Aaron Swartz, giovane uomo, in questi giorni è ricordato molto nella rete. Questo articolo mi è piaciuto, lui è un combattente radicale per la sua causa, al modo degli uomini. Le cose per cui ha lottato le sento anch'io (lc)
14 Gennaio 2013
doppiozero.com

Aaron Swartz, Open

Tiziano Bonini

“E se ci fosse una biblioteca con ogni libro? Non ogni libro in vendita, o ogni libro importante, neanche ogni libro in una certa lingua, ma semplicemente ogni libro; la base della cultura umana. Per primo, questa biblioteca deve essere su Internet.”

Questo non è Borges. Non è la Biblioteca di Babele. Questo è quello che scriveva nel 2007 Aaron Swartz per presentare Open Library, il progetto a cui stava lavorando all’epoca: una biblioteca digitale ad accesso libero, gestita da una fondazione non-profit, che oggi conta su un catalogo di più di un milione di libri, classici e moderni, disponibili in download in vari formati digitali. “Open library è tua. Navigala, correggila, alimentala”, recita il sottotitolo del sito, una specie di Wikipedia per i libri. Aaron Swartz aveva 21 anni nel 2007. Ne aveva 26 quando, l’11 gennaio del 2013, si è suicidato. Da allora, da sabato, la notizia ha rimbalzato sui social network e sui giornali di tutto il mondo. Perché? Chi era Aaron Swartz, al di là delle facili etichette di “genio ribelle della Rete” che i media di massa nazionali gli hanno frettolosamente attaccato addosso, e perché è importante ricordarlo?

Aaron Swartz, secondo le parole del suo mentore Lawrence Lessig – giurista di Harvard impegnato nella battaglia per una riforma del copyright nel nuovo ecosistema digitale – era un attivista per i diritti civili di Internet. Ma ancora non ci siamo. Non è questo dettaglio che ci permette di capire chi era Aaron Swartz e perché era così amato, discusso e ora rimpianto (la sua famiglia e i suoi amici hanno dato vita a un memorial online per condividere il ricordo di Aaron e Wikipedia lo saluta come “uno splendido essere umano”). Attivista, militante, “genio”, sono tutte parole usate in questi giorni per descriverlo ma che non gli rendono giustizia. Il rumore della notizia della sua morte, la ricorrenza della parola “genio” nel ricordarlo, le manifestazioni d’affetto da tutto il mondo, sono in parte analoghe alla scomparsa di David Foster Wallace. Per entrambi si piange, anche con rabbia, il genio e lo spreco di un talento immenso, come se credessimo che quel talento apparteneva a tutti noi, non solo a loro, e non avevano il diritto di farci una cosa del genere, privarci del loro talento. Aaron Swartz non era uno scrittore fragile e famoso, non era ancora un’icona pop, ma tra il pubblico dei geek di tutto il mondo si era guadagnato il rispetto e l’affetto che normalmente si tributa a uno scrittore fragile e famoso. Cory Doctorow, scrittore di cyber sci-fi, blogger e coeditore del blog geek più famoso al mondo – Boing Boing – lo ricorda così: “Lo conobbi quando aveva 14 anni. Aveva già scritto le specifiche del RSS 1.0 (una stringa di codice, ora diffusissima, che permette alle persone di ricevere notifiche automatiche di notizie online, ndr). Quando veniva a San Francisco ci prendevamo cura di lui, era solo un ragazzo. Fui io a presentarlo a Lessig. Divenne attivo nella squadra tecnica di Creative Commons e sempre più coinvolto nei temi di tecnologia e libertà di accesso. Sembrava sempre in cerca di un mentore, e nessuno di questi mentori sembrava riuscire a soddisfare gli altissimi standard da lui richiesti. Aaron ha ottenuto cose incredibili nella sua vita. Era un ragazzo mosso continuamente da nuove passioni, nuovi obiettivi.”

