27 Novembre 2015
Pagina99

TREMATE, LE CUOCHE SON TORNATE

LIBRI / le femministe odiano cucinare, vuole un vecchio cliché. Smentito da Fuochi, opera della Libreria delle donne di Milano

di Stefania Barzini

Faccio parte, per età anagrafica, di una generazione di donne che negli anni ’70 del secolo scorso un bel giorno si sono guardate allo specchio, hanno buttato nel secchio grembiule di cucina, padelle, mestoli e detersivi per i piatti, e sono scese in strada, per rivendicare il diritto ad una vita “altra”, che non ci vedesse legate ai fornelli, che non prevedesse un perenne sorriso e una tavola sempre pronta per il ritorno del guerriero.

Anche io sono scesa in piazza come tutte le mie amiche ma… una piccola differenza c’era. Il fatto è che io amo cucinare. Da sempre. E dunque per me lo sfaccendare intorno alla stufa non aveva nulla di avvilente, di frustrante, di umiliante. Al contrario. Per anni ho cercato di spiegare alle mie amiche, che in quegli anni si sentivano invase da furori creativi, dipingevano, cantavano, scrivevano, recitavano, di spiegare dunque che anche le padelle, se affrontate nel modo giusto potevano liberare cuore e mente.   Fatica sprecata, la mia passione per pentole e casseruole infatti, in quel turbolento decennio, è stata vista con sospetto, segno di tradimento, un terribile segreto da nascondere nell’angolo più buio della casa. Per anni insomma ho dovuto cucinare di nascosto.

Ma i tempi (e meno male, aggiungo io) son cambiati e i segni del cambiamento sono ovunque. E’ da poco uscito in libreria “Fuochi- La cucina di Estia”, Estia dunque, dea del focolare. E’ un libro di pensieri e ricette. E fin qui nulla di nuovo, il mercato è inflazionato di libri simili, basta fare un giro in qualsiasi libreria del Regno per accorgersene. A scriverlo è un gruppo di donne, e anche qui, direte voi, nessuna novità. Però il libro, qui sta la sorpresa, è pubblicato dalla Libreria delle Donne di Milano e le signore in questione sono tutte femministe di peso, alcune di loro inventano palazzi, altre scrivono, altre curano le menti stanche, tutte fanno parte della mia generazione, tutte sono, allora, scese in piazza, tutte si occupano ancora di politiche femminili e tutte hanno un vizio, una passione, un piacere in comune: amano cucinare. Potete immaginare che gioia sia stata per me essere stata invitata da queste donne a presentare il loro libro. Finalmente il momento della rivalsa! Reso ancora più completo dall’uscita di un articolo, apparso sul sito “The Salt” a firma di Nina Martyris, dal titolo: “How Suffragists Used Cookbooks As A Recipe fo Subversion” ovvero “Come le suffragette usarono i libri di cucina come ricetta per la sovversione”, dove si racconta come le suffragette per finanziare le loro campagne, pubblicassero per l’appunto libri di cucina.   Se dunque persino le suffragette usavano la cucina a scopi nobili, come quello del diritto al voto, forse è giunto il momento di fare un ulteriore passo in avanti. “Fuochi” va in questa direzione. Non è certo la prima volta che le donne scrivono di cibo, tante di noi lo fanno o lo hanno fatto, ma è sempre stato un cammino individuale, una scelta personale, vissuta anche, quantomeno dalle donne della mia generazione, con un certo senso di colpa, quasi che scrivere di fornelli fosse un’attività di cui vergognarsi. “Fuochi” è il primo libro però scritto da un gruppo di donne, e da un gruppo di donne femministe. Un libro liberatorio per chi, come me, ama pentole e padelle. E’ il segno che finalmente anche quegli strumenti che per anni sono stati visti come minacciosi, come il segno lampante del tentativo, da parte maschile, di imprigionarci, di tenerci recluse, segregate nelle case, quegli stessi strumenti adesso sono stati sdoganati, è il segno che il femminismo, le donne, che molti anni fa hanno riempito le piazze e svuotato le cucine, adesso si fermano a riflettere e a chiedersi se quelle prigioni che abbiamo abbandonato fossero davvero solo celle asfittiche, croci da sopportare, eterno calvario delle nostre esistenze. E se non sia invece possibile riscoprire un potere antico, se non si possa liberare la maga che c’è in ciascuna di noi, quella che preparava filtri, incantesimi, pozioni, che tramandava le sue magie di madre in figlia, di nonna in nipote, che nutriva, non solo il marito, i figli, la famiglia, gli amici, ma il mondo stesso. Rose Boycott, giornalista inglese e femminista storica, nel 1970 scriveva sul suo magazine “Spare Rib” contro ogni singolo istante passato ai fornelli, oggi ci ha ripensato e ammette sul “Guardian” che: “Per il nostro modo di pensare, cucinare era per persone frivole e dunque politicamente pericoloso. Ma ci sbagliavamo”. L’imperativo dell’oggi, quello che condiziona la nostra vita di donne è l’abusato slogan americano “Women can have it all”, “Le donne possono avere ogni cosa”, casa, carriera, figli, marito, amici, hobby. Uno degli imperativi più frustranti di questi ultimi anni, perché tutto nessuno riesce mai ad averlo. E allora non sarebbe invece liberatorio poter finalmente dire che no, non vogliamo affatto tutto, che vorremmo poter scegliere cosa debba o non debba far parte della nostra vita e farlo senza condizionamenti esterni? E alcune di noi magari sceglieranno i fornelli, prenderanno possesso della cucina, facendola diventare un luogo di azione e non più di reclusione, rivendicheranno un ruolo storico, sociale, politico, mai sufficientemente riconosciuto, quello di depositarie della memoria gustativa del nostro paese. Saremo noi allora, quelle donne, a scendere in piazza gridando a chi ci vuole ascoltare: Tremate, tremate, le cuoche son tornate!”


(Pagina99, 21/27 novembre 2015)

 

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