9 Settembre 2012
Alias

“Morante” di Elsa Morante

 


di Elisa Donzelli

Il 2012 è anche un centenario femminile e l’Italia dovrebbe bearsene. Oltre a Giorgio Caproni e a Giovanni Macchia, nel 1912 sono nate Joyce Lussu (scrittrice-partigiana traduttrice di Nazim Hikmet), Antonia Pozzi (poetessa legata al gruppo milanese di Antonio Banfi) ed Elsa Morante. Della scrittrice romana negli ultimi mesi si è parlato in un convegno tenutosi a Madrid e soprattutto attraverso coloro che l’hanno conosciuta per davvero, testimoni preziosi di incontri fatali spesso decisivi per le proprie sorti letterarie. Molte sono state le letture radiofoniche e crescono le iniziative previste per l’autunno, in testa a tutte quelle organizzate dalla Biblioteca nazionale di Roma tra cui una mostra a ottobre e un seminario di studi a dicembre. Ma un centenario che porti con orgoglio i suoi anni non dovrebbe trascurare gli esordi di uno scrittore. Perché, prima di conquistarselo questo podio secolare, un autore – che in questo caso è poi la nostra più ‘straordinaria’ narratrice – ha dovuto scontare il peso della sua giovinezza. C’è una Elsa Morante degli anni trenta e dei primi anni quaranta che ha fatto parlare di sé molto più di quanto non facciano le sue liti con Alberto Moravia o le reazioni leggendarie che suscitava nel mondo della letteratura. È la Elsa dei venti e trent’anni, prima della guerra e prima che, a guerra finita, nascesse la Repubblica votata dalle donne. Prima insomma della grande virata al romanzo con quel libro visionario e ottocentesco, uscito nel 1948, che è Menzogna e sortilegio e che György Lukács definirà “il più grande romanzo italiano moderno”. Su questa Elsa – che è quella dei racconti e delle fantasie per bambini in parte confluiti nel Gioco segreto del 1941, nelle Bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina del 1942 e in misura minore nello Scialle andaluso del 1963 – aveva lavorato soprattutto Cesare Garboli. Sin da ragazzina di racconti la Morante ne aveva scritti a ritmi serrati “con una media di uno ogni venticinque giorni per nove anni filati”. Di tutta quella gran produzione qualcosa aveva ripreso in volume e qualcos’altro – che lei stessa giudicava “decisamente brutto” – lo aveva rifiutato. Una quindicina di anni dopo la morte della scrittrice, Garboli aveva raggruppato alcune di quelle primissime prove considerandole “antefatti essenziali” per comprendere una delle intelligenze e delle personalità letterarie più acute del Novecento. Erano nati così, nel 2002, i Racconti dimenticati: “un atto dovuto” all’amica e al pubblico “differenziato” e “indecifrabile” dei lettori nuovi. Preoccupato per il destino dei suoi scritti, il critico viareggino sapeva che l’immagine di Elsa – quella stregata delle fotografie immerse tra i gatti – avrebbe continuato a suscitare un ventaglio incredibile di attenzioni da parte di intellettuali, artisti e cantanti pronti a considerarla al vertice di ogni incantevole e incantata vocazione femminile. Adesso la voce vera di Elsa Morante potremo continuare ad ascoltarla in autunno quando Einaudi celebrerà la scrittrice mandando in libreria gli epistolari inediti intitolati L’amata. Lettere di e a Elsa Morante, frutto dell’amorevole cura di Daniele Morante (leggeremo le lettere con Moravia, con Pasolini, con Giacomo Debenedetti ma anche quelle private con gli amori e gli amici). Prodigi degli scrittori veri che cent’anni non li dimostrano affatto se da qualche parte nascondono ancora segni tangibili della propria vitalità letteraria. Tanto vale allora ricordare ai lettori che quanto Elsa Morante aveva scritto non è ancora del tutto esaurito visto che – accanto a quelli selezionati da Garboli e accanto alle lettere di prossima uscita – una trentina di racconti restano dispersi su giornali e riviste degli anni trenta. Da piccola Elsa non aveva frequentato le scuole elementari ed era la prima di quattro fratelli – Aldo, Marcello eMaria (un primo fratello Mario era morto in fasce) -, figli naturali della maestra ebrea Irma Poggibonsi e di Francesco Lo Monaco ma figli anagrafici di Irma e di Augusto Morante. Già al ginnasio andava scrivendo storie da raccontare ai fratelli minori (considerati all’epoca “gli unici lettori suoi”) che tra il 1933 e il 1942 sarebbe riuscita a pubblicare sui settimanali “I diritti della scuola”, “Il corriere dei piccoli”, “Oggi” e “Meridiano di Roma ” firmandosi spesso Antonio Carrera. Pagine che al regime piaceva chiamare ‘femminili’, lette da molti italiani e da pochi di quelli che l’avrebbero potuta notare. Del suo talento di narratrice si erano accorti Giacomo Debenedetti e Alberto Savinio ma era stata Natalia Ginzburg a ricevere il manoscritto di Menzogna e sortilegio e a portarlo all’Einaudi. Con quattro grandi romanzi, una raccolta di poesie, la particolarissima commedia Il mondo salvato dai ragazzini, i saggi raccolti in Pro e contro la bomba atomica e i più ‘meritevoli’ racconti, Elsa Morante avrebbe raggiunto l’attenzione del grande pubblico. Col tempo la critica si sarebbe occupata del suo stralunato rapporto con la maternità, delmito di Narciso e dell’ossessione per le figure doppie destinate ad affetti infelici. Ma un episodio antico nella vita di Elsa contiene l’idea che in lei, sin da