Tutti concordano sulla genialità di Aaron Swartz. A 17 anni aveva iniziato i suoi contributi a Wikipedia. La sua pagina conta più di 200 articoli (l’ultimo edit è di giovedì 10 gennaio). Uno di questi include “Who writes Wikipedia”, un articolo in cui si schierava per la conservazione di uno statuto il più aperto possibile per Wikipedia e che continua a generare dibattito. Ha partecipato alla fondazione della start up Reddit, un sito di social news in cui gli utenti possono postare link e discutere argomenti che fu poi acquistato nel 2006 da Wired/Condé Nast. Ha fatto ricerca presso la Edmond J. Safra Foundation Center for Ethics di Harvard diretto da Lawrence Lessig, partecipando all’architettura della licenza Creative Commons. Nel 2008 ha pubblicato il suo “Guerrilla Open Access Manifesto” chiedendo agli attivisti della Rete di “opporsi al sequestro e alla privatizzazione del sapere accademico e dell’informazione”. Nel 2010, con la sua iniziativa DemandProgress.org è stato uno dei nodi cruciali del movimento di protesta che negli Stati Uniti ha sconfitto il Congresso sull’inasprimento delle leggi del copyright in rete (SOPA – Stop Online Piray Act). C’è un bel video su YouTube in cui racconta “come fermammo la Sopa”: a me ha colpito il suo entusiasmo. Ha i capelli lunghi, la barba, gli occhiali spessi. Tutti abbiamo avuto un compagno di università giovane, brillante e utopista come lui, è per questo che ci sembra così familiare. Nel video sembra un rappresentante di Istituto dei tempi del liceo, ma senza la spocchia e la vuota retorica di allora.

Lessig ricorda che: “con il suo lavoro per costruire una biblioteca aperta a tutti e dare forma a Creative Commons, con Demand Progress, con la liberazione on line di documenti pubblici, Aaron ha sempre lavorato per il (almeno per il suo concetto di) bene pubblico, l’interesse comune”.

Aaron Swartz era un attivista e un talento informatico, un “genio”, se volete, ma non è questo che ci aiuta a capirlo. Anche il fondatore di Facebook è un genio dell’informatica, ma non è Aaron Swartz. Aaron Swartz era soprattutto un intellettuale della rete, uno che letteralmente “pensava” la rete, la più potente arma di comunicazione di massa contemporanea, e si chiedeva costantemente che forme dovesse avere per poter liberare al meglio il proprio potenziale democratico, in termini di libero accesso ai contenuti digitali. Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per questa causa: liberare i contenuti digitali presenti nella rete e renderli accessibili. Nel 2009 Swartz ha scaricato e rilasciato pubblicamente circa il 20% del database PACER della corte federale degli Stati Uniti, contenente i documenti giuridici (documenti pubblici) dei cittadini americani, i quali però dovevano pagare una tassa per accedervi online. Per tali azioni, Swartz è finito sotto inchiesta da parte della FBI. Il caso è stato chiuso due mesi dopo senza condanna.

Nel 2011 Swartz fa la cosa per la quale ora tutti lo ricordano e che tutti usano come detonatore della sua scomparsa: scrive un programma che gli permette di scaricare attraverso la rete del MIT tutti i 4,8 milioni di documenti contenuti nell’archivio digitale JSTOR, una fondazione non profit che gestisce una delle più ricche biblioteche digitali del mondo, accessibile a pagamento (sottoscrivendo abbonamenti da migliaia di euro) da 7.000 istituzioni di 150 paesi del mondo. L’obiettivo, secondo le autorità americane che lo arrestano subito, è quello di pubblicarli on line e Swartz viene accusato di diverse frodi informatiche. JSTOR, dopo aver ottenuto da Swartz la restituzione dei documenti sottratti e la garanzia che non sarebbero stati pubblicati ritira la denuncia, ma il giudice americano Carmen Ortiz apre comunque una causa contro di lui, per violazione della proprietà e frodi fiscali. Lessig lo difende dicendo che “non è un crimine scaricare articoli da JSTOR. Molti di noi, da studenti e docenti lo hanno fatto. E non è un crimine nemmeno scaricarli tutti, a partire da una rete legalmente connessa a JSTOR come quella del MIT”. Però se quei documenti fossero andati online, anche JSTOR avrebbe subito un danno. Lessig afferma che la causa di Aaron è anche la sua causa, ma che in questo caso non ne condivide il metodo. Se, e solo se, le accuse del governo fossero giuste (sono ancora da dimostrare le accuse di frodi informatiche mosse dal governo americano), si chiede Lessig, un certo grado di punizione sarebbe indubbiamente appropriato.

