceccaty, dalle edizioni Cargo (pagine 90, euro 8). Una iniziativa intelligente, non solo come omaggio alla Lange, ma anche per quanto emerge dalla forza diretta del testo: il rapporto straziante, quasi melanconico, di una giovane donna che cerca di prendere coscienza del proprio corpo, e solo in parte vi riesce. Una coscienza di sé che passa, tragicamente, anche per il travaglio di un aborto clandestino resosi necessario dopo la sua prima esperienza, manco a dirlo incauta e frustrante, con un uomo ripugnante e privo di sentimenti. “Cominciò allora per me”, confessa la protagonista, “quell’orribile e affannosa ricerca, che quasi tutte le donne conoscono, di qualcuno disposto a farmi abortire. Non volevo dirlo a nessuno. Cercai nell’elenco telefonico quei nomi di ginecologi che mi sembravano più umani. Fu atroce”. Alla fine, ad aiutarla fu un indifferente ragazzo dagli occhi azzurri. Freddo, silenzioso, non chiese nulla, fissò un appuntamento, “mi addormentò e mi liberò”. Una esperienza descritta anche da Violette Leduc nella Bastarda, libro che andrebbe letto in controluce con quello della Lange, proprio perché capace di rendere a pieno quella particolare dimensione della solitudine che genera “un dolore secco e una infelicità che ti entra nelle ossa”. Anche nel caso della Lange abbiamo a che fare con una donna che, per riprendere le parole con le quali Simone de Beauvoir introduceva La bastarda, “scende in ciò che è più segreto in lei, e si racconta con sincerità inaudita, come se non ci fosse nessuno ad ascoltarla”. Nella foto in alto Jean Genet. Sotto, Juan Goytisolo

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