giovanissima, maturava della letteratura. Ce ne parla tra le righe un racconto uscito nel 1939 sul settimanale “Oggi ” intitolato Nostro fratello Antonio e ripreso da Garboli nei Racconti dimenticati: “A dire di nostra madre, tutti noi fratelli fin dal giorno della nascita mostrammo le nostre virtù straordinarie (…). Ma il più straordinario, la meraviglia di tutti era nostro fratello Antonio (…). Appena venuto alla luce, (…) senza neppur aver spiegato le ragioni del suo contegno, chiuse gli occhiettini e morì (…) sapevamo (e chi mai potrà più levarcelo dalla mente?) che il nostro fratello Antonio, mentre noi peccavamo e scontavamo sulla terra, ci preparava, con le sue mani regali, l’aurea casa del perdono in Paradiso”. Oggi sappiamo anche che nello stesso periodo Elsa andava scrivendo un diario di sogni e paure intitolato Lettere ad Antonio e che nei mesi successivi all’8 settembre del ’43, rifugiata a Sant’Agata di Fondi con Moravia, portava con sé una copia dei Fratelli Karamàzov finita in mille pezzi per fronteggiare l’indigenza della guerra. Quel ‘fratello mancato’ lo avrebbe ricordato per l’ultima volta nel 1945 in una poesia dedicata al fantasma di Narciso e confluita nella raccolta Alibi: “Come un fratello maggiore, fanciullo al pari / e materno in cuore, indago su te / i segni della notte”. Con il 1948 il passaggio al romanzo avrebbe consacrato il tempo dei figli unici: Elisa, la narratrice di Menzogna e sortilegio nata dall’unione infelice di Anna e Francesco il cui solo interlocutore è il gatto Alvaro; il bambino dell’Isola di Arturo, destinato ad avere una matrigna pressoché coetanea – che in tutto e per tutto avrebbe potuto essere sua sorella (o la sua sposa) – e a scoprire che i viaggi del padre lontano da Procida altro non erano che avventure omosessuali; Nino, il primogenito della Storia che avrà un fratellastro nato dalla violenza di un soldato tedesco sulla madre Ida; e infine Manuele, figlio illegittimo di una misteriosa ragazza andalusa nell’ultimo romanzo Aracoeli. Non così per i racconti giovanili che, pieni di incantesimo “waltdisneyano ” (come Giorgio Caproni amava definirli) e ancora affezionati alla fiaba dei fratelli Grimm, moltiplicano a dismisura la struttura parentale: nonne e nonni, padri e madri, mariti e mogli che generano figli pieni di fratelli e di sorelle. Lo si capisce scorrendo i titoli salvati da Garboli: I gemelli, Il fratello maggiore, Le due sorelle, Il fratello minore, Nostro fratello Antonio. E lo stesso vale per alcuni dei racconti ancora dispersi, anch’essi dai titoli ‘doppi’ dedicati a personaggi-fratelli: Il sogno delle cento culle (e di due fratelli gemelli), Giorno di compere (storia delle due sorelle povere Rosetta e Germana), La bella vita della vecchia Susanna (e della sorella Ida), Festa da ballo (vita delle sorelle Carla e Laura), La leggenda di San Celestino (che era povero con tanti fratelli), Infanzia di Gesù (e della sua amicizia con una bambina coetanea), Leggenda di Pasqua (o anche leggenda dei due fratelli Gianni e Mattia). Tra i dispersi c’è anche il racconto lungo Qualcuno bussa alla porta uscito in 29 puntate su “Oggi” tra il ’35 e il ’36, il finale era stato ripreso sul Messaggero nel 1986. È una storia dall’intreccio complesso che inizia sulla terra ferma e finisce in un’isola: il contrario dell’Isola di Arturo. All’inizio di questo testo si parla di due sorelle, Paola e Mirtilla, le cui vite sono destinate a dividersi: “Le due ragazze erano cresciute insieme in una campagna simile al paese delle fate:ma non apparteneva a loro”. Poi Mirtilla parte per inseguire l’amore di un uomo e scompare dal racconto così come Paola. Noi lettori intanto seguiamo la storia di Lucia, una bambina abbandonata in fasce che crescerà con una musica che le rimbomba nelle orecchie. Al termine del racconto, come sotto ipnosi, Lucia entra in un’isola stregata dove incontra la vecchia zingara Mirtilla, una delle sorelle del primo capitolo e forse la madre che originariamente aveva perduto: “Buon giorno – dice quell’isola alle anime giovani che vi approdano – Eccoti a me, dunque. Sapevo che saresti venuta. Non siamo sorelle, noi due? (…) E la mia acqua che ride, trema e urla non è simile ai tuoi capricci e ai tuoi sogni?”. Qualcuno bussa alla porta è ancora dentro l’infanzia e nasce prima che il protagonista dell’Isola di Arturo abbandoni il nido partendo da Procida. Dopo la guerra prenderanno forma i grandi romanzi con i protagonisti del disincanto: Elisa, Arturo, Nino, Useppe, Manuele, Manuel e Aracoeli. Prima che tutti loro nascessero però c’era stato Antonio. Antonio, il fratello per eccellenza: tra gli esseri il più diverso perché il più simile a noi, quell’individuo che – nato dalla stessa unione – noi stessi avremmo potuto essere e che non siamo, attraverso il quale ci definiamo per rivalità e per confronto, per assenza e per unione e che, così facendo, diventa puntualmente il nostro doppio nel mondo. È Antonio l’idea più sfuggente e ‘meravigliosa’ della letteratura. E sfuggenti e meravigliosi sono i racconti che la scrittrice romana si era lasciata alle spalle: fratelli ‘minori’ di quei quattro romanzi che l’avrebbero resa famosa. Chissà se oggi Elsa ce li farebbe rileggere, proprio non l’abbiamo perdonata per averli

