23 Aprile 2013
La 27 ora

A letto il piacere è ancora tutto da scoprire

di Lea Melandri

Mai le donne sono sembrate così minacciose come quando hanno cominciato a riunirsi in piccoli gruppi all’interno delle case, senza la presenza degli uomini e avendo al centro della loro riflessione il corpo e la sessualità. “Ma cosa vogliono queste donne?”  – si chiedeva L’Espresso in un articolo del 7 aprile 1975. La ricerca di una sessualità propria, non più confusa col concepimento e meno dipendente dal desiderio dell’uomo, appariva come un “ribaltamento” delle parti, esclusione del sesso maschile e richiesta di prestazioni eccezionali.

“Si confronteranno non meno di quattro o cinque posizioni diverse: clitoridee pure che escludono l’uomo, clitoridee bisessuali, altre che non rinunciano all’uomo anche se vogliono un partner finalmente all’altezza della situazione”. La possibilità di conoscere e riappropriarsi di un corpo rimasto per secoli “oggetto” di scambi, interessi e piaceri altrui, di affermare la specificità del proprio erotismo, così come emergevano dalla pratica dell’autocoscienza di gruppi e collettivi femministi, fu vista dai sessuologi e psicanalisti interpellati dai giornali come una “mina antiuomo”.

L’allarme nasceva dall’idea che le donne, consapevoli della loro “maggiore potenza sessuale”, avrebbero finito per indebolire, con la richiesta di “orgasmi multipli”, prima le “classi alte” e poi la stessa classe operaia.

Più che le battaglie per i diritti  – divorzio, aborto, diritto di famiglia, legge sulla violenza contro le donne, ecc. -, che ebbero tra i promotori negli anni ’70 anche alcune forze politiche, come il Partito Radicale, a muovere contro il femminismo una compagna denigratoria destinata a durare a lungo furono dunque l’analisi e il desiderio di cambiamento spinti fin dentro le relazioni più intime.

Esperienze come la sessualità e la maternità, considerate da sempre “non politiche”, più vicine alle leggi sempre uguali della natura che alla mobilità delle costruzioni storiche, venivano per la prima volta portate sulla scena pubblica, considerate materia di discussione e modificazione di rapporti di potere. Per quanto sembri paradossale nell’era del sesso-mercato, del porno e del post-porno, gli interrogativi riguardanti il corpo delle donne, i loro desideri, le forme specifiche del loro piacere, si ripropongono oggi per una generazione che può avvalersi di consapevolezze e libertà prima sconosciute, ma che torna a parlare di sé nell’era del web riconoscendosi “paure”, “vergogne”, “dipendenza” e “incertezze”.

La sfida più radicale alla cultura maschile dominante sembra che passi ancora dal racconto di “vissuti” che trovano parole autentiche solo in una relazione tra donne segnata da fiducia, ascolto, capacità di mettersi  reciprocamente in discussione.

Nella primavera del 2006 alcune studentesse veronesi, dopo aver fatto parte di un collettivo misto universitario e aver verificato il riprodursi di ruoli, stereotipi maschili e femminili, decide di avviare un percorso proprio di riflessione individuale e collettivo. Col nome di una donna immaginaria  – Benazir, “colei che non è mai stata vista così”- il gruppo pubblica un libro che vuole dare conto del percorso fatto, mescolando frammenti di mail, registrazioni, diari: Collettivo femminista Benazir, Frammenti di autocoscienza. Il percorso politico sulla sessualità di un gruppo di giovani femministe, Aracne editrice, Roma 2012.

Le ragioni per riattualizzare una pratica come l’autocoscienza, che sembrava destinata a perdersi negli archivi degli anni ’70, partono da un disagio che oggi vede inseparabilmente intrecciate e confuse storie personali e contesto politico sociale.