Ma quale tipo di punizione? Non certo quella proposta dall’accusa: 50 anni di carcere e 4 milioni di dollari di multa. La sentenza definitiva si sarebbe dovuta avere tra tre mesi e molti scrivono che Aaron si sia tolto la vita perché spaventato dall’idea realistica di finire in carcere e sul lastrico. Lessig nel suo articolo in parte incolpa il governo americano della sua morte, dichiarando la pena estremamente ingiusta e vendicativa (colpirne uno per educarne cento). Il caso è tecnicamente complesso ma, a prescindere da come ognuno di noi lo possa valutare, non può non colpire l’asprezza di un procedimento legale in cui l’unica parte lesa, JSTOR, ha dichiarato di non voler proseguire la causa. A due giorni dalla sua scomparsa, senza nessuna prova, è molto affrettato dire che Aaron Swartz si è tolto la vita per via della condanna che lo attendeva. Quando qualcuno si suicida, senza nemmeno lasciare spiegazioni, come in questo caso, l’unica cosa onesta da dire è il silenzio. Certe azioni umane sono inspiegabili. Nessuno di noi è mai penetrabile fino in fondo. Nessuno sa davvero perché Aaron Swartz, 26 anni, genio ecc…, si sia tolto la vita. Nemmeno la sua famiglia ne parla. Però a noi resta il punto di domanda, non quello del perché sia morto ma quello del chi era Aaron Swartz? Perché è importante ricordarlo?

Un programmatore americano, Gregory Maxwell, pochi giorni dopo la notizia dei download di JSTOR da parte di Swartz, pubblicò online 20.000 articoli accademici, affermando di averli ottenuti legalmente. Maxwell, ha motivato così la sua azione: “il sistema della pubblicazione del sapere accademico è un sistema che non funziona – gli autori non sono pagati per scrivere, né i revisori e in alcuni casi anche gli editor delle riviste. A volte gli autori devono addirittura pagare gli editori. E nonostante questo le pubblicazioni scientifiche rimangono tra i brani più costosi della letteratura. In passato gli alti costi di accesso supportavano la riproduzione meccanica di basse tirature di riviste specializzate, ma la distribuzione digitale ha reso questa funzione obsoleta. I soldi che oggi paghiamo per accedere al “sapere” servono soltanto a tenere in vita un modello economico morto. La spinta costante a pubblicare continuamente (pubblica o muori) toglie potere contrattuale ai ricercatori e azioni come questa mettono il dito nella piaga del sistema”. La privatizzazione dei contenuti in JSTOR è solo uno dei sintomi di una malattia cronica della tradizionale industria culturale: l’incapacità di studiare nuovi modelli economici adatti a nuovi ecosistemi tecnologici.

Aaron va ricordato perché aveva individuato il tema centrale della società dell’informazione. Che si tratti di articoli accademici o di immagini fotografiche, di medicine o di mp3, di libri, dischi, dvd o BitTorrents, la questione dell’accesso ai contenuti culturali in un ecosistema digitale rimane ancora regolata da vecchi modelli di distribuzione.

Possiamo essere o meno d’accordo con i metodi utilizzati da Aaron Swartz per liberare i contenuti digitali. Esistono molti modi di lavorare per questa causa, come ha sottolineato Lawrence Lessig. Ma aldilà delle etichette di “attivista”, “militante”, “genio”, “hacker”, “ladro” (è ciò per cui è stato perseguito), credo sia giusto ricordare Aaron Swartz come un giovane intellettuale che, anche sbagliando, ha contribuito con le sue parole e le sue azioni a una Rete migliore e ha aperto la strada alla discussione di una nuova costituzione dei diritti digitali.

C’è un epilogo a questa storia. Non è nulla rispetto alla scomparsa di Aaron. Ma è un inizio: due mesi dopo la causa aperta contro Aaron, JSTOR annunciò la decisione di liberare nel pubblico dominio tutti gli articoli precedenti al 1923 in Usa e al 1870 negli altri paesi.

Post Scriptum: Docenti e ricercatori di tutto il mondo stanno pubblicando liberamente on line i loro articoli sotto l’hashtag #pdftribute per ricordare la scomparsa di Aaron.

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