In attesa dell’uscita degli epistolari inediti di Elsa Morante a cura di Daniele Morante con la Prefazione di Alfonso Berardinelli, quest’anno la casa editrice Einaudi ha riportato in libreria Il mondo salvato dai ragazzini con introduzione di Goffredo Fofi (“Letture Einaudi”) e Alibi (“ET Poesia”). Abbastanza di recente l’editore Sellerio ha invece pubblicato una serie di testimonianze di alcuni degli amici più stretti della scrittrice romana in larga misura estrapolate da Fine secolo, supplemento di un numero di Reporter del 1985 (Festa per Elsa, a cura di Goffredo Fofi e Adriano Sofri 2011). Per ottobre e dicembre la Biblioteca nazionale centrale di Roma, che conserva le carte della scrittrice, ha organizzato due importanti celebrazioni. Il 10 ottobre verrà inaugurata la Mostra Santi, Sultani e Gran Capitani in camera mia. Inediti e ritrovati dall’Archivio di Elsa Morante che documenta le nuove acquisizioni donate da Carlo Cecchi e Daniele Morante nel 2007; il dono si aggiunge alle carte della scrittrice che furono al centro della grande mostra del 2006 Le stanze di Elsa. A seguire, il 5 dicembre 2012 sarà presentato il seminario di studi Santi, Sultani e Gran Capitani in camera mia. Dal laboratorio di Elsa Morante.

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