Nella solitudine atomizzata del nostro tempo esiste una difficoltà nell’espressione di sé, nel parlare a partire dalla propria esperienza per dare voce alle proprie paure e sofferenze, ma anche alle proprie gioie, felicità, soddisfazioni. E’ come se fossimo davanti a un mondo che ha già detto tutto ed è per questo che noi non abbiamo più voce in capitolo su noi stesse (…) Prendere coscienza del proprio corpo consente di riscoprire e valorizzare lo scarto che esiste tra noi e l’immagine della donna che ci viene proposto, dando luce ai tratti di sé che ci differenziano.”

La possibilità di esporsi, rinunciare a maschere protettive, dare parola a sentimenti, emozioni, fantasie, che fino allora erano parsi “impresentabili”, lasciarsi mettere in discussione dallo sguardo vigilante delle proprie simili, oggi, come per la generazione degli anni ’70, fa assomigliare un processo di liberazione a un atto di nuova nascita.

Cosa guida ogni incontro? Quale forza ‘oscura’ guida donne cieche a togliersi le mani dagli occhi per vedere un nuovo mondo. Ma quanti investimenti abbiamo da togliere per essere davvero nude? Spesso anche quando siamo nude, solo fisicamente, ci nascondiamo. Quando ci neghiamo un piacere, quando non interroghiamo il nostro desiderio perdendoci in quello condiviso. Quando non torniamo a noi nella fedeltà a noi stesse. Mi accorgo che tendo a voler assecondare il desiderio altrui. Immagino cosa l’altro possa volere e vivo nella finzione, ma poi mi torna, improvvisamente, imprevista, la realtà quando mi accorgo che cedere al desiderio dell’altro mi pare un punto di sofferenza.”

La difficoltà a parlare e soprattutto a scrivere dell’autoerotismo, così come a dichiarare l’inclinazione, divenuta per la lunga storia di sottomissione che ha alle spalle quasi “naturale”, a compiacere l’altro anche in assenza di piacere proprio, non sembra essere cambiata, se non per il sorriso e il gusto a “prendersi gioco” delle proprie paure, vergogne e tabù. Su un “partire da sé” che si muove agilmente tra il guardarsi negli occhi e la comunicazione virtuale a distanza aleggiano, con la stessa presa emotiva e intellettuale degli anni in cui comparvero, il Manifesto di Rivolta femminile e i “libretti verdi” di Carla Lonzi.

La lettura de La donna clitoridea e la donna vaginale di Carla Lonzi: un primo squarcio in cui ho intravisto di non essere matta, ho visto me stessa come clitoridea, una strada possibile per non essere sopraffatta (…) La donna rinuncia al proprio piacere perché è più facile vivere nell’inferiorità che affrontare il senso di colpa (…) così mi sono sentita: sola col senso di colpa, attaccabile da ogni punto di vista perché contro la legge naturale (…) Riconosciamo la molteplicità del nostro piacere, non riduciamolo a schemi già fatti. Perché se non è il coito li chiamano preliminari? Perché tutto deve essere preparatorio al rapporto pene-vagina? Forse perché è procreativo? Forse perché ci vogliono inchiodare al ruolo di madre? Non sto parlando a favore o contro il coito, vorrei solo renderlo una delle possibilità, non il sesso per antonomasia”.

Le avevano detto che doveva aprirsi. Non troppo, se no sei una puttana: solo abbastanza, per farlo contento. Non troppo spesso, se no sei una pervertita: solo quando vuole lui. Non da sola, se no sei una impura, compi un gesto orribile: solo nell’incontro con l’altro sesso. Ha vissuto nella paura di doversi aprire a comando, come una scatola. Adesso impara con fatica ad aprirsi come e quando piace a lei.”

Il destino imprevisto del mondo  – aveva scritto Carla Lonzi – sta nel ricominciare il cammino per percorrerlo con la donna come “soggetto”. Ma il dubbio che rimane è se gli uomini sapranno ascoltare quello che è un invito alla reciprocità e non un ribaltamento di poteri, riportare su di sé una “presa di coscienza” liberatoria rispetto alle mitologie virili ereditate dai padri, mettere in discussione una sessualità che porta dentro inspiegabilmente confusi amore e violenza.

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