9 Gennaio 2016

L’altro aspetto di mia madre

 

Parlano giovani donne invogliate ad intervenire dalla lettura di “Mia madre femminista”.

 

Durante le presentazioni del libro “Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua” (Il Poligrafo, Padova 2015) alcune giovani hanno partecipato con scritti, interventi introduttivi e dal pubblico, mostrando un modo originale di intendere e dare continuità all’essere femminista, un modo imprevisto e da noi desiderato.
Luciana e Marina

 

di Simona Lecchi, operaia e assistente alla poltrona.
Brescia 27 novembre 2015

 

In una paginetta riassumo la mia esperienza nel lavoro e nella vita quotidiana, esperienza che considero positiva: qui intendo trasmettere ciò che ho ricevuto.

Sono passati 14 anni dal mio primo giorno di lavoro in fabbrica.

Avevo 16 anni frequentavo le scuole superiori, avevo scelto l’indirizzo grafico pubblicitario, ma a metà anno decisi di non voler più continuare. Così, dopo aver affrontato il discorso a casa con i miei genitori, un pomeriggio mia mamma mi accompagnò per un colloquio di lavoro nella fabbrica dove lei lavorava da molti anni.

Dopo il colloquio mi assunsero con contratto a termine. Per me entrare in fabbrica voleva dire sentirmi più grande e indipendente, inoltre la figura di mia madre era rassicurante. Sentivo, dai suoi racconti, che stavo entrando in un luogo di lavoro importante dove essere operaia non significava fare un lavoro degradante o poco rispettato ma riconosciuto anche socialmente. In quella fabbrica sentivo che le persone contavano.

L’inserimento nel contesto della fabbrica fu piacevole, alcune donne le conoscevo già perché amiche di mia mamma. La cosa che mi ha colpito è che tutte loro conoscevano me: io ero la figlia di Rosa. Rosa Piantoni.

Trovai un ambiente tranquillo e sereno, le colleghe erano per la maggior parte coetanee, le univa il fatto di aver iniziato tutte da giovanissime nella stessa fabbrica.

Il lavoro in sé mi piaceva, a volte poteva essere un po’ monotono, a volte mi capitava di lavorare da sola, altre volte su macchine con 3 o 4 donne. Mi capitava, ma raramente, di lavorare in coppia con mia madre.

Sicuramente questa esperienza della fabbrica è stata positiva grazie alla presenza di mia madre, con lei presente mi sembrava tutto più semplice e andare al lavoro, anche facendo i turni non mi pesava, la sua presenza era importante anche per le altre operaie e infatti lei rappresentava il sindacato e quindi il punto di riferimento per i lavoratori e le lavoratrici.

Restai in fabbrica per circa 2 anni, con contratti a termine, poi a me ed altre ragazze non rinnovarono il contratto. Cercai un altro lavoro e dopo pochi mesi lo trovai presso uno studio dentistico dove facevo l’assistente alla poltrona, lavoro che faccio ancora anche se in un altro studio.

Ripensando alla mia esperienza lavorativa in fabbrica, mi considero fortunata, era una fabbrica sindacalizzata, vedevo all’opera l’altro aspetto di mia madre: quello di sindacalista. Ho potuto vedere e vivere a pieno l’agire sindacale: assemblee, scioperi, discussioni politiche, conflitti con l’azienda e, anche quando le situazioni erano tese, non si oltrepassavano mai certi limiti, prevaleva sempre il buon-senso e la discussione. Ho imparato a farmi rispettare, a far valere il lavoro che faccio con cura e attenzione, anche se dove sono ora non siamo organizzati sindacalmente, ho coscienza del fatto che tutto il lavoro politico e sindacale, fatto dalle donne, come mia madre, oggi permette a me e ad altre di godere di diritti politici e sociali importanti, che a volte, sbagliando, diamo per scontati.

Ho imparato ad apprezzare il “lavoro” perché fa parte della vita e non lo percepisco come un sacrificio e nemmeno lo riduco a una pura questione economica.

Anche il rispetto è importante e puoi farlo valere solo se a tua volta rispetti chi ti sta di fronte.

Non sono una femminista come mia madre, la mia lotta sindacale è stata breve e partecipativa non agita in prima persona, non vado di mia spontanea volontà a manifestazioni o altre iniziative, non frequento gli ambienti sindacali o di partiti. Non so perché ma per ora non ne sento il bisogno. Comunque so farmi rispettare, nel mio agire quotidiano cerco di essere rispettosa nei confronti dell’ambiente che mi circonda. I valori che mia madre mi ha trasmesso fin da piccola sono dentro di me, fanno parte della mia vita; l’onestà per poter andare a testa alta e guardare tutti negli occhi, la dignità, perché tutto ciò che si ha deve essere guadagnato onestamente per stare bene con se stesse e non essere ricattabili. Mia madre mi disse che non avrebbe mai chiesto alla Zucchi, la ditta dove lavoravamo, di assumermi. Era amareggiata per la mancata conferma del contratto a termine, ma mi ha spiegato cosa avrebbe significato per lei questa richiesta: perdere la sua libertà di agire nei confronti dell’azienda e la perdita di rispetto da parte delle e dei suoi colleghi di lavoro. A me dispiaceva lasciare la Zucchi, anche perché non sapevo che altro lavoro avrei potuto trovare, ma ho capito e apprezzato cosa intendeva mia madre. Anche il suo agire libero nei confronti di mio padre man mano che crescevo l’ho sentito sempre più fondamentale: ho imparato a non considerare gli uomini più liberi e più importanti di me, a non avere un atteggiamento di sottomissione ma a esigere il confronto anche aspro se necessario ma sempre rispettoso delle reciproche diversità e bisogni. Questo e molto altro ho ricevuto da mia madre e a mia volta cercherò di trasmetterlo.

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