28 Gennaio 2020
Corriere della Sera

Zuboff: Loro sanno tutto di noi e noi nulla di loro, ecco la nuova tecnologia

di Giuliana Ferraino, inviata a Davos


«All’inizio del XXI secolo, tutte le montagne erano già state scalate, gli oceani scoperti, non rimanevano molte cose da trasformare in commodity, come aveva fatto il capitalismo industriale nella sua evoluzione. Così per fare profitti, dopo lo scoppio della bolla delle dotcom, le nuove aziende tecnologiche hanno individuato nell’esperienza umana la nuova materia prima da monetizzare: dai dati potevano estrarre i segnali per individuare i comportamenti futuri delle persone», sostiene Shoshana Zuboff per spiegare l’origine del «capitalismo della sorveglianza», che è anche il titolo del suo ultimo libro, pubblicato nel 2019. Ieri Zuboff, 68 anni, docente alla Harvard Business School, era a Milano, ospite di un evento organizzato da Kairos, la piattaforma del risparmio gestito che si autodefinisce anche «laboratorio».

«Il capitalismo di sorveglianza è alla base del nuovo ordine economico, che sfrutta i nostri dati personali senza chiedercelo. Ma questo è un furto, un’espropriazione dei diritti umani fondamentali», sostiene Zuboff. E chiama «parassiti» le grandi multinazionali digitali, che con i nostri dati rubati hanno creato «un nuovo mercato per scambiare i nostri comportamenti futuri». Prima riguardava solo la pubblicità targetizzata, oggi invece il fenomeno «è dappertutto: nelle assicurazioni, nel retail, nell’entertainement». Perfino nell’industria automobilistica, dove «l’auto non è più chiamata auto, ma è diventata un’esperienza di mobilità». Grazie ai dati. Anche la finanza ha sposato la tecnologia, tanto che si parla di tecno-finanza. Sono «settori simbiotici» e «il primo trae profitto dal potere della seconda», afferma Zuboff.

Guido Brera, cofondatore di Kairos e responsabile delle gestioni collettive della Sgr, offre la versione degli investitori: «Tassi a zero e l’enorme liquidità in cerca di rendimenti hanno spinto la finanza tra le braccia delle aziende tecnologiche, identificate come il luogo dove investire capitali pazienti, grazie a questo modello di business capace di vendere prodotti migliori a prezzo più basso, che elimina i concorrenti». Ma «c’è un costo da pagare», dice. «Il XXI avrebbe dovuto migliorare la nostra vita, ci hanno promesso che con i big data avremmo risolto molti problemi. Invece il capitalismo di sorveglianza ha preso in ostaggio il digitale, sfruttando l’enorme asimmetria della conoscenza: loro sanno tutto di noi, mentre per noi è impossibile sapere quello che fanno», spiega. Che cosa possiamo fare? «Come dice il mio amico premio Pulitzer per la storia, Thomas McCraw, le regole e la democrazia sono gemelle, le norme permettono la democrazia, la democrazia richiede regolamentazione. Dobbiamo capire a fondo il capitalismo della sorveglianza per poterlo regolamentare. Dobbiamo capire come si origina questa logica, per fermarla». Il rischio? Un nuova forma di disuguaglianza sociale, che Zuboff chiama «disuguaglianza epistemica», basata su «quanto loro possono conoscere e quanto possiamo conoscere noi».

La disuguaglianza epistemica si accompagna alla disuguaglianza economica. Perciò «abbiamo bisogno di un New Deal, come ai tempi di Roosevelt, per creare nuovi diritti, che attribuiscano agli individui il potere di decidere se vogliono diventare un dato, come e a che scopo». Cioè «un nuovo insieme di regole e istituzioni per fermare le catena di fornitura dei dati sul nascere. Ma anche per agire sul lato della domanda, «eliminando gli incentivi finanziari del dividendo della sorveglianza». Abbiamo messo fuori legge il commercio degli organi umani, dei neonati, degli schiavi, dovremmo anche dichiarare «illegale il mercato del futuro umano», conclude Zuboff. Ottimista, nonostante tutto. «L’Europa è più avanti: la legge sulla privacy non basta, ma è la migliore speranza per il futuro dell’umanità».


(La nuova disuguaglianza di Zuboff: «I grandi del tech sanno tutto di noi, noi nulla di loro», Corriere della Sera, 28 gennaio 2020)

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